La Stampa 21.10.18
Lo choc che serve al Pd
di Federico Geremicca
Ormai
l’espressione si è trasformata quasi in un luogo comune, e come tutti i
luoghi comuni contiene - naturalmente - un nocciolo di verità:
l’opposizione non esiste. Lo si legge e lo si sente dire spesso, e la
frase - buttata qua e là in un editoriale o in un talk show - fa sempre
un bell’effetto.
Ci si riferisce, in particolare, all’opposizione
che dovrebbe esercitare il Pd: e questa cantilena funebre comincia a
trasformarsi in un grosso problema per un partito che prova a ripartire.
Infatti, annotate tutte le differenze (il riferimento possibile è
al dramma dell’’immigrazione) la sensazione è che il Partito
democratico sia finito vittima di quella che potremmo definire la
maledizione della percezione. E dunque, così come la drastica riduzione
del numero degli sbarchi non è servita a cancellare la percezione che
l’Italia sia oggetto di un’invasione, allo stesso modo le iniziative del
Pd (giuste o sbagliate che siano) sembrano non scalfire la generale
convinzione, appunto, che «l’opposizione non esiste».
Se le cose
stessero davvero così - e molti segnali sembrano confermarlo - è chiaro
che per i democratici la strada sarebbe destinata a farsi ancora più in
salita. Del resto, è stato forse lo stesso Pd a mettere il primo mattone
di questa sorta di gabbia dell’irrilevanza nella quale si trova
rinchiuso, nel momento in cui scelse la linea dell’isolamento subito
dopo il voto. La sensazione che l’opposizione fosse fuori gioco (non
esistesse, appunto) cominciò a formarsi allora: e da allora quella
percezione si è via via radicata.
E proprio come per
l’immigrazione, ciò è accaduto anche a dispetto dei fatti. Il Pd, certo,
ha perso molte occasioni per tornare in campo: ma non è più immobile, e
da un po’ sta provando a riavviare i motori. Opposizione parlamentare
«stile Cinquestelle», una buona manifestazione di piazza (quella di fine
settembre a Roma), l’avvio del percorso congressuale con candidature
vere e contrapposte, perfino l’elaborazione di una (anzi due...) manovre
economiche alternative a quella del governo. In termini di consenso,
però, poco o nulla si è mosso, perché le percezioni sono difficili da
modificare: e per farlo, a volte, può servire uno choc.
Da dove
partire? Forse non più dal nome del leader da eleggere segretario, bensì
dal profilo - etico e politico - del partito che quel leader dovrà
guidare. E un profilo che non si fermi al solito elenco di virtù e di
cose da fare ma renda esplicita, con coraggio, quella che un tempo si
sarebbe chiamata politica delle alleanze. Al di là della costruzione di
«campi larghi» e «liste aperte», insomma, con chi pensa di potersi
alleare - domani - il nuovo Partito democratico?
Non è questione
liquidabile come «politicista»: una risposta chiara a questo quesito,
anzi, potrebbe cominciare a rimettere in movimento energie e
disponibilità (anche lontano dal Pd) oggi in disparte per l’assenza di
una direzione di marcia chiara. Messa necessariamente da parte la
cosiddetta «vocazione maggioritaria», i democratici pensano che il
Movimento Cinque Stelle - diviso in più anime, alcune delle quali in
sofferenza di fronte alle politiche leghiste - possa essere un futuro
alleato di governo? O ragiona, al contrario, intorno ad una qualche
forma di nuovo patto con Berlusconi e quel che resta del centro?
È
evidente che per chiedere voti bisogna spiegare con chi si intende poi
spenderli: e indicare i Cinquestelle o Forza Italia, come possibili
alleati, non è precisamente la stessa cosa. Certo, ci si potrebbe
rifugiare (come accaduto fino a ora) in generici richiami a fronti
progressisti che, al momento, paiono però lontanissimi all’orizzonte.
Se
questa fosse la scelta, la percezione cambierebbe, certo: non più
l’opposizione non esiste, bensì l’opposizione riflette ma prima o poi
deciderà. Troppo poco per tentare la risalita in tempi di politica
semplificata e slogan truci. Si dica con chiarezza, insomma (ed a farlo
dovrebbero essere prima di tutto i candidati alla segreteria) cosa sarà
il Pd e con chi farà accordi in futuro. Il dibattito potrebbe muovere
energie e riservare sorprese. Perché, come da sempre, una scelta è
sempre più comprensibile di una non scelta.