ORE 18: SULLA STAMPA DI VENERDI 19 LUGLIO
Corriere 19.4.19
II Guerra mondiale
Atene chiederà risarcimenti alla Germania
La
Grecia chiederà ufficialmente alla Germania il pagamento del
risarcimento - calcolato in circa 290 miliardi di euro - per le
distruzioni e i massacri provocati dal Terzo Reich. Berlino respinge la
richiesta greca: non sono previsti «ulteriori risarcimenti» rispetto ai
115 milioni di marchi dell’intesa stipulata nel 1960.
La Stampa 19.4.19
“Piange troppo, così starà zitto”
Donna strangola il figlio di 2 anni
di Edoardo Izzo
Piangeva
e voleva tornare a casa dalla nonna. Gli ho stretto il collo e chiuso
la bocca per farlo stare zitto». Donatella Bona, 28 anni, ha confessato
con queste parole l’omicidio del figlio Gabriel Faroleto, di due anni,
avvenuto due giorni fa mentre stavano rientrando a casa, nel comune di
Piedimonte San Germano (in provincia di Frosinone) dopo un incontro con
il papà del piccolo, dal quale la giovane era separata. Ai carabinieri
della compagnia di Cassino in un primo momento la ragazza aveva dato una
versione ben diversa: «Me l’hanno ammazzato. Mi hanno investito con mio
figlio in braccio», aveva detto. Ma i militari non le hanno creduto. E
con lei hanno ricostruito in auto il percorso che la donna aveva
raccontato di aver fatto, arrivando fino al presunto luogo
dell’investimento, in località Volla, dove non c’era nessun segno
corrispondente a un incidente, nemmeno una sgommata.
Poche lacrime
Le
prime ammissioni della mamma sono iniziate lì. Poi, davanti al suo
avvocato e al pm di Cassino, Valentina Maisto, la confessione. Poche
lacrime, solo all’inizio. Un racconto freddo, secondo quanto è
trapelato. «Non ce la facevo più», avrebbe detto Donatella agli
inquirenti. La donna si sarebbe anche dichiarata consapevole degli anni
di carcere che l’aspettano. Ma sono due particolari raccapriccianti a
rendere ancora più sconcertante l’accaduto. La ragazza ha dei graffi
sulle braccia che indicano un tentativo disperato di difesa da parte del
bambino, mentre veniva soffocato. Ma non solo: una volta compiuto
quello che viene per ora classificato come omicidio volontario, con
incredibile freddezza, la giovane mamma si sarebbe rimessa a camminare
verso la casa che le avevano lasciato i genitori, in località Volla a
Piedimonte San Germano, iniziando a pensare al copione da recitare. Un
particolare quest’ultimo che evoca il caso Cogne.
Il corpo del
piccolo Gabriel è ora nella camera mortuaria dell’ospedale Santa
Scolastica di Cassino dove sarà sottoposto a un’autopsia, su
disposizione della procura. La madre, invece, è nel carcere femminile di
Rebibbia. La tragedia ha sconvolto la piccola comunità di Piedimonte
San Germano dove circola la voce che Donatella nei giorni precedenti
sarebbe stata più volte in ospedale per attacchi di panico e ansia.
Tuttavia non risulta che fosse da tempo in cura per problemi mentali,
come invece è stato detto da alcuni vicini.
Repubblica 19.4.19
L’intervista
Parla il giurista De Siervo ex presidente della Corte costituzionale
"I voleri del ministro elevati a legge Così si mette in crisi lo Stato di diritto"
di Liana Milella
ROMA
«Il ministro dell’Interno Matteo Salvini sta continuando a utilizzare
alcuni modesti agganci della legislazione vigente per espandere, o
addirittura creare, nuove prescrizioni. Alcune volte sicuramente
incostituzionali».
Non ha dubbi Ugo De Siervo, ex presidente della
Corte costituzionale, nel ritenere che Salvini «stia mettendo in crisi
lo Stato di diritto».
