venerdì 13 ottobre 2017

Corriere 13.10.17
«Non fateci pressioni sui migranti Soros? Non rispetta le nostre regole»
Ungheria, parla il ministro degli Esteri Péter Szijjártó: «In Europa domina l'ipocrisia»
di Maria Serena Natale

«Immigrazione? Nessuno può sottrarci il diritto di decidere chi ammettere sul nostro territorio nazionale. Se per Paesi come l’Italia è prioritario gestire i flussi, lo facciano. Per quanto ci riguarda, lasciateci fuori dai giochi». Péter Szijjártó è un pilastro del partito di governo ungherese Fidesz, ex portavoce del premier nazionalista Viktor Orbán, oggi ministro degli Esteri e del Commercio. A Milano per il primo «Business Forum Italia-Ungheria», dove ha esposto le crescenti opportunità d’investimento nel Paese centro-orientale, Szijjártó risponde a un ristretto pool di giornalisti su tensioni interne ed Europa.
Con il blocco di Visegrád, l’Ungheria si oppone allo schema Ue di ripartizione dei richiedenti asilo. È immaginabile una futura apertura al compromesso?
«La nostra posizione è chiara: respingiamo le quote obbligatorie. Se da un lato è sbagliato equiparare migranti e terroristi, dall’altro registriamo che dal 2015 in Europa si è verificata una serie di attentati senza precedenti legati all’ondata migratoria e all'impossibilità di controlli capillari. Quell’anno sul suolo ungherese sono passate 400 mila persone. Quante ne restano? Zero. No all’immigrazione illegale. E non accettiamo pressioni».
Le quote rientrano proprio nel tentativo di legalizzare e regolamentare i flussi.
«Ma sono anche un incentivo a partire per popolazioni male informate. Noi non intendiamo “regolamentare” i flussi, vogliamo fermarli. Non crediamo che l’immigrazione abbia un impatto positivo, almeno sul nostro tessuto sociale già alle prese con la disoccupazione della comunità rom».
Condividere gli impegni però è una dinamica fondamentale in un sistema politico-economico integrato come l’Unione Europea.
«Infatti non ci opponiamo alla cooperazione. L’apertura dei mercati è un'opportunità per tutti. Oggi gli investitori stranieri sono i principali attori nell'economia ungherese. A un approccio federalista ne preferiamo però uno sovranista, che preservi il nostro effettivo controllo sulle politiche sociali, familiari, demografiche... Non accetteremo politiche fiscali comuni. Né proveremo mai vergogna per le nostre radici cristiane. Mi è capitato di evocare a Bruxelles i cristiani perseguitati in Medio Oriente, mi è stato suggerito di parlare più correttamente di "minoranze". Siamo stigmatizzati ogni volta che esprimiamo posizioni poco in sintonia con il pensiero unico europeo. Ci chiamano "agenti russi"».
Sulla Russia, cosa proponete all'Europa?
«Più pragmatismo. Sappiamo dalla Storia che, quando si affrontato Est e Ovest, perde chi sta al Centro. Negli ultimi tre anni, a causa delle sanzioni abbiamo perso 7 miliardi di dollari in potenziali investimenti. Ma domina l’ipocrisia: grandi Paesi mantengono i rapporti con Mosca senza clamore. Al Forum economico di San Pietroburgo la lingua più parlata era il tedesco».
Considerate interferenze le critiche Ue a misure come la campagna governativa contro l’Università dell’Europa centro-orientale (Ceu) fondata da George Soros.
«È la Ceu a non rispettare l’obbligo legale di avere una sede nel Paese di registrazione (gli Usa). Su 21 istituti stranieri, solo loro hanno problemi».
La norma pare studiata apposta per colpirli.
«Non era il nostro intento».
Come spiega la campagna personale contro Soros?
«Su Europa e immigrazione, George Soros promuove idee in totale contrasto con la linea del governo ungherese».
In democrazia si può dissentire, ma questo non giustifica i cartelloni con il viso di Soros che ricordano le persecuzioni dei momenti più bui della nostra storia.
«Se scegli di essere così attivo nella vita pubblica, devi accettare che il tuo nome finisca nel dibattito politico».
Anche in Ungheria l’ultradestra è in crescita. Come arginarla in vista del voto 2018?
«C'è solo una strada: rafforzare il centro-destra».