giovedì 19 ottobre 2017

Repubblica 19.10.17
Il nuovo saggio di Massimo Cacciari indaga, attraverso la grande pittura, i legami tra filosofia e icone sacre
Così l’arte riunisce il Logos alla vita
di Enzo Bianchi, priore di Bose

Dobbiamo a Northrop Frye e al suo ormai celebre “Il grande codice. La Bibbia e la letteratura” la ragionata consapevolezza di come la Scrittura santa per ebrei e cristiani sia diventata nei secoli chiave di ispirazione e di interpretazione non solo della letteratura ma dell’intera cultura “occidentale”: la parte preponderante del patrimonio artistico, iconografico, letterario e culturale in senso lato dei
paesi segnati dalla tradizione ebraico-cristiana risulta semplicemente incomprensibile se se ne ignorano i testi fondativi.
Ma, proprio per questo legame indissolubile, è vero anche il contrario: conoscendo e frequentando i tesori della cultura di quei paesi è possibile, anche per chi non si professa credente, trarre dalla lettura dei testi biblici profonde intuizioni spirituali. Ne è splendida riprova il libro di Massimo Cacciari Generare Dio con cui si inaugura al meglio la collana “Icone” de Il Mulino. Prendendo spunto da alcuni quadri — le Annunciazioni di Simone Martini e Lippo Memmi, Piero della Francesca e Beato Angelico; due Madonna con il bambino di Andrea Mantegna e altre due di Giovanni Bellini; una
Pietà dello stesso Bellini e una
In Masaccio, Mantegna, Beato Angelico cielo e terra s’incontrano in un abbraccio
Deposizione dalla croce di Rogier van der Weyden; fino alla celeberrima Trinità di Masaccio — Cacciari rilegge la figura di Maria di Nazareth, colei che «sceglie di concepire il bambino che la sceglie» per riprendere con Cacciari le parole di Wystan H. Auden.
Il filosofo, infatti, fa tesoro anche di riletture poetiche del mistero dell’incarnazione, per sondare il senso dell’inaudito «generare Dio»: grazie non solo a Dante, ma anche a Luzi e Hölderlin, a Rilke e Rebora la riflessione di Cacciari assume i tratti di una rivisitazione del dato evangelico con gli occhi, il cuore e la mente di secoli di pensiero occidentale. Il percorso prende avvio nella casa di Nazareth, dove l’annuncio dell’arcangelo Gabriele alla giovanissima Maria — narrato dal vangelo di Luca — ha tratti di una densità umana irraggiungibile dalla corrispondente apparizione in sogno di un angelo a Giuseppe, come descritta nel Vangelo di Matteo. Sono quindi tre le scene evocate da Cacciari, due tratte dai Vangeli e una derivata principalmente dalla pittura: l’Annunciazione, appunto, che richiama come sua postilla la Visitazione di Maria a Elisabetta; la deposizione dalla croce o “pietà”, significativamente raccolta nel capitolo dedicato a
La Croce di Maria; e — collocate tra le scene che precedono la nascita e quelle che seguono la morte di Gesù — le immagini di Maria con il bambino tra le braccia, così umane nei dipinti italici e così differenti dalla maestà ieratica delle icone bizantine.
Ma la profonda comprensione del mistero dell’incarnazione che l’occidente — «terra che procede al tramonto» — ha saputo elaborare nel corso dei secoli consente a Cacciari di mostrare come gli scritti apocrifi e i pensatori gnostici dei primi secoli si siano discostati in maniera decisiva dai dati neotestamentari, rispettati invece in profondità da artisti posteriori di molti secoli, ai quali non ha per nulla nociuto raffigurare Maria e il bambino in vesti, fogge e contesti ambientali propri di tutt’altra epoca.
Se infatti con l’interpretazione gnostica «scompare la donna » e con lei ogni contesto terrestre, nella rilettura che Cacciari fa della tradizione occidentale «dall’unione sponsale tra Logos e Sophia nasce il molteplice » e terra e cielo si incontrano in un abbraccio in cui l’icona si contrappone al mito.
Cacciari sa ricercare una lettura “pneumatica” di Maria, grazie non solo alla sua conoscenza della tradizione patristica dell’oriente e dell’occidente, ma a una sensibilità propria di chi sa percorrere i sentieri del quaerere Deum in aenigmate, raggiungendo apici poetici per nulla estetizzanti. Questo approccio sapiente e rispettoso gli consente interpretazioni audaci ma pertinenti di alcuni dati biblici per i quali troppo spesso il pensiero cristiano ha rinunciato a cercare nuove potenzialità. Così, contro ogni tentativo gnostico di rimuovere lo scandalo dell’“incarnarsi” del Logos, Cacciari evidenzia l’elezione assolutamente inaudita di Maria, «piena di grazia» ( kecharitomene) che genera la grazia, la charis
di Dio, suo Figlio, in sarx, “carne” reale, umanissima. Il suo concepire Gesù è frutto della sua meditazione, del suo raccogliere ( syn- ballein) nel cuore le parole del Signore, mentre la nube luminosa la copre e la feconda.
Così l’obbedienza di Maria ed Elisabetta è «potenza consapevole », propria di chi non subisce l’ineluttabile ma, al contrario «diviene obbediente», giungendo «a volere la volontà divina». Anche apparenti paradossi evangelici svelano ricchezze nascoste: il Verbo nasce come «in-fante», creatura che non parla; così come «la luce si incarna nell’ombra»; ed è Maria a essere «la prossima» del Figlio che si è fatto prossimo dell’umanità, mentre Gesù, venuto tra i suoi, in realtà è costantemente «fuori… ospite ovunque, mai a casa».
Sono pagine intense, raccolte attorno a due “icone” principali: quella del “generare” e quella della “sofferenza”, icone come nessun altra presenti nella vita di ogni essere umano, non solo nel suo nascere e morire, ma al cuore stesso dell’esistenza quotidiana. Perché non si genera solo partorendo, né si soffre solo morendo: è questa la sfida di senso che le pagine evangeliche attorno a Maria di Nazareth lanciano agli uomini e alle donne di ogni tempo e quindi anche del nostro tempo e del nostro occidente, così restii al generare nuova vita e così riluttanti nell’assumere la sofferenza del duro mestiere di vivere.
Da cristiano che fa memoria e prega la Vergine Madre ricordo la domanda di Silesio: «Che mi giova, Gabriele, il tuo salve a Maria, se non hai uguale messaggio per me?». Maria, infatti, più che oggetto di culto è figura esemplare: ognuno generi il Logos in se stesso.
L’OPERA Beato Angelico, Annunciazione della cella 3