martedì 15 novembre 2005

il manifestoOrdine sulla DiverCité
Di notte a Lione, fra i fratelli minori e i figli della rivolta dei banlieusard del 1982
Viaggio nelle banlieues Hanno meno di 25 anni e i documenti in regola, vanno a scuola o lavorano, qualcuno milita nel sindacato. Ma ce l'hanno con la Francia. Che li ripaga con il «prison ferme». In fiamme gli animi e le auto nella periferia di Venissieux
di Alessandro Mantovani

Se sono in macchina, in due, poliziotti e gendarmi non escono
da lì, se necessario chiamano i rinforzi che naturalmente non mancano.
Per il controllo notturno del territorio nelle banlieue più calde di
Lione, a Venissieux come a Vaux en Velin, usano il pullman che porta
cinquanta e più uomini: parcheggiano in un luogo strategico e da lì -
oltre a far la guardia perché non vada a fuoco - si muovono a gruppi di
sei o anche otto, coperti da capo a piedi dalle loro tenute
antisommosse e armati di tutto punto con tanto di flash ball, una
pistola che spara colpi di gomma «equivalenti - dice la reclame - a un
pugno di un boxeur professionista». E' un'arma «a letalità attenuata»
che «se usata male può uccidere», precisa la stessa reclame. Dall'alto
l'elicottero guida le truppe. Ma per i ragazzi del quartiere delle
Minguettes di Venissieux, fratelli minori e a volte figli dei
protagonisti della prima rivolta dei banlieusard che ebbe luogo proprio
qui nel lontano `82, scatenata anche allora da un omicidio commesso
dalla polizia, il gioco è semplice: un po' di benzina, un accendino et
voilà, quando dall'automobile si levano fiamme e fumo il giovane
incendiario è già al riparo, chi vive a Venissieux conosce anche mille
passaggi. E ai tutori dell'ordine non rimane altro da fare che fermare
chiunque passi di lì, o almeno terrorizzarlo. «Certo che potrebbe
toccare anche alla mia macchina, è una follia», osserva Dorothéee, una
quarantenne impiegata in una stazione di servizio e delegata di
quartiere della rue Lagrange di Venissieux, un tempo chiamata rue
Lablanche perché era il regno dello spaccio di eroina. E' un'attivista
dell'associazione DiverCités, nata per dare voce ai senza voce delle
banlieue lionesi, una sede in ristrutturazione e uno spazio radiofonico
al martedì sulle onde di «Trait d'union», emittente comunitaria: il
nome gioca sulla parola «cité» che indica gli agglomerati di periferia.
E come l'imam maghrebino e tanti «fratelli maggiori», Dorothée se ne va
in giro, nottetempo, per cercare di tranquillizzare i ragazzi, evitare
che facciano cazzate e finiscano nelle mani della polizia. Perché
bruciare le macchine «è inaccettabile - dice ancora - e quando se la
prendono con le scuole è peggio», ma Dorothée, come gran parte degli
abitanti delle torri anonime e mozzafiato delle Minguettes, sta con i
ragazzi, non certo con i flic. «L'altra sera qui è successo un casino,
hanno bloccato la strada e io, che dovevo rientrare a casa con due
bambine, mi sono trovata davanti un muro di Crs (l'equivalente della
nostra celere, ndr) e di gendarmi mobili (l'equivalente dei nostri
battaglioni dei carabinieri, ndr) con i loro fanali abbaglianti. Dovevo
passare ma esitavo. Poi sono passata e dopo i proiettori me li sono
ritrovati davanti, disposti in semicerchio. Lì ho avuto paura. Per
fortuna è andata bene». Un altro attivista racconta: «Un'auto bruciava
sotto le finestre del primo piano, c'era un pericolo reale. Perciò
appena ho visto dei poliziotti ho pensato 'vabbè, faccio il cittadino
zelante' e gliel'ho segnalato. Accanto a me c'era un amico con la barba
che ha indicato il luogo con più precisione. Sai cos'hanno risposto?
`Merci barbu'», termine dispregiativo per indicare il musulmano
praticante.

