giovedì 18 gennaio 2018

Repubblica 18.1.18
Cappato e dj Fabo
La dignità fino alla fine
di Michela Marzano


Se il valore cardine della nostra Costituzione è la dignità umana, allora Marco Cappato non ha fatto altro che incarnare alla lettera lo spirito del nostro Paese. Che difende la vita e la dignità del vivere, certo — è il cuore stesso della Costituzione. Ma che, proprio per questo, non chiede a nessuno di giudicare cosa possa essere o meno degno per un’altra persona. Al contrario. Pretende che nessuno si permetta di farlo, privando così la persona in questione dei suoi diritti individuali. Cosa sarebbe d’altronde la dignità umana se non ci fosse poi anche la libertà di esercitarla, e quindi senza la possibilità, per ciascuno di noi, di autodeterminarsi e di decidere sempre e comunque, dall’inizio della propria esistenza fino alla fine, come vivere e come morire?
Dignità, autodeterminazione, libertà. È attorno a queste tre parole chiave che la pm di Milano, Tiziana Siciliano, ha costruito ieri la sua requisitoria durante il processo a Cappato per la morte assistita di dj Fabo, chiedendone l’assoluzione. Il fatto non sussiste, ha dichiarato insieme alla collega Sara Arduini. Anche semplicemente perché il tesoriere dell’Associazione Coscioni non ha affatto rafforzato il proposito suicidario di dj Fabo; non ha fatto altro che rispettarne la volontà, prendendo sul serio il suo desiderio di morire. Come avrebbe potuto d’altronde agire diversamente? È proprio il rispetto della volontà altrui che rappresenta l’essenza stessa della dignità umana.
« Dobbiamo chiederci a quale vita facciamo riferimento », ha detto Tiziana Siciliano spiegando il senso dell’articolo 580 del codice penale che punisce ogni forma di istigazione al suicidio, e interrogandosi quindi sul senso stesso del termine «vita». «Ho visto polmoni respirare da soli su un tavolo, macchine che sostituiscono cuori… ma è vita questa? » ha continuato, mostrando a che punto sia talvolta artificiale l’esistenza che alcuni insistono a voler difendere a qualunque costo, senza rendersi così conto che la realtà, spesso, ci costringe a fare i conti con i resti di una vita impastata solo di sofferenza e di assenza di speranza e di futuro.
Il nucleo del ragionamento di Tiziana Siciliano e di Sara Arduini è profondamente umano, ma anche solidamente filosofico: dopo la rivoluzione kantiana che ha messo al centro della morale il principio di autonomia, non ha più senso rivendicarsi di un’etica eteronoma e paternalista, secondo la quale spetterebbe ad altri definire gli scopi e le priorità della propria esistenza. Non perché debbano trionfare il relativismo, l’individualismo o il “tutto si equivale”, ma perché riconoscere il valore intrinseco di ogni essere umano, e quindi la sua intrinseca dignità, significa rispettarne le scelte, i desideri e i valori anche quando non li si condivide affatto e si vorrebbe che fossero diversi, talvolta anche opposti. È il prezzo del rispetto, che ci costringe sempre e comunque a comporre con l’irriducibile e insormontabile alterità degli altri, riconoscendone, appunto, la piena dignità.
Il diritto alla vita e il diritto alla dignità della vita non sono in contrasto tra di loro, anzi, si bilanciano, soprattutto quando ci si ritrova immobilizzati in «una notte senza fine», come disse un giorno dj Fabo, o prigionieri di « un inferno su questa terra » , come disse un giorno Beppino Englaro parlando di sua figlia Eluana. Perché ostinarsi allora a difendere la vita anche quando l’esistenza sembra aver perso ogni dignità e si desidera solo che tutto possa terminare al più presto?
Lottare, cadere, rialzarsi, vincere, perdere di nuovo, ricominciare. La vita è fatta di tante piccole e grandi cose che non vanno sempre per il verso giusto, ma è così per tutti, fa parte del gioco, come i rifiuti e le frustrazioni che talvolta ci costringono a fare i conti con l’impossibilità di realizzare tanti nostri desideri, talvolta proprio quelli cui teniamo di più. Ma non è di questo che si parla quando non c’è più niente da fare, i giochi si sono definitivamente chiusi, e ci si ritrova, appunto, in una notte senza fine. In quei momenti, ci resta solo il diritto di dire «io», almeno per un’ultima volta: « io voglio » , « io non voglio » , « io desidero » , « io non desidero » . Rispettare la dignità della persona umana, che è forse l’unico valore veramente universale, significa non privare nessuno dell’ultima possibilità che ha di affermare la propria soggettività. Farlo, in nome di un’astratta concezione della vita e della sua sacralità, significa cancellare proprio quella dignità nel nome della quale tutti noi diciamo di batterci. Non è solo il principio di umanità a vietarcelo. È l’etica stessa che ce lo proibisce.