Repubblica 14.11.18
Il dibattito
“Una città non vive solo di turismo”
Se una città d’arte perde la residenza perde anche cò che la rende attraente per i visitatori
Residenti fuggiti e sostituiti da Airbnb. Il destino dei centri storici può essere lasciato in balia del mercato?
Dopo Cervellati e Cacciari, interviene Alessandro Leon
Intervista di Francesco Erbani
Una città che vede spopolate le aree centrali, i nuclei storici, è una città meno efficiente e più costosa.
E
le conseguenze del mal funzionamento si propagano in tutto l’organismo
urbano. Parola dell’economista Alessandro Leon, presidente di Cles,
centro studi che in oltre trent’anni ha accumulato una cospicua mole
d’indagini su cultura e sviluppo, sui beni culturali e dunque sul valore
di una città storica.
Quali sono i costi dello spopolamento?
«Una
città densa garantisce servizi migliori. Una città che si svuota nelle
sue aree centrali deve invece rincorrere brandelli che si sparpagliano
nel territorio e non può assicurare la stessa qualità ai propri
abitanti. Pensi a quanto costa un sistema di trasporti costretto a
raggiungere insediamenti lontani per garantire a tutti il diritto alla
mobilità».
Questa è una delle conseguenze del calo di residenti di una città storica?
«Certamente.
Spesso non si riflette sull’esito delle espulsioni: dove va ad abitare
chi lascia i centri storici? È andato a star meglio o peggio? E quali
sono i costi che la collettività sopporta per queste migrazioni?»
Ma dal suo punto di vista, quali sono le cause del calo di residenti?
«La
rendita urbana nelle aree storiche è cresciuta. E chi non ce la fa a
sopportare questo aumento è costretto ad andar via. Lasciare che siano
solo le regole del mercato a determinare l’assetto di una città è un
errore politico e strategico. E gli effetti sono verificabili a livello
economico e sociale perché la vita di una città va in affanno. Una città
storica abitata favorisce la ripresa del commercio, evita che prevalga
la specializzazione turistica, stimola la varietà dei servizi offerti,
impedisce che si chiudano cinema e teatri».
Lei parla di specializzazioine turistica. Fra le cause di questo fenomeno molti indicano proprio il turismo. È d’accordo?
«Il
turismo è uno dei fattori. Incide in maniera cospicua sulla residenza,
perché assicura rendite molto elevate. Non attribuirei al turismo tutte
le responsabilità. Il turismo è una delle più grandi industrie
planetarie, garantisce ricchezza in molte circostanze, nelle città
medio-piccole, ad esempio. È certo però che il turismo va regolato, non
può assumere una posizione dominante».
Perché?
«Perché se
una città storica perde la residenza, perde una delle caratteristiche
che la rendono attraente. E dunque il turismo rischia di veder deperita
la risorsa che lo alimenta. È il pericolo che corre Venezia, un caso
estremo in questo senso».
Lei parlava dei costi dello
spopolamento. Ma le città storiche si spopolano anche perché sono
elevati proprio i costi. Quelli di manutenzione, per esempio.
«È
vero, ma qui deve intervenire la mano pubblica. Accertata la convenienza
che le città storiche non si svuotino, si deve agire con politiche che
favoriscano il ripopolamento.
Non è facilissimo, ma occorre essere ambiziosi».
Quali politiche si possono
adottare?
«Qualcosa
già si fa, ma è necessario garantire contributi per il risanamento, per
il restauro e poi per ridurre i consumi e per migliorare la resa
energetica. Credo anche che si possa ricostruire in una città storica e
non solo recuperare quelle antiche.
Inoltre si può agire con la
leva fiscale favorendo massicciamente l’affitto in centro storico ai
giovani che vogliono risiedervi: nelle città storiche allo spopolamento
si affianca l’invecchiamento dei residenti».
Ma il mercato è alterato da quello turistico.
«E
allora si riduca al minimo la convenienza di affittare per uso
turistico. Sto parlando di misure concrete. Un’occasione la vedo anche
nella discussione sul reddito di cittadinanza: perché non si converte il
contributo monetario in un’agevolazione a riabitare la città storica,
invece di limitarsi a un sussidio?».
Sono sufficienti le politiche abitative o c’è bisogno anche d’altro?
«Leggo
dichiarazioni troppo rassegnate di politici o di amministratori, che
inanellano solo tentativi fallimentari di riportare funzioni pregiate
nelle città storiche. Mi pare però che manchino riflessioni ragionate.
Per esempio su quel che potrebbero fare le università, con le loro
attività di ricerca. Oppure le imprese: quanti servizi non strettamente
legati alla produzione possono tornare o essere collocati in centro.
Penso alle strutture di commercializzazione, di comunicazione, di
design. Insomma a tutto quello che viene prima e dopo la produzione.
Purtroppo è carente il governo di questi fenomeni».
Chi dovrebbe esercitarlo questo governo?
«Si
tratta di scelte urbanistiche connesse a politiche industriali. Ma
spesso le decisioni risalgono alle Regioni o anche allo Stato centrale. I
sindaci lasciano fare oppure si affidano a consorzi e quindi si perdono
di vista le ricadute territoriali di queste decisioni».