Parlare con i ragazzi non è semplicissimo, non si fidano.
Ripetono le stesse frasi, tutti hanno vissuto almeno un episodio di
discriminazione razziale o di abuso poliziesco. Ce l'hanno con la
scuola che «non serve a niente perché studi, studi e ti ritrovi
ugualmente per la strada», con i datori di lavoro che «appena vedono
dove abiti buttano via il tuo curriculum», con gli impiegati del comune
che quando vanno a rinnovare i documenti «ci chiamano faccia da arabo»,
con i poliziotti che se li fermano per strada li insultano. Sono quasi
tutti immigrati di seconda generazione, arabi e africani ma anche
armeni, turchi curdi, nella maggiorparte dei casi con i loro bei
documenti francesi in tasca. Se la vita dei genitori è stata difficile,
ma almeno qualche passo avanti l'hanno fatto, la loro è e sarà peggio,
anche se se sono nati qui. Così ce l'hanno con la Francia in quanto
tale, che si riempie la bocca di belle parole ma non li accetta: lo
slogan vergato a spray un po' ovunque è «nique la France», «fotti la
Francia». Spesso sui muri basta l'acronimo: «NLF». Non è politica?
Dipende dai punti di vista.

Questi ragazzi sanno benissimo che la
legge, in teoria, sarebbe dalla loro parte ma, poiché vedono che le
cose vanno assai diversamente, invece di denunciare gli abusi e le
vessazioni da parte dei poliziotti accumulano la rabbia per farla
esplodere alla prima occasione. Come e dove capita, magari solo per
battere i coetanei della cité vicina nella speciale classifica delle
auto in fiamme. Nessun dubbio, se potessero brucerebbero qualcos'altro,
innanzitutto il commissariato di polizia più vicino. In questi giorni
però sta cambiando qualcosa: qualche poliziotto sta pagando per le sue
violenze e loro cominciano a riprenderli con le telecamere dei
telefonini. Chissà se servirà.

Gli arrestati di questi giorni nella
banlieue lionese hanno al massimo 25 anni, alcuni sono minorenni e
chiamarli delinquenti è più stupido che incendiare una macchina. Vanno
a scuola regolarmente o lavorano, gli spacciatori e nelle banlieue ci
sono ma la rivolta non è affar loro, preferiscono avere meno polizia in
zona. Uno solo, su una quindicina di arrestati, risulta disoccupato. E
i processi per direttissima sono uno schiaffo alla patria dei diritti
umani: verbali di polizia presi per oro colato, avvocati d'ufficio
giovanissimi che se ne fregano bellamente, condanne come se piovesse a
due, tre o anche quattro o cinque mesi di «prison ferme», che vuol dire
carcere senza condizionale anche agli incensurati. Udienze di pochi
minuti e via. Un padre di famiglia impiegato ai servizi sociali di un
comune di banlieue ha dovuto subire la predica del giudice di suo
figlio, minorenne ancora per sei mesi: «Ma come l'ha allevato questo
ragazzo? Vergogna». Non aveva benzina, non è stato colto in flagrante
ma era lì: condannato.

Ancora una ventina di auto, tra venerdì e
sabato, sono andate a fuoco anche a Venissieux e in altri centri della
banlieue est di Lione, come Villeurbanne e Vaux. Non si segnalano
incidenti più gravi. Nella notte precedente il più allarmante era stata
una sassaiola, quattro poliziotti «leggermente feriti» secondo le
laconiche informazioni ufficiali. Insomma contusi. E per la notte tra
mercoledì e giovedì Lione era al centro delle cronache per il
sabotaggio di una centralina elettrica, due ore di completo black out
sulla metà est della seconda città di Francia: i responsabili, a quanto
si è appreso, non erano i giovanissimi «esclusi» delle banlieue ma
dipendenti della compagnia elettrica Edf militanti del sindacato legato
al partito comunista, la Cgt, che sono andati al di là di quanto
stabilito dalla loro centrale in lotta contro la privatizzazione del
colosso elettrico. Se sono stati loro, lavoratori français de souche
(al 100 per cento, per farla breve) e non banlieusard, è molto meno
grave, nessuno se ne occupa più. Ma la circostanza mette in imbarazzo i
comunisti, che a Venissieux non sono affatto all'opposizione e anzi
detengono i posti chiave: André Gerin, uomo dell'ala ortodossa del
vecchio Pcf, è sindaco di questa cittadina di 60 mila persone nonché
deputato all'assemblea nazionale. L'altra sera era in tv, su France2,
insieme al ministro dell'interno conservatore Nicolas Sarkozy, il
«duro» che ha alimentato l'incendio chiamando i giovani in rivolta
«vagabondi» e «feccia». «Mon ami André», «mon ami Nicolas», così si
rivolgevano l'uno all'altro.

