Repubblica 12.7.17
L’evoluzione di un mito che resiste fino al libro di Abécassis e Lacombe
Golem
I segreti del primo umanoide padre di replicanti e di robot
di Marino Niola
Il
primo umanoide della storia è nato cinque secoli fa nel cuore della
Praga magica, quando, nell’oscurità sapienziale della Sinagoga
Vecchia-Nuova, un Golem prese vita tra le mani del Rabbino Judah Loew,
grande cabalista, talmudista e matematico. Che riuscì ad animare quella
creatura di fango intonando nenie magiche e incidendo sulla sua fronte
le lettere del nome di Dio. Di fatto il sapiente conoscitore delle
scritture aveva ricreato la creazione. Il suo colosso d’argilla era una
sorta
di Adamo senz’anima, asservito al suo creatore e del tutto
privo di coscienza. Anche se a furia di perfezionamenti e apprendimenti,
finisce per emanciparsi dal suo creatore.
Il mito del gigante
dalla forza sovrumana, nato per difendere il popolo d’Israele dai suoi
nemici, è arrivato fino a noi ed è diventato di fatto il padre di tutti
gli automi che abitano il nostro immaginario. Come racconta la
bellissima mostra del Mahj (Museo di Arte e Storia del Giudaismo) di
Parigi. Titolo, Golem! Avatar d’une legende d’argile
(fino al 16
luglio). I curatori, Paul Salmona e Ada Ackerman hanno messo insieme con
scelte espositive di grande suggestione dei pezzi da urlo. Documenti
preziosi, testi religiosi, immagini, film, affiches, opere di artisti
contemporanei, fumetti, videogiochi e robot per mostrare vita, morte e
miracoli di questo archetipo di tutti i mostri. Da Frankenstein alla
Cosa, da Hulk a Terminator, dai replicanti ai Pokemon. Tutti figli della
creatura leggendaria animata dal grande MaHaRaL di Praga, acronimo di
Nostro Maestro Rabbino Loew. Così i suoi concittadini avevano
soprannominato Judah, circondato da un’aura di mistero che il tempo e
gli uomini non hanno scalfito. La sua statua, che troneggia davanti al
municipio praghese, ha resistito ai regimi, alle bombe, alle intemperie e
ai graffitari. Perfino gli uccelli, si dice, evitano di poggiarsi sulla
testa del MaHaRaL. Certo è che questo sapiente, amico di Tycho Brahe e
Keplero, ha il merito di aver traghettato la figura del Golem
dall’antica teologia alla moderna mitologia.
Non senza l’aiuto
della letteratura e del cinema. Ad aprire la serie è lo scrittore
esoterista austriaco Gustav Meyrink che con il suo romanzo Der Golem,
uscito nel 1915, fa del gigante la matrice di tutte le nostre creature
artificiali, reali e immaginarie. Con il contributo di un grande
illustratore come Hugo Steiner-Prag, che dà al simulacro animato un
volto destinato a entrare nell’immaginario globale. Il resto lo fa il
grande schermo che celebra il primo mostro di celluloide con la trilogia
di Paul Wegener (1915-20), celebre esponente dell’espressionismo
tedesco. Che nella trasposizione cinematografica della leggenda ci crede
tanto da metterci la faccia. Sarà lui stesso, infatti, con la sua
stazza imponente a vestire i panni dello spaesato Moloch. La meccanica
rudimentale della sua camminata, il suo caschetto da sfinge faranno
scuola, grazie anche alla fotografia di Karl Freund, collaboratore fisso
di Fritz Lang e creatore di Maria, il robot di Metropolis.
Da
allora l’androide di argilla diventa il simbolo della creatura che
sfugge al controllo del creatore. Della ribellione delle macchine che
disobbediscono all’uomo, esattamente come questo ha disobbedito a Dio.