Non le pare che le ultime mosse di Salvini violino lo Stato di diritto bypassando leggi o decreti?
«Basta
la direttiva di due giorni fa sulla Mare Jonio in cui alla fine il
ministro "dispone di vigilare affinché il comandante della nave" faccia
ciò che lui reputa opportuno e poi affidi alle autorità militari e di
polizia l’esecuzione del suo ordine, come se fosse diventata legge una
sua semplice valutazione».
Viene imposta ex novo una norma senza un regolare voto delle Camere?
«Si
dà alle autorità militari e di polizia il compito di eseguire la
volontà del ministro, non quella del legislatore. Quindi si legittima
l’uso dei poteri repressivi, nonché l’eventuale uso della violenza, per
far eseguire i desiderata del ministro e non la legge in vigore».
È lecito chiudere i porti con le circolari a capitanerie e
Marina?
«La
legge non prevede nulla del genere. E un ministro non può inventarsi un
potere che la legge non gli attribuisce. Altra cosa è che eserciti i
suoi poteri su tutti coloro che sbarcano nei porti italiani».
Hanno ragione il ministero della Difesa e la Marina a non riconoscere le direttive?
«Certamente
il ministro dell’Interno cerca di espandere i suoi poteri anche su
alcune autorità militari, il che non è assolutamente previsto
dall’ordinamento».
Come giudica le intercettazioni di militari della Marina che danno ordini ai libici senza norme che lo autorizzino?
«Alcuni
mesi fa il governo ha escluso in Parlamento che la Marina svolga
attività diverse da quelle logistiche. Invece scopriamo che nostri
militari cooperano con la Guardia costiera libica per riportare in Libia
persone che da lì si siano imbarcate verso l’Europa. Ma com’è mai
possibile qualcosa del genere? Ed è impressionante che tutto ciò venga
attribuito al ministro dell’Interno, che invece rimprovera aspramente e
combatte le organizzazioni a tutela dei migranti».
È propaganda a fini elettorali o queste norme, seppure di destra, sono possibili?
«Alcune
non esistono neppure, altre è possibile dedurle dalla legislazione,
anche se sono molto discutibili. Per esempio alcune applicazioni della
nuova legge sulla sicurezza pubblica».
Le ordinanze per le "zone
rosse" delle città finiscono per colpire pure i denunciati, in barba
alla presunzione di innocenza: sono costituzionali?
«È una previsione
legislativa molto discutibile soprattutto perché limita fortemente le
libertà di soggetti solo denunciati ma non condannati neppure in primo
grado. Tra l’altro sarebbe assai più efficace semmai denunziare o
arrestare persone sospette, perché non serve spostare il problema da una
zona all’altra, occorre ridurre o eliminare il fenomeno».
La subordinazione dei sindaci ai prefetti è possibile?
«Sono
pienamente d’accordo con l’Anci, che ha fatto presente il ruolo
determinante dei sindaci in materia, senza che si possa far credere che a
ciò possano provvedere dei pur autorevoli funzionari dello Stato».
Salvini cancella "per direttiva" lo Stato di diritto?
«Lo Stato di diritto appare alquanto in crisi».
Repubblica 19.4.19
Tensioni in periferia a Roma
Donne in prima linea
Presidiano la chiesa e il parroco cede niente più pacco viveri per i rom
Alcune donne della Magliana, a Roma, si oppongono alla distribuzione di pacchi alimentari alle famiglie rom
di Paolo G. Brera
Roma
Da ieri nella parrocchia di frontiera di San Gregorio Magno alla
Magliana, turbolenta periferia romana, il pacco degli aiuti alimentari è
diventato sovranista. «Prima gli italiani! » , avevano intimato i
fedeli a don Antonio Interguglielmi, chiedendogli di smettere di
distribuire aiuti ai rom e concentrarsi «sui nostri poveri » . Obiettivo
incredibilmente centrato: «È un grande, don Antonio. Prima gli
italiani, ha confermato » , celebrano su Facebook nella chat di
quartiere.
