Il Fatto 15.9.17
I migranti e l’ipocrisia dell’accoglienza
di Maurizio Pallante
Nei
Paesi di partenza le migrazioni sono causate da sconvolgimenti delle
attività produttive, dei rapporti sociali e delle condizioni ambientali,
che impediscono alle popolazioni di continuare a ricavare da vivere nei
luoghi in cui vivono. Nei Paesi d’arrivo generano tre tipi di reazioni:
una di rifiuto, che si concretizza nel sostegno ai partiti xenofobi;
una di accoglienza interessata per i contributi che i migranti danno
alla crescita economica e alla ricchezza monetaria dei nativi; una di
accoglienza disinteressata e generosa, basata sulla solidarietà nei
confronti delle persone più provate dalla vita. I partiti xenofobi
enfatizzano i problemi creati dall’arrivo di un numero sempre maggiore
di migranti senza risorse professionali ed economiche, mettendo in
evidenza l’insicurezza e il degrado che inevitabilmente si genera nei
luoghi in cui si arrangiano a sopravvivere. I sostenitori
dell’accoglienza interessata li minimizzano, insistendo sui vantaggi
economici che deriverebbero dalla loro regolarizzazione: crescita del
prodotto interno lordo, aumento del gettito fiscale, pagamento delle
pensioni. I sostenitori dell’accoglienza disinteressata fanno leva sui
sentimenti di fraternità che, persistono nell’animo umano nonostante i
decenni di consumismo ed egoismo che hanno caratterizzato le società
industriali. E dedicano le loro energie ad aiutare i migranti a trovare
un alloggio e un lavoro dignitosi.
Nei coni d’ombra tra queste
dinamiche, agiscono due categorie di approfittatori: quelli che
speculano sulla disperazione dei più deboli, sfruttando la loro forza
lavoro in maniere ignobili, fino a farli morire; e quelli che, agendo
nel sottobosco della politica, riescono a impadronirsi dei fondi
stanziati per le strutture d’accoglienza, lasciando solo le briciole ai
disperati cui erano destinati.
Tutti gli attori in campo si
limitano a prendere in considerazione, ciascuno dal proprio punto di
vista, le conseguenze dei flussi migratori, ma nessuno si domanda per
quale motivo negli ultimi trent’anni le migrazioni abbiano coinvolto
numeri sempre maggiori di persone in tutto il mondo. Nei Paesi africani i
contadini sono costretti a lasciare le campagne a causa delle guerre
tra le etnie e gli Stati fomentate dai Paesi occidentali, e di quelle
combattute direttamente da loro per tenere sotto controllo i territori
in cui insistono i giacimenti di minerali e fonti fossili necessari alla
loro crescita economica. A ciò si aggiunge la riduzione della fertilità
dei suoli e la perdita dell’autosufficienza alimentare causate dagli
aiuti allo sviluppo, che li hanno indotti ad abbandonare la biodiversità
e l’agricoltura di sussistenza per dedicarsi alla monocoltura di
prodotti esotici richiesti dal mercato mondiale. E, da qualche decennio,
gli acquisti di enormi estensioni di terreni agricoli non accatastati
effettuati da cinesi e coreani per un tozzo di pane con la complicità di
governanti corrotti.
Premesso che nessuno è obbligato a emigrare e
chiunque ha diritto di andar via dai luoghi in cui non vuole o non può
più vivere, la storia delle migrazioni è contrassegnata dalle
sofferenze: di dover lasciare i luoghi in cui si è nati e i propri
affetti familiari, di dover accettare lavori faticosi, pericolosi e poco
pagati nei luoghi in cui ci si trasferisce, di vivere in abitazioni
malsane in quartieri ghetto tra l’ostilità delle popolazioni autoctone.
Possibile che i sostenitori dell’accoglienza per ragioni umanitarie
sappiano solo dire che emigrare è un diritto che va tutelato e
agevolato, ma non riescano nemmeno a immaginare che se ci si limita ad
agevolare l’accoglienza dei migranti si rafforzano le cause che li
inducono a emigrare e le sofferenze che ne conseguono? E non si rendano
conto di fare inconsapevolmente il gioco dei sepolcri imbiancati
dell’accoglienza interessata?
“I migranti – si legge nel rapporto
Caritas 2015 – costituiscono una ricchezza per l’Italia, perché
producono l’8,8 per cento del Prodotto interno lordo, pari a oltre 123
miliardi di euro. E vengono pagati meno dei lavoratori italiani: un
italiano guadagna in media 1.326 euro al mese, un cittadino comunitario
993, un extracomunitario 942”. Secondo un rapporto del Credit Suisse
dello stesso anno, le spese per i migranti sono destinate a ripagarsi
sotto forma di benefici alla crescita e quindi di aumenti delle entrate
fiscali. Per sostenere il suo sistema di welfare l’Europa avrà bisogno
di 42 milioni di immigrati entro il 2020, di 250 milioni entro il 2060.
Il presidente dell’Inps, Tito Boeri ha più volte affermato che se
chiudessimo le frontiere ai migranti non saremmo in grado di pagare le
pensioni. Ogni anno gli stranieri versano otto miliardi di euro in
contributi e ne prelevano tre. È vero che un giorno avranno la pensione
pure loro, però molti torneranno al loro Paese d’origine e i loro
versamenti saranno a fondo perduto. Perché dovremmo respingerli?
Premesso
che alleviare una sofferenza è un dovere etico da compiere
tempestivamente, capire le cause che la provocano è un dovere
intellettuale a cui consegue l’impegno politico di provare a rimuoverle.
È il nostro stile di vita consumistico a impedire che i migranti
possano continuare a vivere sulle terre dei loro padri, perché li priva
del necessario per alimentare il nostro superfluo. Il nostro modo di
vivere, che non è compatibile con la biosfera, non è l’unica alternativa
alle privazioni del loro modo di vivere. Non s’immagina nemmeno che ce
ne possa essere un altro diverso dal nostro e dal loro. Per esempio, una
società in cui la tecnologia sia finalizzata a ridurre l’impronta
ecologica e non ad aumentare la produttività; in cui il benessere
s’identifichi con la possibilità di garantire a tutti di far fruttare i
propri talenti. Se non si pongono queste domande, i sostenitori limpidi
dell’accoglienza rischiano di diventare i cavalli di Troia dei sepolcri
imbiancati, che si fanno paladini dell’accoglienza per trasferire al
servizio delle società opulente coloro ai quali le società opulente
hanno già tolto il necessario per vivere nella loro terra.