Repubblica 21.11.17
Nella mente di un dottore
Medico-paziente.
La relazione virtuosa parte dalla consapevolezza di sé del camice bianco. Ma nessuna facoltà dà formazione psicologica
Meno si è in contatto con le proprie emozioni meno si riesce a condurre a buon fine un rapporto. Anche quello terapeutico
di Giacomo Gatti
DURANTE
tutta la sua storia la medicina ha oscillato tra una tendenza dell’uomo
nella sua totalità (scuola di Cos, Ippocrate) e una tendenza analitica,
specifista e meccanicista (scuola di Cnido), di studio parcellare, di
organi o apparati ponendosi così in evidenza la perennità di due tipi di
medici. Il medico invece non può non considerare il suo paziente nella
sua interezza psiche/soma e dunque non può non rendersi conto della
complessità psicologica di tale relazione. Perciò ha bisogno di una
formazione psicologica che purtroppo nessuna facoltà ha potuto e a
tutt’oggi può elargirgli almeno come dovrebbe essere intesa: non solo
semplice informazione di nozioni ed elementi, bensì formazione come
apprendimento emozionale di sé stesso nella relazione.
In
qualunque ambito relazionale meno si è consapevoli delle proprie
emozioni, meno si riesce a condurre a buon fine un rapporto. Allo stesso
modo l’approccio al paziente potrebbe migliorare se il medico riuscisse
a rendersi conto di ciò che avviene, sul piano psicologico, nella
relazione e non tentare invece di affidarsi al solito e abusato buon
senso, corroborato magari dalla retorica di disposizioni innate a sua
disposizione. Più si amplia la consapevolezza per il medico di ciò che
si è e di ciò che il paziente rappresenta in funzione della sua
condizione psicologica, meno si corre il rischio di assumere
atteggiamenti negativi sul piano umano e controproducenti su quello
terapeutico. Vero è che il medico attraverso l’uso di due mezzi potenti a
sua disposizione, l’ascolto e la parola, ha il potere di intervenire
sul percorso della malattia e sulle vicissitudini psicologiche del suo
paziente rispetto alla malattia. Per saperlo fare deve essere avviato a
una formazione psicologica che se è fondata su un apprendimento
emozionale di sé stesso, nella relazione, dovrà comportare il promuovere
una modificazione di quello che Michel Sapir chiamava “il segmento
inconscio della personalità professionale”. In funzione di esso, si
stabiliscono a volte determinate difese, come quelle relative al
racconto della scelta professionale. Si citano una generica volontà di
aiutare chi soffre, il desiderio di combattere il male,
l’identificazione con il debole, la necessità di continuare una
tradizione familiare, il richiamo dovuto al prestigio di una professione
liberale. Dietro la facciata, tuttavia, possono a volte celarsi altre
motivazioni: un sentimento inappagabile di onnipotenza e di predominio
su chi ha bisogno, una tendenza non sublimata all’aggressività,
un’inclinazione al voyeurismo, la paura della morte. Non sarebbe
difficile immaginare le tipologie relazionali con il paziente che
potrebbero derivare da tali fondali inquieti: autoritarismo e arroganza,
sadismo, interminabili esami corporei, indifferenza e la negazione per
esorcizzare il fantasma della morte. Tutto questo, per fortuna, non è
costantemente riscontrabile. È stato assodato, a partire dalla metà del
secolo scorso, che lo stesso medico agisce come farmaco, la dose e gli
effetti costituiscono un campo di indagine avvincente. Al farmaco-medico
si propone però il problema di come rispondere alla domanda del
paziente: questione delicata quest’ultima poiché comporta che le
risposte possono contribuire spessissimo a determinare la forma ultima
della malattia, quella su cui il paziente si stabilizzerà. E che
l’evoluzione della malattia non avverrà solo in funzione di una corretta
diagnosi e di una corretta terapia, ma anche del rapporto
medico-paziente. Una delle modalità più essenziali che provvede a una
formazione psicologica del medico è il “Gruppo Balint” che prende il
nome dal suo ideatore. Lo psichiatra inglese Michael Balint, infatti,
per anni si dedicò alla formazione psicologica dei camici bianchi. Nel
gruppo i medici discutono di casi clinici concreti. Il conduttore è uno
psicoanalista. E tutto ciò può valere, poiché ampiamente documentato,
allo sprigionamento graduale per il medico di una modalità relazionale
realmente terapeutica.
psichiatra