Repubblica 18.1.18
Cappato e dj Fabo
La dignità fino alla fine
di Michela Marzano
Se
il valore cardine della nostra Costituzione è la dignità umana, allora
Marco Cappato non ha fatto altro che incarnare alla lettera lo spirito
del nostro Paese. Che difende la vita e la dignità del vivere, certo — è
il cuore stesso della Costituzione. Ma che, proprio per questo, non
chiede a nessuno di giudicare cosa possa essere o meno degno per
un’altra persona. Al contrario. Pretende che nessuno si permetta di
farlo, privando così la persona in questione dei suoi diritti
individuali. Cosa sarebbe d’altronde la dignità umana se non ci fosse
poi anche la libertà di esercitarla, e quindi senza la possibilità, per
ciascuno di noi, di autodeterminarsi e di decidere sempre e comunque,
dall’inizio della propria esistenza fino alla fine, come vivere e come
morire?
Dignità, autodeterminazione, libertà. È attorno a queste
tre parole chiave che la pm di Milano, Tiziana Siciliano, ha costruito
ieri la sua requisitoria durante il processo a Cappato per la morte
assistita di dj Fabo, chiedendone l’assoluzione. Il fatto non sussiste,
ha dichiarato insieme alla collega Sara Arduini. Anche semplicemente
perché il tesoriere dell’Associazione Coscioni non ha affatto rafforzato
il proposito suicidario di dj Fabo; non ha fatto altro che rispettarne
la volontà, prendendo sul serio il suo desiderio di morire. Come avrebbe
potuto d’altronde agire diversamente? È proprio il rispetto della
volontà altrui che rappresenta l’essenza stessa della dignità umana.
«
Dobbiamo chiederci a quale vita facciamo riferimento », ha detto
Tiziana Siciliano spiegando il senso dell’articolo 580 del codice penale
che punisce ogni forma di istigazione al suicidio, e interrogandosi
quindi sul senso stesso del termine «vita». «Ho visto polmoni respirare
da soli su un tavolo, macchine che sostituiscono cuori… ma è vita
questa? » ha continuato, mostrando a che punto sia talvolta artificiale
l’esistenza che alcuni insistono a voler difendere a qualunque costo,
senza rendersi così conto che la realtà, spesso, ci costringe a fare i
conti con i resti di una vita impastata solo di sofferenza e di assenza
di speranza e di futuro.
Il nucleo del ragionamento di Tiziana
Siciliano e di Sara Arduini è profondamente umano, ma anche solidamente
filosofico: dopo la rivoluzione kantiana che ha messo al centro della
morale il principio di autonomia, non ha più senso rivendicarsi di
un’etica eteronoma e paternalista, secondo la quale spetterebbe ad altri
definire gli scopi e le priorità della propria esistenza. Non perché
debbano trionfare il relativismo, l’individualismo o il “tutto si
equivale”, ma perché riconoscere il valore intrinseco di ogni essere
umano, e quindi la sua intrinseca dignità, significa rispettarne le
scelte, i desideri e i valori anche quando non li si condivide affatto e
si vorrebbe che fossero diversi, talvolta anche opposti. È il prezzo
del rispetto, che ci costringe sempre e comunque a comporre con
l’irriducibile e insormontabile alterità degli altri, riconoscendone,
appunto, la piena dignità.
Il diritto alla vita e il diritto alla
dignità della vita non sono in contrasto tra di loro, anzi, si
bilanciano, soprattutto quando ci si ritrova immobilizzati in «una notte
senza fine», come disse un giorno dj Fabo, o prigionieri di « un
inferno su questa terra » , come disse un giorno Beppino Englaro
parlando di sua figlia Eluana. Perché ostinarsi allora a difendere la
vita anche quando l’esistenza sembra aver perso ogni dignità e si
desidera solo che tutto possa terminare al più presto?
Lottare,
cadere, rialzarsi, vincere, perdere di nuovo, ricominciare. La vita è
fatta di tante piccole e grandi cose che non vanno sempre per il verso
giusto, ma è così per tutti, fa parte del gioco, come i rifiuti e le
frustrazioni che talvolta ci costringono a fare i conti con
l’impossibilità di realizzare tanti nostri desideri, talvolta proprio
quelli cui teniamo di più. Ma non è di questo che si parla quando non
c’è più niente da fare, i giochi si sono definitivamente chiusi, e ci si
ritrova, appunto, in una notte senza fine. In quei momenti, ci resta
solo il diritto di dire «io», almeno per un’ultima volta: « io voglio » ,
« io non voglio » , « io desidero » , « io non desidero » . Rispettare
la dignità della persona umana, che è forse l’unico valore veramente
universale, significa non privare nessuno dell’ultima possibilità che ha
di affermare la propria soggettività. Farlo, in nome di un’astratta
concezione della vita e della sua sacralità, significa cancellare
proprio quella dignità nel nome della quale tutti noi diciamo di
batterci. Non è solo il principio di umanità a vietarcelo. È l’etica
stessa che ce lo proibisce.