Il tam tam della protesta era montato a neve quando dalla
porta laterale della parrocchia era iniziata la processione multietnica
per la tradizionale distribuzione pasquale degli aiuti ai bisognosi.
Mercoledì un gruppo di infuriati ha affrontato don Antonio strappandogli
la promessa: « Ci siamo messi d’accordo, ha detto che d’ora in poi
avrebbe pensato prima a noi » , spiega Vera, 52 anni, cuore nero in
CasaPound. Ieri, a impedire l’accesso ai rom c’era un presidio di sole
mamme ( con, a pochi metri, i tatuaggi sui bicipiti dei mariti). « Gli
abitanti verificano che il parroco, essendosi reso conto che la cosa coi
rom gli era sfuggita di mano, continui a distribuire solo a chi ha più
bisogno. E noi guardiamo con attenzione», dice il referente di CasaPound
Alessandro Calvo. Sempre in palla, i neofascisti: hanno montato un
gazebo per distribuire pure loro, davanti alla chiesa, pane e pasta «ai
veri indigenti».
Kostel, 47enne romeno del campo della Magliana, ha
tentato inutilmente di entrare in parrocchia: «Mi hanno chiesto: dove
vai? Sei residente? Ecco i documenti, ho risposto, ma mi hanno cacciato.
Mai successo, in tanti anni » . Cacciati col beneplacito di don
Antonio: «Eravamo andate dal parroco — racconta Vera — per dirgli che la
gente dona pensando di aiutare i poveri del quartiere, invece restano
senza pacchi per colpa dei rom » . « Ci siamo messi d’accordo — conferma
don Antonio — non posso rischiare che esploda un’altra Torre Maura. La
parrocchia è enorme, il quartiere difficile. Devo placare gli animi. Ai
rom ho già distribuito 50 pacchi di Pasqua, ai residenti 120. Ora prima
gli italiani, sì. Devo occuparmi soprattutto dei 30mila residenti
affidati a me, i rom sono questione che riguarda più Caritas». «Non
siamo mica razzisti», dicono Danila e altre mamme del presidio citando
amori interetnici e solidarietà senza bandiere: «Ho 3 figli, uno
invalido, e lavora solo mio marito. Non arriviamo a fine mese ma
lasciamo il pacco a chi ha più bisogno. Vi par giusto che vada ai rom?».
La Stampa 19.4.19
“Così abbiamo trovato l’anima di Buscetta”
La storia di un uomo che ha tradito la propria famiglia perchè questa ha tradito lui»
di Francesco La Licata
Don
Masino Buscetta ha avuto due grandi nemici, due implacabili che lo
hanno accompagnato per gran parte della sua esistenza: Totò Riina e
Pippo Calò, entrambi boss più che affermati, autoproclamati unici
interpreti dell’essenza mafiosa, dei costumi, della «cultura» e della
«ideologia» di Cosa nostra. Sistema dei «valori» che vede in cima alla
propria scala soprattutto l’omertà. E così è stato gioco facile, per
entrambi, tentare di annientare la figura del grande nemico gettandogli
addosso il marchio del traditore. È ovvio che un Buscetta pentito avesse
poco spazio per rintuzzare l’attacco: i muri di Palermo si riempivano
di scritte sull’infamia del tradimento di don Masino, i bambini che
giocavano ai mafiosi si offendevano a vicenda chiamandosi «cornuto e
Buscetta». La sorella di Masino, vedova per «colpa» del fratello
«infame» lo aveva maledetto. Insomma il Traditore non navigava in buone
acque e il peggio doveva ancora arrivare con la testimonianza pubblica,
quando cioè il pentito si sarebbe dovuto presentare nell’aula bunker di
Palermo, davanti alla platea mafiosa dei suoi ex amici in gabbia, per
ripetere quanto aveva detto a Giovanni Falcone, nel chiuso delle mura
della Questura di Roma, dove aveva risposto a tutte le domande.
