Repubblica 11.2.19
L’intervento
Quella nuova idea d’Europa che possiamo far nascere insieme
di Jacques Attali
Tutta
la mia vita si è nutrita di Italia: ne ho imparato la lingua molto
presto, la sua letteratura mi ha sempre scombussolato (mi limiterò a
citare Primo e Carlo Levi), la sua poesia non mi lascia mai (da Dante a
Leopardi), il suo teatro è insuperabile (Goldoni e Pirandello), la sua
scultura è fondatrice (dai romani fino a Cattelan, passando per il
Bernini), la sua architettura (con Vasari e Renzo Piano), la sua
filosofia (cito Gramsci e Agamben), la sua musica è universale (da
Scarlatti a Berio), la sua pittura, con mille nomi (da Giotto a Boetti),
l’opera non sarebbe nulla senza Verdi, Puccini, Bellini e tanti altri,
la sua cucina è essenziale per il mondo (sul pianeta vengono consumati
ogni anno 30 miliardi di pizze?) e poi il suo cinema con mille nomi, da
Visconti a De Sica. E non basta ancora, forse: è stata, a più riprese e
sotto diversi nomi, al centro del mondo. Con Roma, naturalmente, a cui
dobbiamo tanto. Roma, erede delle tradizioni greca e giudaica, e dove si
installò la culla di una terza forma di universalità, con il
cristianesimo. Ma anche con Venezia e poi con Genova, che furono, fra il
Duecento e la metà del Cinquecento, delle superpotenze immense, i
corrispettivi della New York del Novecento. Oggi l’Italia resta una
potenza universale per la sua industria (lo sapevate che esporta e
innova ben più della Francia?), per i suoi marchi (nel campo della moda o
della alimentazione) e per tanti altri aspetti. È ben di più dei suoi
politici, che hanno poco spazio nel suo pantheon. Che lo voglia o no,
l’Italia è qualcosa di più di una nazione. È un’idea così potente che ha
dimenticato per millenni di farsi nazione, prima di diventarlo solo
centoncinquanta anni fa o giù di lì.
E in questo contesto che va
ricollocata la disputa attuale. Non si riduce agli insulti ridicoli
lanciati da qualche politico maleducato che cerca di puntellare una
popolarità traballante; non è soltanto
Jacques Attali
L’autore,
75 anni, nato ad Algeri, è un economista, saggista e banchiere francese
un’inquietante manifestazione di una nostalgia del periodo più nero
della storia italiana, il ventennio fascista. È anche un momento
importante, in cui una grandissima idea, universale, ci dice che non
vuole morire e vuole continuare a giocare un ruolo nella Storia del
mondo. E innanzitutto nella Storia d’Europa. La Francia si trova di
fronte alle stesse angosce. Pur essendo una nazione da più di mille
anni, è anche un’idea. E nulla è più fecondo che quando l’idea-Italia e
l’idea-Francia si alimentano a vicenda. È una cosa che ha regalato mille
capolavori (che cosa sarebbe il Rinascimento senza l’incontro fra
Leonardo da Vinci e Francesco I?). È una cosa che può costruire
l’Europa. La risposta migliore che si possa dare alla situazione
attuale, dunque, non è ammantarsi di indignazione reciproca, ma tendere
la mano, dialogare, tra scrittori, intellettuali, artisti, imprenditori,
studiosi, professori, medici, sindacalisti, partiti politici,
associazioni, perché dalle nostre due idee-nazioni nasca finalmente una
nuova idea, l’idea-Europa, che abbiamo tutto per far progredire insieme.
D’altronde,
è già in gestazione. E perfino quando un ministro italiano commette la
sgarberia di venire in Francia a parlare con persone che vogliono
fomentare un colpo di Stato, dice, suo malgrado, che il dibattito oggi
non è più nazionale, ma europeo. E che conviene far vivere questa Europa
a cui il mondo deve tanto, e che potrebbe morire soltanto per suicidio.
(Traduzione di Fabio Galimberti)