Corriere 29.11.17
Scenari Dalla notizia di Napoleone ucciso dai
cosacchi al fantomatico complotto dei Savi di Sion, la lunga tradizione
dei falsi storici
Così cinquecento anni fa scoprimmo cosa sono le fake news
Stampato nel 1517 il testo di Lorenzo Valla che sconfessava la donazione di Costantino
di Gian Antonio Stella
Non
c’è gara: la bufala più grande di tutti i tempi, per quanto si sforzino
i russi e tutti gli altri fabbricanti di menzogne stranieri e nostrani,
è già stata pubblicata. Tredici secoli fa. E cambiò la storia del
mondo. F inché non sbucò fuori Lorenzo Valla che nel 1440, mettendo a
frutto gli studi di filologia e di retorica ma più ancora esercitando lo
spirito di uomo libero, scrisse Il Discorso sulla falsa e menzognera
donazione di Costantino .
Il documento, scrive Carlo Ginzburg,
aveva avuto una «circolazione larghissima» per tutto il Medioevo. E
«certificava che l’imperatore Costantino, in segno di gratitudine verso
papa Silvestro che lo aveva guarito miracolosamente dalla lebbra, si era
convertito al cristianesimo, donando alla Chiesa di Roma un terzo
dell’impero».
In realtà, continua lo storico, è opinione oggi
condivisa «che il constitutum sia stato redatto verso la metà del secolo
VIII per fornire una base pseudo-legale alle pretese papali al potere
temporale», ma per molto tempo la donazione «non venne assolutamente
messa in dubbio». Nemmeno da Dante, convinto che quel potere temporale
avesse gettato le premesse della corruzione della Chiesa: «Ahi,
Costantin, di quanto mal fu matre,/ non la tua conversion, ma quella
dote/ che da te prese il primo ricco patre».
Certo è che quando
Valla provò in modo inequivocabile e con parole aspre l’impossibilità
che il testo fosse autentico («si può parlare di Costantinopoli come di
una delle sedi patriarcali, quando ancora non era né patriarcale né una
sede né una città cristiana né si chiamava così, né era stata fondata,
né la sua fondazione era stata decisa?»), questa prova del falso, per
quanto preceduta da opinioni simili come quella del filosofo Nicolò
Cusano, sollevò uno scandalo. Sopito per decenni dalla difficoltà con
cui circolavano venticinque manoscritti. Ma esploso quando il tedesco
Ulrich von Hutten, nella scia di Lutero e delle tesi affisse sul portale
della cattedrale di Wittenberg, riprese il testo e decise di stamparlo.
Era il 1517: esattamente mezzo millennio fa.
Eppure, come ricorda
Luciano Canfora nel suo La storia falsa (Rizzoli, 2008), la donazione
di Costantino non è la bufala più antica. Ben prima, infatti, sarebbe
falsa una lettera attribuita a Pausania, nella quale l’allora
potentissimo «reggente» spartano avrebbe scritto a Serse, il re dei
Persiani appena sconfitto: «Ti restituisco questi prigionieri catturati
in battaglia volendoti fare cosa gradita e ti propongo, se piace anche a
te, di sposare tua figlia e di sottomettere al tuo potere Sparta e
tutta la Grecia. Ritengo di essere in grado di realizzare questo piano
se mi metto d’accordo con te. Se dunque qualcosa di questa proposta ti
piace, manda qualcuno fidato con cui possa proseguire la trattativa».
Un’offerta di tradimento da prender con le pinze, scrive Erodoto
(«Sempre che sia vero ciò che si dice…»), ma che Pausania pagò cara:
condannato a morte, si rifugiò in un tempio dove non potevano toccarlo. E
lì, senza toccarlo, lo murarono vivo. A morire di fame e di sete. Per
un messaggio probabilmente falso scritto da altri.
La lettera del
resto, insiste Canfora, «è in qualunque epoca il genere falsificabile
per eccellenza». E racconta di «una lettera di Cicerone che descrive,
con accenti quasi trionfali, come egli avesse smascherato, per semplice
analisi “interna”, un dispaccio giunto in Senato mentre si era in
seduta, e falsamente attribuito a Bruto, il cesaricida, allora impegnato
a organizzare le forze repubblic ane in Oriente».