L’Italia
intera - quindi - chi per semplice curiosità, chi per consapevolezza
dell’importanza della posta in gioco, rimaneva in attesa della reazione
del «Traditore». Qualcuno, specialmente tra la folta schiera degli
avvocati difensori e di qualche politico, si augurava un «ritorno di
saggezza» di Buscetta e la conseguente scelta di «non confermare» e
quindi ritrattare tutto. Così Masino sarebbe rimasto «infamato» a
vita.
Ma non andò così. Buscetta non fece un’arringa difensiva, anzi.
Avanzò nel silenzio dell’aula giudiziaria, già ammutolita nel vederlo
esente da tentennamenti, e immediatamente ribaltò l’accusa di
tradimento. «Io non sono un pentito - disse al presidente Giordano -.
Sono loro che devono pentirsi di qualche cosa», aggiunse indicando gli
odiati nemici in gabbia. «Sono loro che hanno tradito Cosa nostra»:
chiaro, esplicito il riferimento alla strategia stragista e sanguinaria
dei «corleonesi». Il «Traditore» che accusa i suoi nemici di alto
tradimento, mentre sullo sfondo corre un pezzo importante della nostra
recente storia, anche politica.
Attorno a questo tema ruota il film del
maestro Marco Bellocchio che passa al microscopio le menti e i
sentimenti dei protagonisti, le loro debolezze, i loro incubi, le gioie e
i dolori di tanti uomini perduti. E lo stesso Buscetta non è mai «uno»:
è dolente per la tragica fine dei figli, è violento, è tenero con la
sua terza moglie, è innamorato ma non perde d’occhio la missione
intrapresa col giudice Giovanni Falcone. Sembra sincero quando cammina
sulla linea sottile della confessione giudiziaria alternata ai racconti
privati, con cui cerca di spiegare il senso del «tradimento» operato da
Riina. Con Calò ha gioco ancora più facile perchè gli getta addosso la
terribile responsabilità di averlo privato dei figli che lui, Buscetta,
gli aveva affidato nel momento in cui abbandonava la Sicilia: «Tu non
hai fatto nulla per salvarli».
Resta evidente, oggi, a distanza di 30
anni, l’importanza giudiziaria delle rivelazioni di Buscetta. Ma più
importante è stato il colpo che il pentito ha inferto all’immagine e
alla credibilità di Cosa nostra. Masino ha fatto piazza pulita
dell’ipocrisia e delle falsità su cui si reggeva la forza della mafia:
basti pensare a tutte le favole sul rispetto delle donne e dei bambini o
sulla sacralità di giuramenti e dichiarazioni di amicizia. Masino ha
delegittimato Cosa nostra, rivelando al suo popolo che il re è nudo e
Riina, lui sì, «è stato il traditore e l’uomo che ha distrutto la
mafia».
il manifesto 19.4.19
Marco Bellocchio: «La figura di Tommaso Buscetta unisce orrore e moralità»
Cannes 72. Il regista racconta il lavoro sul boss mafioso divenuto collaboratore di giustizia
di Cristina Piccino
ROMA
Era tra quelli che rimbalzavano nelle voci sui possibili concorrenti al
prossimo Festival di Cannes da molti giorni, ma la certezza è arrivata
solo ieri, con l’annuncio ufficiale di Frémaux: Il traditore, il nuovo
film di Marco Bellocchio, sarà in concorso a Cannes, unico titolo
italiano – almeno per ora – nella selezione ufficiale. «Naturalmente
sono contento di essere a Cannes, il concorso è una gara e posso solo
accettarla cercando di fare il più bel film possibile, correndo
freneticamente perché c’è veramente poco tempo» ha detto il regista
ieri, in un rapido incontro convocato a Roma nella sede di Rai cinema
(che ne è produttore insieme a IBC Movie, Kavac Film, i francesi Ad
Vitam, i tedeschi The Match Factory). Poche parole, rimandando a una
conversazione «più approfondita» sulla Croisette dopo la visione.
