Il Fatto 2.2.18
“The Party”
Sì, è qui la festa e non risparmierà nessun ospite
di Federico Pontiggia
“The
Party”, ovvero la festa e il partito. A tenerli insieme è la raffinata,
idealista e rampante Janet (Kristin Scott Thomas), che è stata appena
nominata ministro della Sanità del governo ombra: il coronamento della
propria attività politica, che intende celebrare invitando a cena gli
amici più intimi nella sua bella casa londinese.
Mentre lei si
adopera in cucina con i vol-au-vent, peraltro ricevendo messaggi segreti
al cellulare, il marito Bill (Timothy Spall) se ne sta seduto in
salotto a sorseggiare vino e ascoltare musica (I’m a Man…): arrivano gli
ospiti, la linguacciuta April (Patricia Clarkson) e il fidanzato in
scadenza Gottfried (Bruno Ganz), un life coach new age; la giovane e
incinta Jinny (Emily Mortimer) e la sua matura compagna Martha (Cherry
Jones); Tom (Cillian Murphy), un banchiere senza scrupoli, che annuncia
sua moglie Marianne arriverà per il dessert e nell’esagitata attesa tira
cocaina in bagno. Queste sono le premesse, ma manca la più singolare:
la prima volta che vediamo Janet sta puntando una pistola alla macchina
da presa.
È il nuovo film scritto e diretto dall’inglese Sally
Potter, che la 71enne regista di Orlando (1992) e Lezioni di tango
(1997) presenta quale “commedia che vira in tragedia, in cui una festa
tra amici volge al peggio”. Unità di tempo, luogo e azione, canoni del
Kammerspiel e bianco e nero d’elezione (sapida fotografia di Alexey
Rodionov), sfruculia nell’ipocrisia e nel perbenismo borghese à la
Buñuel, seguendo traiettorie già sperimentate in anni recenti da Cena
tra amici (Le prénom, 2012), il Carnage di Reza e Polanski (2011) e, se
volete, il nostrano Perfetti sconosciuti (2016) o il salotto de La
grande bellezza (2013). Qui, però, c’è più carne al fuoco e una ricetta –
sebbene i vol-au-vent finiscano carbonizzati – più sofisticata: amore e
politica copulano fedifraghi, nulla è come sembra e una pistola, se
c’è, prima o poi dovrebbe sparare. Ma colpi più devastanti sono esplosi
verbalmente da Bill, secondo quel binomio vecchio come il mondo di eros e
thanatos: sì, è qui la festa, e non risparmierà nessuno.
Facendo
danzare una camera snella e impicciona, la Potter fruga divertita e
salace tra il fantasma in campo della Brexit e le meschinità dei suoi
happy few per cultura – e censo? – chiedendo ai suoi interpreti
semplicemente di render conto degli splendidi attori che sono. I
frammenti del discorso amoroso sono vetri in frantumi, i cocci
dell’ideologia, dal ruolo dell’intellettuale al post-post femminismo, e
della verità tutta: che fare? Buttarla in battuta (“Provoca un
aromaterapista e scoprirai un fascista”, “Sei una lesbica di primo
livello e un’intellettuale di second’ordine”), per scoperchiare i soliti
sepolcri imbiancati: Janet professa “verità e riconciliazione”, ma poi
suona il campanello e… Dall’8 febbraio in sala, agile (71’), cattivello
ed elegante: ottimo sotto elezioni.