venerdì 13 ottobre 2017

Repubblica 13.10.17
“Gesù Cristo era asiatico e con il sorriso tornerà in Cina”
Intervista all’arcivescovo Tagle, ponte tra Roma e l’Oriente. Per molti è destinato a diventare Papa
di Dario Olivero

ROMA La risata più fragorosa delle tante che Monsignor Tagle è solito concedersi da bravo orientale arriva per una battuta quasi involontaria: «Eminenza, ma allora lei non è solo un cardinale, è anche un prete». Una risata che risuona nella piccola stanza del Pontificio Istituto Filippino, un casermone sull’Aurelia che fa parte delle numerose e pressoché sconosciute proprietà della Chiesa che si estendono in questo quadrante romano fino a San Pietro. Dentro, filippini appunto, e questo cardinale, Luis Antonio Gokim Tagle, detto Chito (da Luisito), arcivescovo di Manila, una delle più grandi diocesi del pianeta, che non si distingue per abbigliamento e per modi dagli altri ospiti dell’istituto. Eppure quest’uomo di sessant’anni, portati con l’immunità all’età di cui godono gli orientali, è
un teologo raffinatissimo, il presidente della Caritas Internationalis e il ponte più solido tra la Chiesa di Roma e l’Asia, che vuol dire soprattutto Cina. È un uomo che guarda l’Occidente da Oriente e quando gli si fa notare che i soliti bene informati sulle ispirazioni dello Spirito Santo lo danno come futuro Papa, fa la cosa che gli viene più naturale: ride di nuovo. Ma è, di nuovo, una risata orientale, un codice di dialogo, che va oltre le convenzioni e affonda le radici nella teologia. Gesù Cristo, sottolinea Tagle, è asiatico.
Prego?
«La prima volta che l’ho realizzato pienamente è stato durante il sinodo straordinario del 1998. Giovanni Paolo II ha detto ai vescovi dell’Asia: ricordate che Gesù Cristo è nato in Asia e dall’Asia la sua luce si è estesa a tutto il mondo. Ci fu un grande silenzio, quasi incredulo. Avevamo dimenticato che anche il Medio Oriente è Oriente. Gesù aveva una cultura, un modo di vivere e di parlare orientale: la narrazione invece delle astrazioni, il rapporto umano durante il cibo, le parole semplici per dire cose profonde».
L’insegnamento evangelico contiene tratti greci ma anche echi che vengono da molto più lontano. Quanto lontano?
«Quasi tutte le religioni mondiali sono nate in Oriente. In quest’area del mondo c’è una atmosfera che spinge a cercare il senso della vita. Un’esperienza semplice e profonda che poi si struttura in una filosofia. Il Buddha, gli Ebrei, i profeti, Maometto, Gesù sono tutti sapienti itineranti che cercano con il corpo e con l’anima. E in questo percorso attirano e mescolano pensieri e culture altrui. Oggi la storia si ripete anche nella spiritualità: la riscoperta dell’induismo per esempio o del buddismo, la meditazione».
Dossetti ha sostenuto che i poli con cui si sarebbe in futuro confrontato il cristianesimo sarebbero stati, non l’islam, ma l’induismo dal punto di vista politico e il buddismo da quello teologico.
«È una profezia che oggi si può verificare sul campo. C’è una tendenza a focalizzarsi sull’islam, perché molti lo collegano direttamente al terrorismo. Ma India, Pakistan, Bangladesh, Sri Lanka (cioè la metà dell’Asia), sono influenzati dall’induismo. Sperimentiamo un tipo di induismo politicizzato. Esteriormente l’induismo è molto aperto: basta entrare in uno dei loro templi per vedere immagini di santi cristiani, di Buddha e altri: i simboli parlano di apertura. Ma quando una religione è politicizzata, l’apertura diventa superiorità».
E il buddismo? Negli ultimi anni si è diffuso in Occidente e ha dato risposte che il cristianesimo forse non sa più dare.
