Il Fatto 6.7.17
Consip, tutta colpa di Lillo. Perquisizioni e sequestri
La
Gdf in redazione - Blitz cortese ma deciso: forzata una cassettiera,
portato via il pc. Sottratto il telefono all’ex moglie, finanzieri anche
a casa del padre del giornalista
di Vincenzo Iurillo e Antonio Massari
I
finanzieri partono alle tre della notte da Napoli. Alle sette del
mattino, la loro Punto nera è già dinanzi al cancello della redazione
del Fatto a Roma . Hanno un mandato preciso: perquisire, sequestrare,
trovare le prove che inchioderanno la fonte di un giornalista, il nostro
vicedirettore Marco Lillo, autore dei principali scoop sul caso Consip.
La
Procura di Napoli indaga – in coordinamento con quella romana – dopo la
denuncia presentata dai legali di Alfredo Romeo, il principale indagato
nell’inchiesta Consip, agli arresti in carcere fino a due giorni fa,
quando gli sono stati concessi i domiciliari. Si sente diffamato, Romeo,
e indica nella denuncia che nel libro intitolato Di padre in figlio –
incentrato sull’inchiesta, con annessa pubblicazione dell’inedita
intercettazione tra Matteo Renzi e suo padre Tiziano – si sono consumate
delle rivelazioni del segreto istruttorio. Un’inchiesta, quella sulla
Consip, sventrata da fughe di notizie eccellenti – contestate persino al
ministro Lotti e all’attuale comandante dell’Arma – partorisce così una
nuova inchiesta, stavolta sul Fatto Quotidiano, avviata dall’uomo che,
secondo l’accusa, brigava illecitamente per ottenere appalti. E così, a
poche ore dall’interrogatorio a Roma del pm Henry John Woodcock, e dopo
quello alla sua compagna Federica Sciarelli, entrambi indagati per
rivelazione del segreto istruttorio – Lillo ha da subito dichiarato:
“Non sono le mie fonti” – la Procura di Napoli decide di sequestrare
telefoni e computer del vicedirettore Marco Lillo.
Il nostro
vicedirettore – si legge nel decreto – non vuol rivelare la fonte: la
Procura decide di perquisire. E sequestra anche il telefono della ex
moglie, gli strumenti di lavoro dell’Art director Fabio Corsi, che ha
editato il libro, perquisisce la residenza romana di Lillo, dove i
finanzieri copiano l’intero contenuto del computer dell’attuale
compagna. Sequestrano le bozze del libro, con appunti segnati dal
cronista, si presentano nella casa estiva in Calabria, quella del padre
96enne, dove Lillo è in vacanza con i figli e col papà. Perquisizioni
anche nella “Grafica Veneta” di Padova che, per conto della Paper First,
la casa editrice del Fatto, ha stampato il libro in questione.
Dieci
finanzieri in viaggio tra Padova e Roma con tre tecnici nominati dalla
Procura. Un notevole dispiegamento di forze, eppure il Fatto non è certo
il covo di un pericoloso latitante. Il presunto corpo del reato? La
Finanza – che ha agito costantemente in modo corretto e rispettoso –
cerca due informative del Noe: la prima datata 9 gennaio 2017, la
seconda risalente a febbraio. Entrambe riguardano il caso Consip. E poi –
su mandato del procuratore aggiunto di Napoli, Alfonso D’Avino, e della
sostituta Graziella Arlomede – i dieci finanzieri cercano “atti
relativi al libro”, “messaggi di posta elettronica di interesse
investigativo”, tracce che portino all’autore della soffiata che ha
permesso a Lillo di pubblicare, in esclusiva, l’intercettazione tra
Matteo Renzi e suo padre, nella quale il primo diceva al secondo di dire
ai magistrati se avesse visto Romeo, con l’aria di fidarsi poco del
genitore.
Lillo – si legge negli atti – ha dichiarato che Woodcock
e Sciarelli non sono le sue fonti, ma ha anche detto pubblicamente che
non intende rivelare il nome di chi lo ha aiutato a recuperare le
notizie. E quindi: la Procura perquisisce. E sequestra. In modo
“illegittimo”, sostiene l’avvocato del Fatto Angela De Rosa. Ha un bello
scrivere, la Procura di Napoli, quando nel decreto ricorda i limiti che
la magistratura incontra indagando – come suo dovere – quando s’imbatte
in un giornalista. Semplifichiamo: prima si chiede di esibire gli atti
sui quali s’indaga, e solo quelli, poi, in caso di diniego, il sequestro
non si rende necessario.
Lillo era in Calabria e non s’è mai
opposto all’esibizione. Al limite, era impossibilitato in tempi brevi a
raggiungere sia la redazione, sia le sue abitazioni romane. Ma nessun
diniego. Dopo il sequestro del suo telefono, si annota che il cronista
non era raggiungibile. Peccato che, il suo telefono, alla Finanza in
Calabria, l’avesse portato proprio Lillo. E così la Procura decide di
sequestrare il suo computer e di aprire con un cacciavite la sua
cassettiera. “Le operazioni di eventuale sequestro – fa annotare
l’avvocato nel verbale – sono subordinate, come prescritto dal decreto,
all’esibizione del materiale cartaceo e informatico citato nello stesso
decreto. Esibizione che Lillo è nell’impossibilità oggettiva di
operare”. E quindi: perquisizione e sequestro sono quindi avvenuti in
modo “illegittimo” e “in violazione dei diritti del giornalista” che, si
badi, non è neanche indagato.
Situazione ancora più gravve nel
caso dell’Art director Fabio Corsi che, convocato in forza di un secondo
decreto di perquisizione, esibisce tutto ciò che può, collaborando
costantemente. Il suo unico ruolo, da Art director, è impaginare il
libro e curarne la grafica. Non ha alcun ruolo nella sua redazione.
Niente da fare: sequestro di telefono e computer. Con annesso “rischio”,
annota l’avvocato, “di causare serie difficoltà al normale andamento
del giornale”.
Tant’è, in attesa di ulteriori sviluppi
dell’inchiesta, sia a Napoli sia a Roma, in questo momento, nel mirino
delle Procure impegnate nel caso Consip, ci sono i giornalisti. “Io e
Federica Sciarelli – commenta Lillo – siamo stati costretti a consegnare
i telefonini. Tiziano Renzi, indagato per traffico illecito
d’influenze, ancora no”.