mercoledì 12 luglio 2017

Corriere 12.7.17
Battute, veleni e sospetti di congiure I due leader ossessionati l’uno dall’altro
Il capo dei dem e l’ex ministro degli Esteri si detestano ma sono simili
di Pierluigi Battista

Sartre scriveva che «l’inferno sono gli altri». Ecco, per Massimo D’Alema l’inferno si chiama Matteo Renzi, per Renzi l’altro dell’inferno è D’Alema. Dicono che non è un fatto personale l’abisso che li divide. Non è personale? Sicuri? Quando D’Alema proclama solenne che «finché mi sarà dato di esistere, Renzi non può stare tranquillo», mica fa politologia, si stende sul lettino per rivelare il ruolo dell’inconscio ingovernabile nella lotta politica. E quando Renzi nel suo nuovo libro sostiene che il patto con Berlusconi si sarebbe rotto perché il leader del centrodestra si sarebbe fatto sedurre da D’Alema, non fa storia, ma scrive un capitolo di demonologia. Non sono fatti personali? Ma mica fatti personali sono soltanto meschine faccende di interesse, come si scrive spesso sui due, la storia dell’Europa, o della rottamazione. I duellanti del film di Ridley Scott tratto da un racconto di Joseph Conrad hanno passato una vita a inseguirsi per colpire l’altro con la spada, ma non era per una piccineria personale: si menavano perché avevano un gran gusto a rovinarsi reciprocamente l’esistenza, più personale di così. Vedevano nell’altro il fantasma della loro vita, lo spettro da scacciare. Una faccenda strettamente personale.
E così Renzi vede in D’Alema la personificazione di tutto ciò che aspirerebbe ad asfaltare perché gli fa ombra, D’Alema vede in Renzi la personificazione del giovane oltraggioso che non vuole ascoltare la sua lezione. In comune hanno il sarcasmo, anche se le due forme del sarcasmo sono diverse tra loro, perché quello di D’Alema è più gelido, cerebrale, studiato, mentre quello di Renzi è più rocambolesco, istintivo, spettacolare. Una volta Renzi ha detto che era una buona cosa se D’Alema aveva perso il congresso perché tutte le volte che aveva vinto un congresso poi il suo partito perdeva le elezioni. Non fu una battuta felice perché dal momento in cui l’ha pronunciata Renzi ha perso un’elezione dopo un’altra. Una volta D’Alema disse con la sua consueta placidità se leggere un libro non fosse in contrasto con la linea del partito imposta da Renzi. Ora Renzi si vendica: con un libro. La legge dei duellanti assomiglia molto a quella del contrappasso. Il rottamatore si trova rottamato, quello che viene accusato di aver fatto gli inciuci con Berlusconi ora fa lo scandalizzato se con Berlusconi si fa il patto del Nazareno. Dicono che c’è sempre bisogno di dare un volto a ciò che si considera nemico. Per Renzi, D’Alema con i baffi è il volto della sconfitta, della conservazione, dell’apparato, della lingua «di legno» del passato comunista, ma dimentica di dire che contro D’Alema si calamitò tutta l’avversione della sinistra d’antan che oggi Renzi vede concentrarsi su di sé, e non è un caso che molti della guardia pretoriana dalemiana siano rinati come soldati della guardia pretoriana renziana. «Di’ una cosa di sinistra», con cui Nanni Moretti in Aprile supplicava il dirigente che se la vedeva in tv con Berlusconi, era rivolto a D’Alema, mentre oggi è lo stesso D’Alema che chiede a Renzi di dire qualcosa di sinistra. Potenza del contrappasso, appunto.
E se si detestassero perché sono troppo simili? Oggi Renzi ha mobbizzato ciò che era del vecchio Pd, dimostrando, se non disprezzo, disamore ed estraneità rispetto al vecchio mondo della sinistra. Ma i cronisti più anziani non dimenticano la smorfia di disgusto quando un militante del suo partito apostrofò D’Alema con un banalissimo «compagno», neanche lo avessero insultato. E perciò si detestano, si perseguitano, fanno gli eterni duellanti, si rinfacciano comportamenti molto simili: in fondo tutti e due sono entrati a Palazzo Chigi con una congiura di palazzo. O forse è proprio questo che ciascun duellante vede riflesso nel volto dell’altro. Ma che vorrebbe fosse dimenticato. Odiando chi lo ricorda.