«Fra le religioni forse il buddismo è percepita come la più aperta. E questa apertura si esplica nella sua flessibilità che è la sua forza. Ma anche la sua debolezza. Perché la capacità di adeguarsi viene utilizzata in politica. Per esempio in Birmania».
Anche il cristianesimo ha preso le armi e si è politicizzato.
«Grazie al Vaticano II c’è un incoraggiamento ad avere un rapporto aperto con le altre fedi e a sanare le ferite causate dalla chiesa nel passato».
Dopo la Guerra Fredda e ciò che è stato definito “la fine della storia” non ha l’impressione che invece la storia non solo sia ripartita ma lo faccia attraverso fenomeni molto antichi e che forse in Occidente facciamo fatica a intercettare?
«Ho l’impressione che alcuni commenti e alcune risposte dei politici, specialmente del nord dell’Atlantico, ai fenomeni migratori siano troppo semplici. In Oriente vediamo che il fenomeno contemporaneo è semplicemente una continuazione di una storia che si ripete. La storia dell’umanità, specialmente dalla parte dell’Asia, è una storia scritta dal movimento delle genti che portano idee, culture e politiche. Una storia non lineare perché quando c’è movimento c’è anche reazione. E il movimento diventa una lotta».
La chiesa filippina è la più grande risorsa del Vaticano per parlare con la Cina. È così?
«Ci sono vari livelli di rapporto con la Cina. Oltre a quello ufficiale ci sono quelli che nel mondo asiatico sono più efficaci. L’arcidiocesi di Manila ha un corso di formazione continuo per preti e suore che arrivano dalla Cina. Con questa gente nascono rapporti personali. Nella tradizione cinese c’è anche una diplomazia del sorriso, del cibo, dell’ospitalità. Io stesso ho ricevuto tanti inviti in Cina, mio nonno era cinese».
Le sembrano tempi di dialogo questi?
«È un mondo ansiogeno, pieno di dipendenze di ogni tipo, non solo la droga o l’alcol. Secondo la mia esperienza questa irrequietezza è fomentata dall’ansia di promuovere il bene individuale, il “mio” bene. I muri che proteggono “me stesso”, ”il mio” Paese sono la nostra tomba».
Siamo tutti morti? Ma lei crede nella resurrezione.
«Anche nel mondo d’oggi per promuovere la resurrezione dell’essere umano dobbiamo imparare la narrazione, raccontare le storie di esseri umani concreti. O hai essere concreti che soffrono davanti a te oppure devi avere le loro storie. Per aprire i cuori a quelli che hanno già scelto di morire perché hanno costruito le loro tombe, per svegliarli».
Lei è cresciuto e vive accanto ai poveri. Non pensa che il liberismo abbia trasformato la povertà in una colpa?
«Sicuramente. Non si riesce a vedere che la povertà non ha una sola causa, come la pigrizia: esiste un’ingiustizia legittimata che impedisce la crescita di alcuni. Nelle Filippine la povertà ha indotto alcuni genitori a mettere online le foto dei figli. I clienti sono fuori dal Paese. Cosicché a loro non sembra un abuso reale: i clienti non toccano fisicamente i figli. Perché, mi chiedo, per i poveri internet è solo deumanizzazione? C’è una struttura della povertà, c’è un sistema che sancisce la povertà».
Nei suoi libri non è mai citata la parola democrazia. Perché?
«La democrazia in Asia è una eredità postcoloniale. Siamo consapevoli che è una benedizione per l’umanità, ma l’elemento culturale manca. Una democrazia imposta crea una specie di schizofrenia: quando la legge mi appoggia la seguo, quando la legge non scritta mi appoggia seguo quella. Occorre iniziare un processo perché ogni cultura scopra la propria versione della democrazia. Senza questo rimane solo un contratto, scritto nei documenti e nelle carte».
“Ogni cultura deve scoprire da sola la sua versione della democrazia”
IL LIBRO E L’EVENTO Il rischio della speranza di LuisAntonio Gokim Tagle (Emi, pagg. 160, euro15) sarà in libreria il 19 ottobre Tagle sarà ospite al Festival della Missione, a Brescia da oggi al 15 ottobre