l’espresso 15.4.18
Sinistra in prestito
di Salvatore Borghese, Valeria Fabbrini e Lorenzo Newman
Dalle battaglie sociali alla partecipazione. Così il M5S si è impadronito di un’eredità. Per adesso o per sempre?
La traversata del deserto/2
Dopo
l’intervento di Paola Natalicchio continua sull’Espresso la discussione
sul destino della sinistra. Gli autori di questo articolo sono tre
giovani ricercatori: Salvatore Borghese è caporedattore di Youtrend;
Valeria Fabbrini è specializzata nel monitoraggio e valutazione degli
investimenti e della spesa pubblica; Lorenzo Newman è Principal
Consultant di Learn More
Essere di sinistra può
assumere tante connotazioni: estetiche, industriali, clientelari,
campanilistiche, e di policy. Di base, però, essere di sinistra rimanda a
un ideale di giustizia sociale in favore dei meno abbienti. Nel solco
di questa tradizione, secondo Norberto Bobbio, chi è di sinistra vede
l’eguaglianza come il valore più importante. L’essere di sinistra
significa senz’altro avere a cuore le condizioni di vita di chi sta
peggio. È un’attitudine, prima ancora di essere una posizione politica.
Con la fine della cortina di ferro, nasce il Washington Consensus. La
convinzione, nel seno della sinistra istituzionale americana, che le
soluzioni economiche tipicamente liberali - globalizzazione,
competizione - rappresentino l’unica ricetta credibile per la crescita
macroeconomica. La sempre minor attenzione all’egualitarismo che vediamo
oggi nella sinistra italiana nasce qui, traducendosi per la prima volta
in politiche pubbliche con la Terza via di Bill Clinton. Il primo ad
adottare la Terza via in Europa è Tony Blair, seguito via via da altri
colleghi europei, il principale punto di riferimento di Matteo Renzi.
In
Italia l’establishment di sinistra, dai partiti ai sistemi di potere
privato e pubblico che li circondano, è rimasto sostanzialmente immutato
nell’ultimo quarto di secolo. I dati elettorali dal 2008 in poi
dimostrano che il bacino elettorale di riferimento della sinistra ha
visto cambiare radicalmente le proprie condizioni e prospettive
socioeconomiche. La classe operaia che aveva sempre votato a sinistra si
è progressivamente impoverita, invecchiata o precarizzata. La classe
media ha visto ridursi drasticamente il proprio reddito procapite, in
maniera talvolta vertiginosa. I dati più recenti evidenziano come il
bacino elettorale di riferimento sia cambiato, diventando anziano e
arroccandosi nei centri borghesi delle grandi città. In questo contesto
si può capire cosa rappresenti realmente il Movimento agli occhi
dell’elettorato e della sua potenziale classe dirigente solo capendone
le sue battaglie identitarie sui media: il richiamo all’onestà e il
sostegno ai poveri. L’onestà è predicata attraverso la battaglia sui
vitalizi, il giustizialismo sommario verso i politici indagati e una
retorica distruttiva nei confronti di qualsiasi autorità sospettata di
corruzione. Il reddito di cittadinanza è l’espressione più concreta
della battaglia contro la povertà. Sono temi che hanno una presa
naturale su chi ha un profilo sociodemografico più giovane,
tendenzialmente disagiato o comunque caratterizzato dall’aver subito le
conseguenze della stagnazione economica che dura dal 2000. Il rapporto
di fiducia tra l’elettorato dei Cinque Stelle e il suo nascente
establishment passa per questa condivisione di obbiettivi. La vera
proposta del Movimento però non risiede nei suoi contenuti ma nei
processi decisionali. I Cinque Stelle teorizzano infatti la nascita di
una democrazia digitale diretta, in cui Internet permette la formazione
di un consenso su posizioni trasversali. Le primarie digitali,
battezzate parlamentarie, e i referendum online su decisioni cruciali
del Movimento, per quanto amatoriali o manipolative nella loro
esecuzione, sono prassi fondanti. Consentono all’ex-elettore di sinistra
di sentirsi nuovamente ascoltato da un establishment. Si tratta di
un’idea di sinistra radicale. La genesi intellettuale della democrazia
diretta digitale risale infatti ai campus universitari americani di
sinistra. Discende intellettualmente dal sogno collettivista di Marx. E
dunque: i processi partecipativi proposti dal Movimento sono,
filosoficamente almeno, di sinistra. Le loro battaglie identitarie -
onestà e sostegno ai poveri - sono di sinistra. Il bacino elettorale
della sinistra - inteso sia come vecchi elettori che come profilo
sociodemografico degli elettori del 2008 - è in buona parte defluito nei
Cinque Stelle. La sinistra istituzionale paga l’aver tentato a lungo di
offrire soluzioni al “discontento” senza dover ascoltare e
rappresentare il “discontento”. Il Movimento, al contrario, nei suoi
primi nove anni ha potuto ascoltare e rappresentare il “discontento”. I
governi del centrosinistra hanno attuato misure di contrasto al disagio
sociale come il reddito d’inclusione, ma raramente questa questione è
stata al centro della loro retorica. La lotta alla corruzione e alle
clientele è avvenuta concretamente attraverso provvedimenti come
l’istituzione dell’Anac e il nuovo codice degli appalti, ma non sono
riusciti a diventare elementi identitari dei partiti di sinistra. In
tempi più recenti, scandali minori come quello di Banca Etruria hanno
accresciuto l’impressione che l’establishment di sinistra sia un sistema
di potere più che l’espressione di un consenso politico. Nella
percezione mediatica, i simboli della sinistra odierna sono diventati
confusi e autoreferenziali: il cashmere, i film in lingua originale,
Capalbio. Ossessioni da élite che non sarebbero così derise se la
sinistra istituzionale avesse mantenuto una capacità di ascolto e una
rappresentanza da élite. Più che il fallimento di un leader, Renzi o
D’Alema o Bersani, è un fallimento di leadership. Renzi è solo
l’espressione finale di una tendenza pluridecennale. Similmente, i tanti
delusi tra le aspiranti classi dirigenti del post ’92 stanno formando
un nuovo establishment che, per quanto poco qualificato, sta sostituendo
quello precedente. È verosimile che alcune componenti dell’attuale o
aspirante classe dirigente di sinistra si lascino cooptare dai Cinque
Stelle pur di sopravvivere o avere la propria occasione di ribalta. In
alcune frange della società civile, sta già avvenendo. La sinistra
italiana dovrebbe cambiare radicalmente visione politica per trovare o
ritrovare una base. Potrebbe farlo in direzione centrista oppure
tornando ai valori di sinistra tradizionale. Un cambio di paradigma
potrebbe arrivare da un mutamento di leadership: in un caso Carlo
Calenda, Nicola Zingaretti nell’altro. In entrambi i casi, bisogna
partire dal riconoscimento che i Cinque Stelle si sono impadroniti di
alcune battaglie storiche della sinistra. Strutturalmente e storicamente
è molto raro che un establishment anziano viva grandi cambi di rotta.
Ma in assenza di un cambio di rotta, è lecito dubitare che la sinistra
istituzionale per come la conosciamo possa sopravvivere a questa
legislatura.