Repubblica 9.9.17
Dal “fascismo che torna” al nuovo libro,
parla John Le Carré: “Spie del passato come me, Fleming e Graham Greene
avevano degli ideali: ora non c’è più nulla”
“Meglio la guerra fredda di questi nuovi Muri”
di Enrico Franceschini
LONDRA
«Uno spettro si aggira per il mondo, lo spettro di un nuovo fascismo »,
ammonisce John Le Carré. Per comprendere la Gran Bretagna, afferma
l’Economist di questa settimana, bisogna leggere i romanzi di spionaggio
britannici. Ma il riconosciuto maestro della spy story, lui stesso ex
spia, ha una visione che travalica i confini nazionali: forse i suoi
libri vanno letti non solo come thriller, bensì come strumenti per
interpretare una minacciosa realtà. L’ultimo, “A legacy of spies” (in
Italia lo pubblicherà Mondadori a inizio 2018 con il titolo “Un passato
da
spia”), appena uscito a Londra, segnala il ritorno di George
Smiley, protagonista de La talpa e altri bestseller del grande scrittore
inglese. La critica lo ha accolto trionfalmente. Giovedì sera il
pubblico ha riempito un teatro sul Tamigi e decine di sale
cinematografiche in tutto il paese per sentire parlare il suo autore. E
il messaggio non potrebbe essere più politico. «Quando comincio a
scrivere ho chiaro in mente cosa vorrei che provasse il lettore arrivato
alla fine”, dice l’85enne David Cornwell (il vero nome di Le Carré) al
tavolo di un gastro-pub di Hampstead, il quartiere londinese in cui
abita quando non è nella sua fattoria affacciata al mare in Cornovaglia,
«e in questo caso avevo l’intenzione sovversiva di promuovere
l’Europa». Ovvero di attaccare la Brexit. Ma nel suo mirino, in due ore
di conversazione, ci sono anche Trump, Putin, Theresa May, l’Occidente.
In
una delle ultime pagine, Smiley si domanda: “Per cosa abbiamo
combattuto la guerra fredda?” E si risponde: “Per l’Europa”. Cosa vuole
dire?
«Che lui, io nel mio piccolo finché ho fatto il suo stesso
mestiere e i miei colleghi di allora, avevamo un idealismo di fondo: far
cadere i muri attraverso il continente, ricreare un’Europa libera ed
unita. Ci tenevo a sottolinearlo, nel momento in cui i muri vengono
rialzati».
E in cui si allarga il canale della Manica. È anche un libro contro la Brexit?
«Era
impossibile ignorare l’attualità mentre lo scrivevo. La Brexit mi ha
fatto provare sgomento e vergogna. Uscire dal più grande mercato
economico del pianeta è un errore che rimpiangeremo amaramente».
Perché è successo?
«Per
quella che definisco “la maledizione dei vittoriosi”: lo sciovinismo
derivato dal convincimento di avere vinto la seconda guerra mondiale.
Mentre la verità è che noi britannici siamo soltanto sopravvissuti alla
guerra, a vincerla sono stati gli americani e i russi. E poi la Brexit
ha altre ragioni. Capisco il voto di protesta da parte dei dimenticati,
gli operai o ex-operai della provincia inglese deindustrializzata.
Ma non capisco perché nessuno in Inghilterra ha parlato dei meriti dell’Europa unita al di fuori dei vantaggi economici».
Nel
libro Smiley usa l’espressione “Citizen of nowhere”: è una citazione
del controverso discorso di Theresa May, che dopo il referendum sulla Ue
disse “o sei cittadino in un paese o non sei cittadino di niente”?
«Assolutamente
sì. Parole sbagliate e riprovevoli. Ma a esprimerle è una classe di
politicanti di serie B. Aspettiamo qualcuno che faccia rinsavire la
nostra nazione».
Il laburista Jeremy Corbyn?
«Lo rispetto per i suoi principi, ma Corbyn è un leader delle proteste, non di governo».
Se Smiley vedesse il mondo di oggi, penserebbe che è migliore di quello della guerra fredda?
«Non
ne sarebbe sicuro. Non saprebbe cosa pensare. La fine della guerra
fredda è stata una grande occasione clamorosamente fallita
dall’Occidente e adesso ne stiamo pagando il prezzo. Non c’è stato alcun
Piano Marshall per la Russia, che anzi è stata umiliata. E il risultato
è una Russia stalinista e autocratica, una cleptocrazia».
E cosa direbbe il suo alter ego letterario dell’America di Trump?
«Che
è un paese sceso in guerra contro la verità. Che semina odio. Che
minaccia di riscrivere la Costituzione. Il prossimo passo potrebbe
essere dare alle fiamme i libri. È lo spettro di un nuovo fascismo,
contagioso come un virus: non a caso se ne vedono già gli effetti, in
Polonia, in Ungheria, perfino nella Birmania di Aung San Suu Kyi. Nel
mondo sta accadendo qualcosa di estremamente preoccupante. A me ricorda
l’atmosfera che portò all’ascesa del fascismo in Germania, Italia,
Spagna, Giappone ».
Da ex spia e autore di spionaggio, crede che la Russia abbia davvero cercato di interferire sulle presidenziali americane?
«Non
ne ho le prove, ma suppongo di sì. E trovo comico che proprio l’America
gridi allo scandalo: se c’è un paese che ha interferito per mezzo
secolo nelle elezioni degli altri sono gli Stati Uniti. Comunque Trump e
Putin si somigliano, hanno lo stesso disprezzo per la democrazia
liberale: perciò si piacciono».
La novità è la potenza dello spionaggio cibernetico.
«“Quello
che ha rivelato Snowden è solo la punta dell’iceberg. Stiamo andando
verso l’impossibilità di avere segreti. Per questo tanto varrebbe
integrare lo spionaggio con il corpo diplomatico. Ma dubito che i
potenti della terra mi daranno retta. Le spie esisteranno sempre».
L’Economist suggerisce di leggere Ian Fleming, Graham Greene e lei per capire la Gran Bretagna odierna: è d’accordo?
«Abbiamo fatto tutti e tre le spie. E le spie conoscono, o credono di conoscere, l’essenza della realtà».
Le secca che i critici chiudano i romanzi di spionaggio in una categoria minore rispetto alla narrativa letteraria?
«Ho
smesso da tempo di leggere i critici. Le recensioni negative ti
inducono al suicidio. Le positive ti fanno credere un dio. Un tale a un
party mi ha detto: mi scusi, io non leggo i suoi libri perché non leggo i
romanzi di spionaggio. Avrei voluto rispondergli: non legge neanche
Conrad, perché non legge romanzi di mare?».