La Stampa 28.2.18
Malatesta e l’azione anarchica
di Massimiliano Panarari
Anche
nel panorama del pensiero anarchico otto-novecentesco c’è stata una
specificità nazionale. L’Italia è stata una piazza fondamentale
dell’anarchismo, ma rispetto ai suoi big filosofici (come il francese
Pierre-Joseph Proudhon e i russi Michail Bakunin e Petr Kropotkin) a
prevalere qui fu la dimensione dell’attivismo (a partire da quello
rivoluzionario); e, quindi, i teorici della Penisola furono anch’essi
tutti presi e assorbiti dall’azione diretta, e non produssero mai opere
sistematiche.
Un approccio che contraddistinse in particolare
Errico Malatesta (1853-1932), protagonista di primo piano del movimento
anarchico e operaio internazionale, il quale, tra un processo e una
fuga, tra una detenzione e un moto sovversivo, si dedicò intensamente
all’attività editoriale e giornalistica – dal settimanale L’Agitazione
al periodico Volontà, dalla direzione nei primi anni Venti del
quotidiano Umanità nova (che arrivò alla tiratura di 50mila copie,
sopravanzando L’Avanti, e venne poi chiuso dal regime fascista), fino al
quindicinale Pensiero e volontà.
La casa editrice Elèuthera
pubblica un’antologia di suoi saggi e scritti giornalistici col titolo
di Buon senso e utopia (pp. 272, euro 15; a cura di Giampietro N.
Berti). Dai quali emerge con nettezza come la preoccupazione principale
di Malatesta non fosse la ricerca di un fondamento teoretico per
l’anarchia, ma la traduzione della dottrina in prassi.
La sua,
dunque, era fondamentalmente una teoria dell’azione, che distingueva il
fine (l’anarchia) dal mezzo (l’anarchismo), e si proponeva di illustrare
la validità universale dell’idea. Da intendersi quale aspirazione che
trascende le contingenze e i contesti particolari, e si sostanzia nella
libertà quale fine ultimo della storia. Il fondamento della visione
anarchica non voleva essere così razionale o deterministico – e
Malatesta puntava a differenziarla dal socialismo, dal comunismo e dalle
altre ideologie rivoluzionarie presenti sul mercato politico dell’epoca
– ma morale ed etico. Con tutto il conseguente spazio per il
volontarismo sociale e lo spontaneismo insurrezionale.