lunedì 29 maggio 2017

La Lettura del Corriere 28.5.17
La razza non c’entra Il razzismo è politica
Il pregiudizio è una faccenda complicata, mostra lo storico portoghese Francisco
di Antonio Carioti

Bethencourt nel suo libro Razzismi (il Mulino). Si nutre in primo luogo di fattori politici, sostiene, ma anche culturali e religiosi. Varia inoltre radicalmente da un Paese all’altro, tanto è vero che la stessa persona può oggi essere considerata nera negli Stati Uniti e bianca in Brasile. «Il contesto storico è cruciale per capire il razzismo», dichiara a «la Lettura» l’autore, docente al King’s College di Londra. «La discriminante del colore divenne più importante nelle colonie inglesi d’America (poi staccatesi da Londra e divenute Usa), dove le persone di razza mista persero posizioni nel volgere tra il Seicento e il Settecento e poi di nuovo con il dibattito sull’estensione della schiavitù nei nuovi territori dell’Ovest, prima della Guerra civile. Negli Stati Uniti, dove gli schiavi non furono mai in maggioranza, neppure al Sud, la solidarietà bianca venne costruita a spese degli afroamericani e dei mulatti, etichettati come neri. La regola dell’ipodiscendenza, per cui una goccia di sangue africano rende una persona nera, escluse i meticci. Invece in Brasile la maggioranza della popolazione coloniale era nera già nel Seicento e i bianchi avevano bisogno di un ammortizzatore per mantenere l’equilibro sociale. Questo è il motivo per cui gli individui di razza mista venivano emancipati e riconosciuti. A lungo andare in Brasile la classe sociale divenne più importante della razza: oggi i mulatti di ceto medio o elevato sono considerati bianchi, mentre negli Usa sono classificati neri. Negli Stati Uniti l’eredità dello schiavismo non è stata superata, benché in Brasile la pelle scura sia generalmente identificata con le classi umili».
Il razzismo, secondo Bethencourt, nasce da motivazioni politiche, non dalla classificazione sedicente «scientifica» delle stirpi umane: «Il pregiudizio riguardante la discendenza combinato con azioni discriminatorie precede le teorie razziali. La prova schiacciante si trova nella penisola iberica del Quattrocento, dove il pregiudizio contro ebrei e musulmani venne proiettato sui mori e gli israeliti convertiti al culto cattolico, creando una barriera tra cristiani mai vista prima, che contraddiceva il messaggio universalista predicato da San Paolo. Ho trovato anche prove del fatto che la teoria delle razze non sorge nel Settecento, ma nel Cinquecento, alimentata dall’espansione oltremare delle potenze europee. Il frontespizio dell’ Atlante di Abraham Ortelius (1570) mostra già una prima classificazione gerarchica tra gli esseri umani, attraverso la rappresentazione dei continenti con l’Europa in posizione preminente rispetto all’Asia (seconda) e l’Africa in terza posizione, America e Oceania in fondo».
Che ruolo gioca la religione nelle pratiche discriminanti? «Conta ancora oggi. I musulmani, nella percezione occidentale, sono tutti aggregati in una stessa categoria, anche se appartengono a etnie molto diverse, dall’Indonesia ai Balcani. Nella Spagna della prima età moderna il pregiudizio abbinato a misure discriminatorie contro ebrei e musulmani convertiti a forza dimostra che il motore del razzismo è il progetto politico di monopolizzare le risorse a vantaggio del gruppo dominante. Ho trovato conferma di questa tesi analizzando casi del genere in varie situazioni geografiche e cronologiche. La religione ha sempre giocato un ruolo, specie nei pogrom antisemiti della Russia zarista, nel genocidio degli armeni, nella Shoah».
Ma perché il libro comincia con le crociate? Nel mondo antico il razzismo non esisteva? «I pregiudizi circa la discendenza etnica — risponde Bethencourt — esistevano certamente nell’antichità: li ha studiati lo storico Benjamin Isaac. Ciò che mi è stato più difficile provare è l’esistenza di discriminazioni sistematiche contro etnie specifiche in quel periodo storico. Il libro comincia con le crociate perché la mia ipotesi è che il razzismo sia collegato all’espansione europea. E le crociate furono il primo periodo in cui gli europei conquistarono nuove terre dopo la fine dell’Impero romano d’Occidente. Ho trovato chiari elementi di razzismo nelle “crociate occidentali”, cioè la Reconquista cristiana della penisola iberica. Il caso delle crociate in Oriente per il controllo della Terrasanta, come osservo nel libro, è più complesso».