Per non dire
della misteriosissima missiva che nel 1165, secondo il cronista Alberico
delle Tre Fontane, arrivò a papa Alessandro III, all’imperatore
bizantino Manuele I Comneno e a Federico Barbarossa da «Gianni il
Presbitero, per la grazia di Dio e la potenza di nostro Signore Gesù
Cristo, re dei re e sovrano dei sovrani». Il quale si offriva di mettere
le sue ricchezze e i suoi eserciti a disposizione per muover guerra
agli islamici e difendere la Terra Santa. Era il mitico «Prete Gianni»,
inventato a quanto pare da un monaco tedesco, ma destinato a diventare
una leggenda e spasmodicamente atteso per decenni e decenni…
E
come dimenticare la clamorosa notizia arrivata a Londra il 21 febbraio
1814? La portò, fingendo d’esser appena sbarcato a Dover, uno spossato
«ufficiale» in divisa rossa: «Napoleone è stato ucciso dai cosacchi!
L’hanno fatto a pezzi. Letteralmente». La Borsa schizzò all’insù. E poi
più su, su, su… Finché scoppiò il panico: era tutto falso! L’inchiesta
puntò diritto su Thomas Cochrane, ammiraglio, politico, finanziere:
arrestato, condannato, degradato per aggiotaggio. E destinato a fornire
lo spunto ad Alexandre Dumas per una delle vendette del conte di
Montecristo.
Ancora più sensazionale, per la sua diffusione, fu la
news sparata dai principali giornali del mondo il 23 maggio 1871: i
difensori della Comune di Parigi, e più precisamente le pétroleuses , le
donne incendiarie, avevano «incenerito il Louvre». L’eco fu enorme:
ecco cosa sono i comunardi! Barbari! Friedrich Nietzsche e Jacob
Burckhardt, racconta lo storico Manfred Posani Loewenstein che sta
lavorando al tema per farne un libro, «si incontrano e piangono insieme
l’“autunno della civiltà”» e «in Italia, mentre in Parlamento si discute
dei fatti di Parigi e un deputato ricorda che “una parte del suo
patrimonio artistico (…) forse in questo momento è rovinata sotto le
bombe a petrolio degli odiatori dell’umanità”, un articolo della
“Gazzetta dell’università” (un giornale studentesco pisano) cerca di
giustificare le ragioni degli incendiari». Il cattolico «Lo Trovatore»
va oltre. E «celebra nella distruzione del Louvre una punizione divina
per le conquiste (e i saccheggi) dell’era napoleonica». Troppo ghiotta,
la notizia, per non sfruttarla. Al punto che, perfino dopo la smentita
ufficiale (già il 24 maggio sui giornali inglesi), c’è chi insiste: «Ci
sono quotidiani che riportano la falsa notizia ancora il 13 giugno, come
l’italiano (e ultracattolico) “La frusta”, altri che mettono in
discussione le smentite»…
Un classico, il rifiuto delle smentite.
Che si ripeterà ad esempio coi Protocolli dei Savi di Sion . Sono
passati 97 anni dall’inchiesta del «Times» del 1921 che dimostrò come il
fantomatico piano segreto ordito dagli ebrei nel cimitero di Praga per
impossessarsi di tutte le ricchezze del mondo fosse un documento falso
frutto di diverse scopiazzature e «prodotto» nel 1903 dall’Okhrana, la
polizia segreta zarista. Eppure ancora oggi, ricordava Umberto Eco, «il
parere dominante è sempre quello dell’antisemita britannica Nesta
Webster: “Sarà un falso, ma è un libro che dice esattamente ciò che gli
ebrei pensano, quindi è vero”». I risultati sono noti: i lager, le
camere a gas, la Shoah…
E Orson Welles? La cronaca in diretta
dello sbarco dei marziani sul suolo americano trasmessa il 30 ottobre
1938 dalla rete radiofonica Cbs resterà memorabile. Sembrò così «vera»
che non solo il giorno dopo era su tutte le prime pagine, ma che
un’ascoltatrice fece causa al geniale conduttore per aver fatto avere
uno choc.
Più spiritosa era stata due anni prima la reazione di
Stalin all’Associated Press che chiedeva conferme alla notizia che fosse
morto: «Egregio signore, per quel che mi risulta dalle notizie della
stampa estera, io ho già da tempo lasciato questa valle di lacrime (…).
Poiché alle notizie della stampa estera non si può non accordare
fiducia, a meno che non si voglia venir cancellati dal novero delle
persone civili, La prego di credere a queste notizie e di non violare la
mia pace nel silenzio dell’aldilà. Con stima I. Stalin».