Repubblica 28.2.18
L’anniversario
“Vogliamo il mondo e lo vogliamo ora” Il ’68 anticipato dai Doors
Con
l’urlo disperato di “When the music’s over” la band preannunciò la
rivoluzione culturale che sarebbe esplosa l’anno successivo
“Quella rabbia Jim Morrison la portò sul palco” ricorda il chitarrista Robby Krieger
di Ernesto Assante
ROMA
Sono passati 50 anni da quando i Doors, nel 1968, divennero una band di
successo, conquistando la cima delle classifiche con Hello, I love you,
un brano lontanissimo dalle tensioni e dalle passioni di quell’anno.
Secondo
Robby Krieger, il chitarrista della band, «in realtà quella canzone era
una sorta di antidoto. Il mondo era in fiamme, Jim aveva scritto quella
poesia, quella canzone, molto tempo prima, ci sembrava il modo giusto
per ricordare che l’amore restava il centro di tutto». Il 1968 per i
Doors era in realtà cominciato l’anno precedente, quando Morrison e i
suoi compagni avevano dato voce alla gioventù che si era messa in
movimento in tutto il mondo con un brano, When the music’s over il cui
climax era una frase che Jim Morrison urlava in un momento di vuoto
musicale, una sorta di dichiarazione di guerra, un desiderio che
sembrava poesia ma era realtà: “Noi vogliamo il mondo e lo vogliamo
ora”. Era la perfetta introduzione a un anno terribile che avrebbe visto
i Doors toccare i vertici massimi del loro successo e Jim Morrison
entrare in una spirale di alcol e delirio che lo avrebbe portato alla
morte nel giro di soli tre anni.
Morrison, assieme a Jimi Hendrix,
incarnava il 1968, con la sua straordinaria mescolanza di poesia,
ribellione, elettricità e arte, meglio di molti altri artisti rock,
metteva in scena senza filtri la febbre che aveva colpito una intera
generazione che non voleva altro che bruciare i ponti dietro se stessa e
affrontare il futuro conquistandolo, cambiando le regole del gioco.
«Non
era facile stargli dietro», ricorda Robby Krieger, «anzi, era spesso
impossibile. Jim era irregolare e imprevedibile, così come creativo e
esplosivo.
Quell’anno fu per noi un’altalena incredibile di
emozioni, successi, disastri, aperture, crolli, che ci portò dalla gioia
alla disperazione». Il successo fu chiarissimo: la band registrò
all’inizio dell’anno, non senza clamorose difficoltà proprio per
l’erratico comportamento di Morrison, Waiting for the sun e l’album,
spinto dalla potenza di un singolo come Hello, I love you, che arrivò al
primo posto delle classifiche di vendita, spinse i Doors, che già erano
nell’Olimpo del rock, nel pieno della stardom popolare.
Il 1968
dei Doors, celebrato negli anni da diversi dvd e in particolare dal film
Feast of friends realizzato durante il tour di quel turbolento anno, fu
nelle parole di Krieger «un anno davvero strabiliante.
L’atmosfera
era incendiaria ovunque e in moltissimi concerti il pubblico, stimolato
dall’atteggiamento di Jim in scena, si lasciava andare, saliva sul
palco, scatenava disordini.
Jim era incontrollabile e proprio all’inizio dell’anno fu arrestato.
Per noi era molto chiaro che sia in America che in Europa la situazione stava esplodendo.
E per molti versi Jim lo rappresentava sul palco.
C’era
la guerra in Vietnam e noi incidemmo, proprio nel 1968, Unknown
soldier, una canzone diretta e forte contro la guerra, che scatenò
grandi polemiche, molte radio si rifiutarono di trasmetterla. Dal vivo
avevamo costruito una piccola scena quando la suonavamo: io puntavo la
mia chitarra contro Jim come se fosse un fucile, John Densmore colpiva
la sua batteria con un colpo secco e Jim cadeva sul palco come se fosse
morto: la gente impazziva». Il tour del 1968 fu il primo che la band di
Morrison portò in Europa, «quasi ovunque c’erano ragazzi arrabbiati, era
diverso dagli Stati Uniti dove c’erano moltissimi hippie. E vedevano
Jim come un nuovo messia, in grado di parlare di poesia e di
rivoluzione, e i Doors come una band che lavorava per cambiare il
mondo».
Tra le registrazioni del 1968 per Waiting for the sun ce
n’è una che è entrata nella leggenda, quella di Celebration of the
lizard, forse il brano che meglio rappresenta la rivoluzione poetica di
Jim Morrison all’epoca. Il brano, estremamente complesso in termini
testuali e musicali doveva occupare un’intera facciata dell’album.
«Provammo a registrarlo molte volte, ma il fatto che fosse composto da
sette diverse sezioni, di avere lunghe parti recitate, di essere diverso
da tutto quello che nel rock era stato fatto fino ad allora, ci metteva
in difficoltà e ogni volta qualcuno di noi era scontento, soprattutto
Jim.
E alla fine non lo mettemmo sull’album». In realtà non lo
misero su nessun album, venne proposto dal vivo e divenne il centro non
solo delle performance dei Doors ma anche del pensiero di Morrison, che
iniziò a vestire i panni del “Re lucertola”. Il brano uscì per la prima
volta in Absolutely live nel 1970, una versione registrata nel 1968 fu
pubblicata per la prima volta nel 2003 in un’antologia.
Da quel
momento, dal 1968 e dalla mancata registrazione di Celebration of the
lizard inizia il percorso verso l’inferno di Jim Morrison, fatto di
alcol, poesia, delirio, eccessi, arresti e alla fine della musica. In
questi giorni viene pubblicato per la prima volta il video completo
dell’esibizione dei Doors al festival di Wight nel 1970, l’ultima
esibizione dei Doors della quale ci sono immagini filmate. E il cuore di
quella esibizione è proprio la “fine della musica”, l’addio di
Morrison, una magnifica versione, di oltre 11 minuti, di When the
music’s over, dove l’urlo “Noi vogliamo il mondo e lo vogliamo adesso” è
solo sussurrato. Di lì a poco sarebbe davvero finito tutto.