E' un uomo potente, monsieur le député-
maire, e non solo a livello locale. Con una lettera aperta a Marie
George Buffet, segretaria del Pcf, nei giorni scorsi Gerin ha chiesto e
ottenuto che il partito facesse marcia indietro sulla richiesta delle
dimissioni di Sarkozy. Gran bel colpo per uno che fa concorrenza al
Front National nella caccia al voto operaio e popolare. Poi, quando il
presidente Chirac si è svegliato e ha detto che per il momento è
prioritario «ristabilire l'ordine», solo dopo dirà cosa pensa di fare
per le periferie urbane, il deputato-sindaco Gerin ha preso carta e
penna e ha scritto all'inquilino dell'Eliseo: «Monsieur le président,
sottoscrivo il suo impegno a ristabilire l'ordine. La République è
minacciata. Si intravedono i germi della guerra civile. Tutti i
responsabili politici, di sinistra e di destra, devono parlare con una
sola voce. E' l'ora del rassemblement républicain per estirpare la
cancrena e la barbarie». E' il lessico di Sarkozy? Nell'ultima campagna
elettorale Gerin aveva stampato manifesti con la scritta «no alla
droga, no alla delinquenza». Nel Pcf c'è di meglio ma purtroppo anche
di peggio. Quel che importa è che sia servito a vincere, qui a
Venissieux. Perché qui tutti hanno paura. Della disoccupazione,
dell'esclusione sociale e dei Crs ma anche dei delinquenti, di chi dà
fuoco alle macchine e di chissà cos'altro. E la politica si fa sulla
paura.

Le violenze sono «in calo», ripetono le fonti ufficiali. Calo
leggero. Si viaggia a un ritmo di 600 auto bruciate e 200 fermi e
arresti ogni notte e Lione, dopo aver detto di no per diversi giorni,
il prefetto ha deciso il coprifuoco. «Ma questa di bruciare le macchine
non è una novità, succede anche in periodi normali, ma di solito non se
ne occupa nessuno, a parte chi abita qui e la polizia, stavolta invece
arriva anche la stampa estera», chiarisce un altro abitante impegnato
di Venissieux, Hocine, 39 anni, algerino, padre di quattro figli e
animatore di Aube, associazione socio-culturale di Venissieux con
velleità politiche meno forti di DiverCité ma appartenente alla stessa
rete dei movimenti di banlieue, in passato promotore di una lista
civica che ha preso un po' di voti ma non il 12,5 per cento che serve
per andare al secondo turno e al consiglio comunale. Hocine, cameriere,
è musulmano praticante ma vive, lavora e fa politica a fianco di atei
dichiarati, esattamente come tanti cattolici praticanti: «Se c'è una
chiave che non consente di leggere la crisi è quella dell'estremismo
religioso». Ha ragione.

Anche gli attacchi agli autobus, che hanno già
portato a una sorta di coprifuoco indiretto perché i mezzi pubblici
interrompono le corse alle 18 anziché a mezzanotte, non sono nuovi.
Tempo fa hanno tagliato alcuni alberi, sostituendoli con tristi
ringhiere lungo un viale, perché erano l'ideale per nascondersi e
tirare sassi sui mezzi pubblici: «I controllori dei bus sono poliziotti
falliti», taglia corto un giovane di Venissieux. Dorothée a suo modo
conferma: «Non sopporto che mi diano del tu quando controllano il
biglietto». Ma tra gli obiettivi dei rivoltosi, al di là di Venissieux,
troviamo anche scuole e centri sociali di quartiere, quel poco di buono
che lo stato ha offerto.

Moti nichilisti, non c'è dubbio. Però hanno a
riattivato il tessuto associativo di banlieue, in crisi da un pezzo.
Aube, DiverCité, Agorà (Vaux en Velin) e altri gruppi dovrebbero
mettere su un coordinamento che oggi non c'è, se non di fatto, e
promuovere azioni comuni. Tra gli attivisti qualche raro iscritto al
partito socialista e qualche simpatizzante dei Verdi e della Ligue
communiste (Lcr), ma i partiti nel complesso sono su un altro pianeta.
DiveCité, che svolge un ruolo simile a quello del Mouvement immigration
banlieue (Mib) a Parigi e dei Motivés legati ai rapper di Zebda a
Tolosa, ha lanciato la parola d'ordine dell'amnistia per gli arrestati,
ma non tutti sono d'accordo. «Bisogna evitare che la situazione
esploda, offrire degli sbocchi», insiste Hocine, che vent'anni fa era
in mezzo alla strada e oggi trattiene il figlio maggiore
quattordicenne. Dopo vent'anni e passa di rivolte in banlieue, sempre
uguali e sempre scatenate da abusi di polizia veri o presunti, tutti si
attendono esplosioni di ben altra intensità."