internazionale 11.11.2017
Democrazia da social network
The Economist, Regno Unito
Nel suo saggio del 1962 In defence of politics, il politologo britannico Bernard Crick sosteneva che l’arte del negoziato politico, tutt’altro che ignobile, permette alle persone che hanno convinzioni diverse di vivere in una società pacificata e florida. In una democrazia liberale nessuno ottiene esattamente quello che vuole, ma tutti hanno la libertà di vivere come preferiscono. Tuttavia, senza un livello sufficiente di informazioni, civiltà e compromesso, le società tendono a risolvere le differenze ricorrendo alla coercizione. Crick sarebbe stato sconvolto dalle conclusioni della commissione d’inchiesta del senato statunitense. I social network ci avevano promesso una politica più illuminata: offrendo informazioni accurate e una comunicazione più immediata, avrebbero aiutato a cancellare la corruzione, il fanatismo e le bugie. Invece Facebook ha ammesso che prima e dopo le elezioni statunitensi 146 milioni di suoi utenti hanno visualizzato notizie false diffuse dalla Russia. YouTube ha ospitato 1.108 video legati al Cremlino, e Twitter 36.746 account. E questo è solo l’inizio. Dal Sudafrica alla Spagna, la politica sta diventando sempre più conflittuale. Uno dei motivi è che, diffondendo menzogne e indignazione, intaccando la capacità di giudizio degli elettori e alimentando la faziosità, i social network minano le condizioni preliminari di quel negoziato politico che secondo Crick favorisce la libertà. L’uso dei social network non provoca divisioni, ma le amplifica. Anche altri mezzi di comunicazione lo fanno, ma il modo in cui i social network funzionano garantisce loro un’enorme influenza. Dato che possono misurare la nostra reazione, sanno benissimo come conquistarci. Raccolgono dati sulle nostre scelte per poi creare algoritmi capaci di determinare cosa avrà più successo. Chiunque voglia plasmare l’opinione pubblica può produrre decine di annunci, analizzarli e verificare quali siano i più diicili da ignorare. Sarebbe bellissimo se questo sistema rafforzasse la saggezza e la verità. Ma chiunque abbia usato Facebook sa benissimo che il sistema non fa altro che sfornare contenuti che rafforzano i preconcetti di chi legge. Questo meccanismo alimenta la politica del disprezzo. Dato che schieramenti diversi vedono fatti diversi, non hanno alcuna base su cui costruire un compromesso. Dato che ognuno si sente dire all’infinito che l’altro mente, il sistema non lascia spazio all’empatia. Risucchiate in un vortice di gossip, scandali e indignazione, le persone perdono di vista ciò che è importante per la società. Questo fenomeno tende a screditare i compromessi e le sottigliezze della democrazia liberale, favorendo i politici che sfruttano il complottismo e il populismo. Grazie alla costituzione, pensata per impedire la tirannia degli individui e delle masse, negli Stati Uniti i social network hanno solo aggravato lo scontro politico. In Ungheria e in Polonia invece hanno favorito una democrazia illiberale in cui il vincitore conquista un potere assoluto. In Birmania, dove è la principale fonte di notizie per molte persone, Facebook ha diffuso l’odio per i rohingya.
Misure inefficaci
Cosa si può fare per rimediare? La gente si adatterà, come’è sempre successo. Secondo un recente sondaggio, solo il 37 per cento degli statunitensi si fida delle notizie che riceve dai social network, la metà rispetto a quelli che si fidano di giornali e riviste. Ma prima che l’adattamento sia completo, governi e politiche sbagliate possono fare molti danni. Per regolare i vecchi mezzi d’informazione la società ha creato meccanismi come le leggi antitrust e le norme sulla diffamazione. Alcuni pensano che dovremmo chiamare i social network a rispondere per quello che compare sulle loro pagine, esigere più trasparenza e considerarli dei monopoli che devono essere regolati. Sono idee ragionevoli, ma hanno dei lati negativi. La politica non è come le altre forme di espressione, ed è pericoloso chiedere a poche grandi aziende di stabilire ciò che è meglio per la società. Il congresso statunitense vuole trasparenza su chi paga per gli annunci politici, ma gran parte dell’influenza negativa viene da utenti privati. Smembrare i monopoli dei social network può avere senso in termini di antitrust, ma moltiplicando le piattaforme si potrebbe rendere il settore ancora più difficile da gestire. Ci sono altri rimedi. I social network dovrebbero permettere di capire se un post proviene da un amico o da una fonte affidabile. Potrebbero accompagnare i post con un promemoria sui danni della disinformazione. Potrebbero adattare i loro algoritmi per dare meno risalto ai contenuti fasulli. Dato che i bot vengono usati per amplificare i messaggi politici, Twitter dovrebbe bloccarli o chiarire che si tratta di bot. Questi cambiamenti andrebbero contro l’interesse delle aziende, perciò dovrebbero essere imposti per legge. È chiaro che i social network vengono usati in modo sbagliato. Ma con un po’ d’impegno la società può correggerli e farli tornare alla funzione originaria. La posta in gioco per la democrazia liberale non potrebbe essere più grande. uas