Sappiamo
tutti quale è il soggetto de Il traditore, Tommaso Buscetta, il «boss
dei due mondi», uno dei primi importanti collaboratori di giustizia che
con le sue testimonianze ha permesso ai magistrati di conoscere il
sistema di Cosa nostra. Ma il cinema di Bellocchio non è un cinema di
«biopic», piuttosto lavora sull’interpretazione, sulle sfumature, sulle
ambiguità. Lui dice che Il traditore è diverso da tutto ciò che ha fatto
fino adesso, e se deve trovare qualcosa che gli si avvicina potrebbe
essere Buongiorno notte, in cui rileggeva il caso Moro. Spiega: «Anche
qui i personaggi si chiamano coi loro veri nomi,a differenza che in
Buongiorno notte però sono osservati in pubblico, nel teatro del
maxiprocesso di Palermo o in altri tribunali. Per me Il traditore è un
lavoro personalissimo, lo definirei un film civile ma senza ideologia né
retorica».
LA STORIA inizia con l’arresto di Buscetta – che sullo
schermo ha il volto Pierfrancesco Favino – in Brasile, a San Paolo, nel
1983. È allora che il giudice Giovanni Falcone gli propone di
collaborare, lui rifiuta ma intanto l’Italia ne chiede l’estradizione e
quando viene concessa Buscetta tenta il suicidio. Sa bene che il ritorno
a Palermo significa per lui una condanna, la guerra che lo oppone ai
corleonesi di Totò Riina ha ucciso già numerosi dei suoi familiari. È
per questo che accetterà di collaborare? «C’è senz’altro una componente
di calcolo nella sua decisione in cui conta anche molto però l’affetto
per Falcone- dice Bellocchio – La figura di Buscetta unisce orrore e
moralità. Si parla di ’tradimento’ ma le questioni sono molto più
complesse. Buscetta ha ’tradito’ la propria famiglia, ha reciso le sue
radici e se lo ha fatto è stato in qualche modo per salvare la propria
vita…».
NON DIRÀ tutto però don Masino, non subito. Quei rapporti tra
mafia e politica per esempio rimasero un buco nero per anni nonostante
le insistenze di Falcone e degli altri magistrati. «Lo stato non è
pronto» era la sua risposta. Sarà solo dopo l’estate del 1992 che
Buscetta, dal suo bunker segretissimo in qualche parte dell’America,
dove poi morirà di cancro nel 2000, inizia a rivelare quei legami. Cosa
nostra ha appena ammazzato Falcone e la sua scorta facendo esplodere la
strada tra Palermo e l’aeroporto di Capaci. Poco dopo verrà ucciso sotto
casa della madre anche il giudice Paolo Borsellino. Buscetta parla e fa
il nome di Salvo Lima (ucciso poco prima) potentissimo andreottiano in
Sicilia, il cui padre secondo il racconto di Buscetta – che lo descrive
come il suo referente più diretto – era già affiliato a Cosa nostra. Per
arrivare a Andreotti il quale sarebbe stato il mandante dell’omicidio
del giornalista Mino Pecorelli divenuto troppo pericoloso – accusa da
cui il leader dc venne poi prosciolto.
«Falcone ha un capitolo
specifico nella storia che si riapre con la sua morte – aggiunge
Bellocchio – É allora infatti che Buscetta decide di svelare i rapporti
tra i politici e la mafia».
il manifesto 19.4.19
Lucifero, la stella del mattino
di Alberto Olivetti
L’origine
del male ed il suo attestarsi nel mondo, pur negli orientamenti diversi
che contrassegnano le interpretazioni bibliche e, in distinti filoni,
la letteratura neotestamentaria e la molteplice elaborazione cristiana
dei primi secoli, si rappresenta nella vicenda che vede protagonista
l’arcangelo Lucifero.
