giovedì 10 maggio 2018

Repubblica 10.5.18
Il prezzo da pagare ad Arcore
di Stefano Folli


Il Quirinale aveva lasciato aperto uno spiraglio per l’accordo politico, fino a rinviare l’incarico al premier “neutro”. E improvvisamente lo spiraglio è diventato una larga breccia. O almeno così pare.
La prospettiva di elezioni in piena estate ha sconvolto protagonisti e comprimari di questo psicodramma che va in scena dai primi di marzo. Ed ecco che Di Maio e Salvini sono ora a un passo dal realizzare il loro matrimonio politico: quello che non si era fatto in due mesi si sta facendo in poche ore.
Per quanto, va detto, s’intravede un mosaico segnato da non poche contraddizioni e punti da chiarire.
A cominciare dalla politica estera e dalle scelte economiche coerenti con gli impegni europei. In ogni caso è evidente che le pressioni su Berlusconi hanno cambiato il quadro. Hanno convinto l’anziano leader – in base a un preciso calcolo di convenienza politica e personale – a concedere quella sorta di “nulla osta” che consente alla Lega di stringere la trattativa con i Cinque Stelle. In cambio di cosa? Per il momento è venuto meno il “veto” formale del M5S nei suoi confronti: il minimo che Berlusconi poteva chiedere e ottenere. Ma c’è da credere che l’ex presidente del Consiglio non si accontenterà di questo. In fondo il centrodestra si trova nella condizione analoga a quella del Pd quando stava per sedersi al tavolo con Di Maio. Allora, pochi giorni fa, Renzi decise di mettersi di traverso e mandò all’aria un’operazione che probabilmente avrebbe portato a un’intesa fra il centrosinistra e il movimento. Oggi invece Berlusconi ha fatto i suoi conti e ha lasciato andare Salvini. È una mossa che sarebbe stata impensabile ancora poco tempo fa. Ma le alternative per il fondatore di Forza Italia erano tutte peggiori. Adesso almeno può negoziare qualcosa, forse può persino contrastare e rallentare il declino irreversibile di un esperimento politico, il berlusconismo, nato quasi 25 anni fa e oggi in procinto di arrendersi ai tempi nuovi. Intanto è chiaro che alla trattativa Salvini è andato da solo: non quindi nelle vesti di leader del centrodestra, bensì in quelle meno appariscenti di capo della Lega.
Titolare di poco più della metà dei voti e del peso politico esibiti da Di Maio.
Alle spalle non ha un centrodestra compatto, bensì l’astensione acidula dell’alleato maggiore e il rancore di Fratelli d’Italia, esclusi senza tanti complimenti dall’intesa a due. In secondo luogo, il via libera di Forza Italia ha un costo. Non bastano le frasette rispettose di Di Maio invece degli insulti. Berlusconi lascia partire lo strano convoglio M5S-Lega ma non gli darà la fiducia parlamentare. Si limiterà a garantire, appunto, un’astensione cangiante, ora benevola ora critica.
Inoltre i ministeri più importanti e forse la figura stessa del premier – avvolta per ora in un alone di mistero – dovranno ottenere il suo gradimento e in qualche caso essere espressione della sua area, ossia la componente “moderata” del centrodestra. Quella più vicina ai Popolari tedeschi che a Marine Le Pen e Orban. In altri termini, Berlusconi sarà una presenza incombente, almeno nei primi tempi. Per cui oggi Di Maio vince la sua battaglia, pur senza entrare nell’esecutivo, ma ci sono buone probabilità che la sua sia una vittoria di Pirro. Non è detto che i militanti siano entusiasti del prezzo pagato a Berlusconi, quando ne avranno preso visione. E non è detto che non siano proprio i 5S a scottarsi quando si accorgeranno che nella “stanza dei bottoni” non ci sono i bottoni.