Repubblica 18.1.19
Lo storico Andreas Roedder
"Ma la Ddr intuì la debolezza di Gorbaciov"
intervistadi Tonia Mastrobuoni
BERLINO
Dieci anni fa lo storico Andreas Roedder ha scritto la più documentata
storia della caduta del muro di Berlino e della riunificazione tedesca.
Deutschland einig Vaterland ("Germania patria unita", C. H.
Beck)
si legge ancora oggi come una cronaca viva di quei mesi che chiusero il
"secolo breve". In questa intervista, mentre lo studioso di Magonza sta
ultimando un libro sul conservatorismo — Roedder è membro della Cdu — ci
racconta cosa significò l’89.
Professore, a partire dai primi
mesi del 1989, in Germania Est nacquero sempre più movimenti pronti a
sfidare apertamente il regime di Erich Honecker.
Quell’accelerazione si spiega con la perestroika che Michail Gorbaciov aveva avviato in Unione sovietica?
«Fu
il combinato disposto di tre cose. Primo, la perestroika. Che significò
anche che l’Urss rinunciò al suo potere sui Paesi satelliti.
Secondo,
una leadership nella Ddr che non si mostrò più in grado di mantenere
credibilmente il potere. Terzo, i movimenti di opposizione che
accelerarono grazie alle prime due premesse».
Come mai Honecker fu
l’ultimo - forse con l’unica eccezione del romeno Ceausescu - a capire
la portata della rivoluzione di Gorbaciov? Perché si irrigidì fino alla
fine?
«Penso che Honecker sia stato invece il primo a capire la
perestroika, a comprendere che non sarebbe andata da nessuna parte. Ciò a
cui aspirava Gorbaciov fallì: Honecker capì per primo che quel tipo di
riforme liberali non erano compatibili con quel tipo di comunismo».
Ma
se avesse capito le conseguenze politiche della perestroika non avrebbe
dovuto aprirsi prima, come fecero ad esempio gli ungheresi?
«Honecker
sapeva benissimo che la Ddr era un caso a parte. Con la caduta dei
regimi in Polonia o in Ungheria, i Paesi sopravvissero. Le Germanie,
all’epoca, erano due. La fine del regime avrebbe messo a rischio la
sovranità della Ddr».
Ecco, la crudeltà del regime tedesco e la
pervasività dei suoi famigerati servizi segreti, la Stasi, si spiegano
anche col fatto che di là del muro c’era un altro pezzo di Germania?
«Esatto. Era l’eterna ipoteca sull’esistenza della Ddr».
A
proposito di due Germanie. Facciamo un salto in avanti. Neanche tre
settimane dopo la caduta del Muro, il 28 novembre, Helmut Kohl va al
Bundestag e vagheggia una Germania unificata. Mezzo mondo cade dalla
sedia. Cosa lo portò a quel colpo di genio?
«Kohl non è mai stato
un intellettuale. Ma aveva istinto politico. Anche sull’Europa. Quando
cadde il Muro, lui capì immediatamente che l’elefante nella stanza era
quello: la riunificazione. Agì per non perdere il controllo.
Si
mise a capo della rivoluzione. Altrettanto importante come il 28
novembre fu la sua visita a Dresda il 19 dicembre: i cittadini che lo
acclamarono lì rafforzarono la spinta che portò alla rapida
riunificazione».
Pensa che la cautela della Spd in quei mesi
cruciali – dopo decenni di ostentata Ostpolitik – abbia contribuito al
fatto che a Est non sia mai diventato un partito forte?
«Assolutamente.
Non è mai riuscita a "scaldarsi" all’idea della riunificazione. Ma la
Spd è anche stata "catturata" dai movimenti di opposizione.
E si è
totalmente chiusa — come i Verdi — rispetto ai membri della Sed, del
partito del regime. La Cdu di Kohl si è mostrata più flessibile. E le
elezioni di marzo del 1990 hanno dimostrato che aveva ragione lui e che i
movimenti di opposizione che tanto avevano fatto per buttare giù il
Muro, non avevano la maggioranza nel Paese».
Ci sono decisioni di
quei mesi - ad esempio il cambio 1:1 del marco dell’Est e dell’Ovest o
l’adeguamento dei salari - che sembravano economicamente folli ma si
sono rivelate politicamente inevitabili. O no?
«Sì, furono
inevitabili. Sul mercato nero il marco dell’Ovest ne valeva otto o dieci
dell’Est. E i salari della Ddr valevano un terzo di quelli dell’Ovest.
Pensi
se si fosse scelto il cambio 1:2, il valore dei salari sarebbe crollato
a un sesto. La grande emergenza, allora, era la migrazione di massa da
Est a Ovest. Una decisione meno generosa avrebbe accelerato
quell’esodo».
Come disse qualcuno la gente "votava con i piedi"…
Allargando il campo all’Europa: come fece Kohl a convincere i tedeschi a
rinunciare all’unico simbolo di potere che si erano concessi nel
dopoguerra, il marco?
«Semplice. Non li convinse a rinunciare al
marco: lo fece e basta. L’euro non è il prezzo della Germania per la
riunificazione: è il prezzo per la sua forza economica in Europa già
negli anni ’80. Alcuni cruciali passi verso l’euro erano stati
intrapresi prima del 1989. Quelle tedesche furono concessioni ex post
per la sua forza economica in Europa, il motivo per cui i francesi
volevano l’euro e la banca centrale. E ricordiamocene: i tedeschi
volevano prima la convergenza economica, poi la moneta. Prevalse la
teoria opposta, francese ma anche italiana, che introdusse la moneta
unica per poi sperare in una convergenza futura».