È l’argomento della tragedia Lucifer di Joos
van den Vondel (1587-1679), rappresentata per la prima volta ad
Amsterdam il 2 febbraio del 1654: Gabriele araldo di Dio annuncia agli
angeli “il mistero della Incarnazione futura, per cui Dio unisce la sua
natura non a quella dell’angelo, bensì a quella dell’uomo e dona ad
ambedue pari potenza e maestà. Allora Lucifero, invidioso, decide di
divenire simile a Dio ed impedire all’uomo l’accesso al cielo. Vinto,
trascina nella rovina, per vendetta, il primo uomo ed i suoi
discendenti, mentre egli e i suoi angeli ribelli, precipitati
nell’Inferno, sono dannati per sempre”. Il mondo che nel sesto giorno
della creazione, come si legge in Genesi, Dio contempla compiacendosi
nel costatare che “le cose che aveva fatto erano molto buone”, è
incrinato nelle fondamenta.
Del resto, “il male, scrive Tullio
Gregory, che nel Genesi si manifesta nella tentazione del serpente
(creatura di Jahvè, ‘astuta’ ma senza caratteri demonici) e
nell’infrazione di Eva e di Adamo, doveva trovare un più ampio scenario,
tale da coinvolgere tutta la creazione. All’origine del male, continua
Gregory (cito da Il principe di questo mondo. Il diavolo in Occidente),
non poteva porsi solo la disobbedienza della prima coppia umana a un
comando divino, ma una più profonda crisi nell’ordine creato da Jahvè”.
Intendo porre in rilievo un aspetto del capolavoro di Vondel, come egli
cioè rappresenti il tema del male facendo costante ricorso a panorami di
cieli, còlti nelle loro straordinarie mutazioni. Non per caso Walter
Benjamin allude ad una influenza di Vondel quando registra che “anche
nel dramma barocco tedesco lo spettacolo della natura entra sempre più
sulla scena drammatica”.
Mi limito a due esempi. Il secondo atto
della tragedia si apre con il lamento di Lucifero, insidiato dall’uomo
nel suo rango presso Dio. La diminuzione della sua forza, compromessa
dalla presenza nel creato dell’uomo, induce Lucifero a trattenere gli
spiriti alati, dicendo loro: “avete portato abbastanza in alto la stella
del mattino di Dio. Cessate di ornare di ghirlande e corone le vesti di
Lucifero; non indorate più la sua fronte d’una aureola di stelle
mattutine e di raggi. Un altro fulgore s’innalza dal seno della luce
divina ed offusca la nostra, così come il sole offusca, agli abitanti
della terra, lo splendore delle stelle.
Una notte profonda copre gli
angeli e tutti i soli dei cieli”. La stella del mattino portatrice della
prima luce appare velata ora che Lucifero pronuncia le sue parole
dolenti. Con esse si appanna la limpidezza del cielo e la chiara
luminosità pare scemata. Il suo inarrestabile diffondersi risulta
impedito da una sospensione che ne inibisce l’espandersi e preclude alla
potenza dell’arcangelo la sua incontrastata estensione.
Se non
l’Empireo, sede di Dio, ora i nove cieli concentrici che, retti dalle
gerarchie angeliche si muovono in svolgimenti ordinati, sono
attraversati da una oscillazione, da un ignoto tremore. Non così ad
apertura del dramma, quando ancora non è nota agli angeli la decisione
divina e Lucifero invia Apollione sulla terra perché riporti notizie
“circa la sorte felice di Adamo e la situazione in cui l’Onnipotente
l’ha posto”. L’inviato ritorna: “già si alza rapidamente sotto i nostri
occhi e attraversa l’un dopo l’altro i cerchi dell’Empireo.
Il suo
volo è più rapido del vento, e dappertutto le sue ali fendono le nubi,
lasciandosi dietro una lunga scia di luce spendente. Già lo circonda
un’aria più pura, già egli si immerge in questa fulgida luce; già vede
questo sole ultrasplendente i cui raggi giocano in una sfera d’azzurro”.
Vondel insiste in una descrizione naturalistica dei cieli. Così scenari
che ti sono consueti – le mutazioni della volta celeste per variare di
nubi e di luci, l’alternarsi delle albe e dei tramonti, del pieno sole e
delle notti illuni – ti si offrono come ragionamenti compiuti sul male
del vivere.
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