La Stampa 11.2.19
“Forniture e potere tribale
Dal gas venduto ai cinesi incassano fiumi di denaro”
di fra. gri.
Era
il marzo del 2009, e Alfredo Mantica, sottosegretario pro-tempore agli
Esteri, sbarcava a Aşgabat, la capitale del Turkmenistan. «Una città
incredibile, che sembrava costruita con il Lego, di vetro e marmo, nel
deserto. Nella piazza principale, un’incredibile statua in oro del padre
della patria che girava su sé stessa perché il leader guardasse sempre
il sole». Mantica era lì per parlare di gas.«L’Eni aveva un problema.
Qualche anno prima aveva acquistato una società petrolifera inglese
puntando a un business in Uganda che poi si rivelò un fallimento, ma in
cambio si ritrovava un ricco giacimento di gas in Turkmenistan. Ne venne
fuori un caso davvero incredibile».
In che senso, Mantica?
«Il
presidente Gurbanguly Berdymukhamedov si rifiutava di riconoscere i
diritti dell’Eni. Faceva un discorso molto semplice quanto brutale: io
qui sono il padrone di casa, voi italiani dovete trattare con me».
E voi
trattaste. L’amministratore delegato Paolo Scaroni andò a omaggiarlo,
come anche lei. Berlusconi ricevette Berdymukhamedov a palazzo Chigi
qualche mese dopo e furono firmati quattro memorandum. Subito dopo
aprimmo un’ambasciata e così loro a Roma.
«Ci rendemmo conto che quel
Paese ex sovietico, fatto di deserti, nomadi e cavalli, aveva un immenso
patrimonio di gas naturale. Pensi che fino a quel momento si andava
avanti con un console onorario nella sua pizzeria».
Il Turkmenistan è
una dittatura spietata, però.
«Certo non è una democrazia
all’occidentale. È una realtà totalmente a sé, con alcune stranezze: una
volta all’anno, i parlamentari devono fare una corsa in piazza e salire
per una scalinata di 300 gradini. Se non ce fanno, addio seggio. Il
vero potere si basa sui clan. Sa come andò, no? L’ex segretario
comunista s’inventò un partito liberale, vinse le elezioni, e finì il
comunismo...».
Problemi?
«Mai. Unico incidente, mi portarono in visita
alla moschea. Era istoriata al solito con versetti. “Il Corano”, dissi.
Mi fulminarono con gli occhi:”No, il nostro Fondatore”. Aveva fatto
fuori Maometto».
Da allora i rapporti con l’Italia si sono fatti sempre
più stretti.
«Cercavano nuovi mercati per il gas, emancipandosi dai
russi. Noi pure volevamo emanciparci dalle forniture russe. Era il tempo
della prima crisi ucraina e si parlava già di un gasdotto verso
l’Europa che doveva chiamarsi Nabucco. Intanto i turkmeni strinsero un
accordo con i cinesi: ora esportano quasi tutto lì. Ricordo che appena
intavolarono le trattative con la Cina, guarda caso, il gasdotto verso
la Russia saltò in aria...».
Di concerto con le relazioni diplomatiche e
con gli affari, cominciarono le forniture di armi. Ricorda?
«Fino al
2011, quando ero responsabile dell’ufficio che dà le autorizzazioni alle
esportazioni di armi, il Turkmenistan non è mai comparso. Dopo, non
so».