lunedì 16 aprile 2018

l’espresso 15.4.18
Sinistra in prestito
di Salvatore Borghese, Valeria Fabbrini e Lorenzo Newman
Dalle battaglie sociali alla partecipazione. Così il M5S si è impadronito di un’eredità. Per adesso o per sempre?
La traversata del deserto/2
Dopo l’intervento di Paola Natalicchio continua sull’Espresso la discussione sul destino della sinistra. Gli autori di questo articolo sono tre giovani ricercatori: Salvatore Borghese è caporedattore di Youtrend; Valeria Fabbrini è specializzata nel monitoraggio e valutazione degli investimenti e della spesa pubblica; Lorenzo Newman è Principal Consultant di Learn More


Essere di sinistra può assumere tante connotazioni: estetiche, industriali, clientelari, campanilistiche, e di policy. Di base, però, essere di sinistra rimanda a un ideale di giustizia sociale in favore dei meno abbienti. Nel solco di questa tradizione, secondo Norberto Bobbio, chi è di sinistra vede l’eguaglianza come il valore più importante. L’essere di sinistra significa senz’altro avere a cuore le condizioni di vita di chi sta peggio. È un’attitudine, prima ancora di essere una posizione politica. Con la fine della cortina di ferro, nasce il Washington Consensus. La convinzione, nel seno della sinistra istituzionale americana, che le soluzioni economiche tipicamente liberali - globalizzazione, competizione - rappresentino l’unica ricetta credibile per la crescita macroeconomica. La sempre minor attenzione all’egualitarismo che vediamo oggi nella sinistra italiana nasce qui, traducendosi per la prima volta in politiche pubbliche con la Terza via di Bill Clinton. Il primo ad adottare la Terza via in Europa è Tony Blair, seguito via via da altri colleghi europei, il principale punto di riferimento di Matteo Renzi.
In Italia l’establishment di sinistra, dai partiti ai sistemi di potere privato e pubblico che li circondano, è rimasto sostanzialmente immutato nell’ultimo quarto di secolo. I dati elettorali dal 2008 in poi dimostrano che il bacino elettorale di riferimento della sinistra ha visto cambiare radicalmente le proprie condizioni e prospettive socioeconomiche. La classe operaia che aveva sempre votato a sinistra si è progressivamente impoverita, invecchiata o precarizzata. La classe media ha visto ridursi drasticamente il proprio reddito procapite, in maniera talvolta vertiginosa. I dati più recenti evidenziano come il bacino elettorale di riferimento sia cambiato, diventando anziano e arroccandosi nei centri borghesi delle grandi città. In questo contesto si può capire cosa rappresenti realmente il Movimento agli occhi dell’elettorato e della sua potenziale classe dirigente solo capendone le sue battaglie identitarie sui media: il richiamo all’onestà e il sostegno ai poveri. L’onestà è predicata attraverso la battaglia sui vitalizi, il giustizialismo sommario verso i politici indagati e una retorica distruttiva nei confronti di qualsiasi autorità sospettata di corruzione. Il reddito di cittadinanza è l’espressione più concreta della battaglia contro la povertà. Sono temi che hanno una presa naturale su chi ha un profilo sociodemografico più giovane, tendenzialmente disagiato o comunque caratterizzato dall’aver subito le conseguenze della stagnazione economica che dura dal 2000. Il rapporto di fiducia tra l’elettorato dei Cinque Stelle e il suo nascente establishment passa per questa condivisione di obbiettivi. La vera proposta del Movimento però non risiede nei suoi contenuti ma nei processi decisionali. I Cinque Stelle teorizzano infatti la nascita di una democrazia digitale diretta, in cui Internet permette la formazione di un consenso su posizioni trasversali. Le primarie digitali, battezzate parlamentarie, e i referendum online su decisioni cruciali del Movimento, per quanto amatoriali o manipolative nella loro esecuzione, sono prassi fondanti. Consentono all’ex-elettore di sinistra di sentirsi nuovamente ascoltato da un establishment. Si tratta di un’idea di sinistra radicale. La genesi intellettuale della democrazia diretta digitale risale infatti ai campus universitari americani di sinistra. Discende intellettualmente dal sogno collettivista di Marx. E dunque: i processi partecipativi proposti dal Movimento sono, filosoficamente almeno, di sinistra. Le loro battaglie identitarie - onestà e sostegno ai poveri - sono di sinistra. Il bacino elettorale della sinistra - inteso sia come vecchi elettori che come profilo sociodemografico degli elettori del 2008 - è in buona parte defluito nei Cinque Stelle. La sinistra istituzionale paga l’aver tentato a lungo di offrire soluzioni al “discontento” senza dover ascoltare e rappresentare il “discontento”. Il Movimento, al contrario, nei suoi primi nove anni ha potuto ascoltare e rappresentare il “discontento”. I governi del centrosinistra hanno attuato misure di contrasto al disagio sociale come il reddito d’inclusione, ma raramente questa questione è stata al centro della loro retorica. La lotta alla corruzione e alle clientele è avvenuta concretamente attraverso provvedimenti come l’istituzione dell’Anac e il nuovo codice degli appalti, ma non sono riusciti a diventare elementi identitari dei partiti di sinistra. In tempi più recenti, scandali minori come quello di Banca Etruria hanno accresciuto l’impressione che l’establishment di sinistra sia un sistema di potere più che l’espressione di un consenso politico. Nella percezione mediatica, i simboli della sinistra odierna sono diventati confusi e autoreferenziali: il cashmere, i film in lingua originale, Capalbio. Ossessioni da élite che non sarebbero così derise se la sinistra istituzionale avesse mantenuto una capacità di ascolto e una rappresentanza da élite. Più che il fallimento di un leader, Renzi o D’Alema o Bersani, è un fallimento di leadership. Renzi è solo l’espressione finale di una tendenza pluridecennale. Similmente, i tanti delusi tra le aspiranti classi dirigenti del post ’92 stanno formando un nuovo establishment che, per quanto poco qualificato, sta sostituendo quello precedente. È verosimile che alcune componenti dell’attuale o aspirante classe dirigente di sinistra si lascino cooptare dai Cinque Stelle pur di sopravvivere o avere la propria occasione di ribalta. In alcune frange della società civile, sta già avvenendo. La sinistra italiana dovrebbe cambiare radicalmente visione politica per trovare o ritrovare una base. Potrebbe farlo in direzione centrista oppure tornando ai valori di sinistra tradizionale. Un cambio di paradigma potrebbe arrivare da un mutamento di leadership: in un caso Carlo Calenda, Nicola Zingaretti nell’altro. In entrambi i casi, bisogna partire dal riconoscimento che i Cinque Stelle si sono impadroniti di alcune battaglie storiche della sinistra. Strutturalmente e storicamente è molto raro che un establishment anziano viva grandi cambi di rotta. Ma in assenza di un cambio di rotta, è lecito dubitare che la sinistra istituzionale per come la conosciamo possa sopravvivere a questa legislatura.