La Stampa 11.2.19
Brexit, i guai dei britannici riguardano anche noi
di Caterina Soffici
L’altra
sera mia madre, che vive a Firenze, ha telefonato allarmata per sapere
se qui a Londra andava tutto bene. Aveva sentito alla radio di un piano
per evacuare la regina in caso di rivolte. L’ho tranquillizzata che è
tutto sotto controllo, che Elisabetta in fuga in elicottero con i
cagnetti corgy è una bella scena per il prossimo James Bond, ma è la
cosa meno probabile in tutto il caos della Brexit. Visto che la famiglia
reale non ha lasciato Buckingham Palace sotto le bombe tedesche nel
1940, è alquanto inverosimile che fugga adesso. Anzi, ho aggiunto,
proprio in questi giorni la regina, in visita nella contea di Norfolk,
si è lasciata scappare una frasetta in cui esortava i politici, di
qualsiasi colore, a mettersi d’accordo su questa benedetta Brexit per il
bene del Paese. E siccome Elisabetta II non parla mai, perché il suo
ruolo istituzionale prevede il silenzio, quelle rarissime volte che le
fugge una parola, è sempre un messaggio molto forte alla nazione. Lo
fece, per esempio, con il referendum della Scozia, per tenere unito il
regno.
Non ne avevano parlato, alla radio, dell’appello di
Elisabetta? Ho chiesto a mia madre. Certo è meno spettacolare
dell’elicottero sul prato del palazzo, ma perché la Brexit viene sempre
raccontata in Italia con questa grande enfasi negativa, con un
allarmismo e un sensazionalismo che non rispecchia mai la realtà?
Un’altra
storia fantastica è quella dei supermercati: code per approvvigionarsi
in caso di uscita traumatica, con conseguente blocco delle frontiere e
quindi gente che fa scorte di cibo e beni di prima necessità. Qualche
fanatico l’avrà anche fatto, ma è come dire che la Terra è piatta perché
una manciata di idioti si ritrovano a convegno per discuterne. Brexit è
stato uno di quei grandi errori in cui la storia incappa per accidente.
Ma ormai ci siamo e cerchiamo di farci tutti meno male possibile.
Invece in Europa c’è questo sottofondo vendicativo, una compiacimento
punitivo che non giova a nessuno. Theresa May ha preso un’altra porta in
faccia a Westminster? Ben le sta, così ci pensavano prima questi
supponenti di inglesi. Una porta in faccia anche a Bruxelles? Meglio,
così vedranno come si sta male fuori dall’Ue. Con un corollario di
frasine, che ci riportano diritti diritti agli Anni Trenta e a una certa
retorica fascista: chi si credono di essere, questi inglesi? Perfidi
albionici, non ci sono più Francis Drake né la regina Vittoria, né
l’Impero. Che finiscano nella pece e questo valga da monito per tutti
gli altri con velleità anti-europeiste, in Italia e altrove.
Ma ci
dimentichiamo che in Inghilterra vivono quasi un milione di italiani.
Sono per lo più giovani, studenti e non, cervelli o meno, molte braccia
anche, di camerieri, cuochi e commessi. Tante famiglie, che qui hanno
trovato un futuro e un lavoro ben pagato, quando in Italia erano
disoccupati o veniva loro offerto uno stipendio da fame. Perché
comunque, nonostante questo clima di incertezza che ha rallentato la
crescita dell’economia inglese, gli stipendi nel 2018 sono cresciuti del
14 per cento (secondo l’ultimo report dell’Ons, Office for National
Statistic, l’Istat di qui), l’incremento più alto di tutto il decennio.
Augurando all’Inghilterra di finire male, non vi viene in mente che
finiranno male anche i nostri concittadini? Volete che tornino in
Italia, a casa dalla mamma, a ingrossare le frotte dei richiedenti
reddito di cittadinanza? E che dire dell’export? Delle aziende? Delle
migliaia di attività italiane qui? Qualunque cosa accada al Regno Unito
dopo la Brexit, ci riguarda direttamente, che ci piaccia o no.
Altro
discorso è il clima di xenofobia che si respira in giro. Ma questa è
tutta un’altra storia, di cui parleremo un’altra volta.