Non a caso la prima menzione del termine Golem si trova nel Salmo 139
della Bibbia ed esce dalla bocca di Adamo che si rivolge al Signore
definendosi una massa informe. E di fatto si autoproclama primo golem di
sempre. Era il parere di quei dottissimi rabbini che nel Medioevo e nel
Rinascimento si interrogavano sulla natura e sul ruolo sociale di
questi diversamente uomini. Che stando al Talmud era realmente possibile
animare usando come tutorial il Sefer Yetsirah, il Libro della
creazione, che fornisce istruzioni dettagliate sulle combinazioni
alfanumeriche usate da Dio per mettere in moto la macchina del mondo.
Una cosmogonia che si fonda sulla magia generativa dei numeri e delle
lettere.
E infatti il Golem comincia a vivere grazie alla potenza
del termine emet, in ebraico verità. E smette di vivere quando
l’iniziale viene cancellata e restano i tre caratteri di met che
significa morte. È un principio binario che cifra in un algoritmo il
segreto della vita. Non a caso il primo computer prodotto da Israele nel
1965, fu battezzato Golem I e a scegliere il nome fu Gershom Scholem,
il grande filosofo, teologo e cabalista amico di Walter Benjamin.
E
proprio con la robotica e la cibernetica si conclude la mostra
parigina. Corpi aumentati, ibridazioni genetiche, nanotecnologie,
transazioni informatiche, avatar. Forme di golemizzazione della realtà.
Nel senso che segnano il passaggio dal Golem originario, copia
rudimentale e incompleta dell’uomo, a un Golem post-umano che è a tutti
gli effetti un uomo ulteriorizzato.
Deve averlo pensato anche Bill
Gates quando di recente ha proposto di tassare i robot come se fossero
individui. Declinando al presente la domanda che ci pone da sempre il
mostro di argilla. Cos’è che definisce la persona? La natura, la forma o
la funzione? La stessa domanda che si pone e ci pone anche la
carismatica e dilemmatica Lisa Simpson, in un episodio dove il Golem
piomba nella famiglia di Homer e Marge. La risposta è nessuna delle tre.
Perché a rendere umani sono la coscienza e i sentimenti. Quelle lacrime
nella pioggia che fanno brillare un lampo di umanità nel replicante di
Blade Runner. O il balbettio del Golem Josef, protagonista della
versione più recente della leggenda. Contenuta nel bellissimo libro
L’ombra del Golem, di Éliette Abécassis, splendidamente illustrato da
Benjamin Lacombe e appena tradotto in italiano da Camilla Diez
(Gallucci, pagg. 184, euro 19,90). Un avvincente racconto per ragazzi
che riscrive la leggenda praghese dalla parte delle bambine. In questo
caso, infatti, è Zelmira, la pupilla del MaHaRaL, a far breccia nel
cuore del gigante che si è ribellato al suo costruttore e ad arrestare
la sua furia distruttiva.
«Golem volere bene a Zelmira ». Sono le
ultime parole del mostro prima che Judah lo disattivi chiudendo per
sempre quegli occhi che Borges definiva «meno di uomo che di cane e
ancor meno di cane che di cosa». Come dire che solo l’amore ha più
potere del nome di Dio.
Cetona: ‘Confronto Italiano’ 2017 dedicato a Gramsci e il pensiero della crisi
Cetona.
Due giorni dedicati al confronto e alla riflessione sulla figura di
Antonio Gramsci, dal suo pensiero politico alla attività di giornalista,
in compagnia di sociologi, politologi, storici, scrittori, saggisti e
giornalisti. È quello in programma a Cetona venerdì 14 e sabato 15
luglio con Confronto Italiano, manifestazione culturale promossa dal
Comune, dalla Fondazione Lionello Balestrieri e dalla Cattedra di
Scienza Politica della Sapienza Università di Roma. L’undicesima
edizione della due giorni di confronto e riflessione potrà essere
seguita anche in streaming, attraverso il sito www.confrontoitaliano.it.