Repubblica 31.5.17
Ezio Bosso racconta a “Repubblica” il potere degli spartiti. E la magia delle note che ci fa tutti più belli
Inno alla gioia
Perché la musica è la sola cura universale
Ezio Bosso
«Dentro
una nota c’è tutto il teatro di cui hai bisogno», ho detto una volta a
una giovane attrice-cantante. Lei lamentava una difficoltà espressiva,
ma in realtà era semplicemente soffocata dai mille gesti che la
distraevano dall’unica esigenza che aveva: il suono. E grazie a
quell’episodio anch’io ho imparato qualcosa di importante: il valore più
profondo delle note. Quella frase detta in maniera spontanea mi ha
fatto riflettere, scavalcando quella parte di me che procede quasi in
automatico dopo tanti anni di “onorato servizio” e che mi fa andare
avanti sicuro della mia conoscenza. E che però mi fa dimenticare un
pezzo fondamentale della mia esistenza di musicista, dando per scontato
il bello a cui tendiamo. Un po’ co–
me quando scrivi un
messaggino: è vero che un cuore emoticon e un cuore in parole hanno lo
stesso significato in fondo, ma io continuo a leggere nel secondo caso
“grazie di cuore” e nel primo “grazie di disegnino di un cuore”. Quel
giorno mi sono reso conto, o meglio ho ricordato, che dentro una singola
nota non solo c’è tutto il teatro del mondo, ma c’è tutta la vita.
Tutta la vita di una persona, perché troppo spesso dimentichiamo che chi
ha scritto quella musica non era un mezzobusto di marmo o un ritratto
dall’espressione un po’ trombonesca, ma era una persona. E dentro quella
nota c’è tutta la sua vita, il suo tempo, la storia che lo accompagna,
la sua ricerca, i suoi sentimenti, ciò in cui crede e anche le sue
fragilità e insicurezze. Certo, da tempo il mio approccio interpretativo
si basa fortemente sull’approfondimento storico, estetico, filologico:
cosa facile, in fondo convivo con uno scrittore di musica da 45 anni e
non sono mai riuscito a cacciarlo. Eppure questo era un tassello che
avevo forse un po’ trascurato.
In una nota c’è tutto questo e
nelle migliaia di note e punti e trattini e cunei che compongono una
partitura c’è tutto il percorso. E quando suoniamo, lo liberiamo a noi
stessi e a chi ascolta con noi, aggiungen-do lo stesso ammontare di vita
che ci ha messo chi lo ha scritto. Per questo abbiamo la responsabilità
non solo di rispettare le note suonando impeccabilmente, ma anche di
approfondire, studiando ogni aspetto possibile nascosto nelle note che
compongono quella mappa meravigliosa che è una partitura. Una mappa da
seguire ma anche da cui alzare gli occhi per godersi il paesaggio, senza
rischiare di non andare a sbattere contro un muro; da imparare a
memoria e ripercorrere in ogni istante che ne sentiamo l’esigenza. La
musica ha anche questo potere: fa viaggiare nel tempo e nello spazio, fa
vedere senza bisogno di guardare, fa conoscere i luoghi evitando le
noiosissime serate di visione di diapositive di un tempo o
dell’imbarazzante “guarda qui” in telefoni sempre troppo piccoli per
mostrare abbastanza.
Era ciò che già diceva “il mio babbo”
Beethoven che definiva la sua settima sinfonia proprio la mappa per
l’utopia. O che troviamo in Mendelssohn nella quarta sinfonia e che si
intitola “italiana” perché nasconde in ogni nota luci romane, colori
veneziani, funerali napoletani e riti di tarantolati come fossero
appunti di viaggio. O, meglio, come fosse una mappa aborigena che indica
luoghi in cui “nutrirci“ come nelle vie dei canti. Gli aborigeni la
sanno molto più lunga di noi.
La musica non è (solo) un momento di
intrattenimento o di emozione fugace. La musica è una esigenza, è una
magia che noi esseri umani ci siamo andati a cercare sostenendo, presun-
tuosi come siamo, di averla inventata. E ogni nota che ci hanno
lasciato e che lasciamo scrivendo contiene tutta quella magia. Nella
musica io credo fermamente e sono convinto che oggi più che mai tutti
dovremmo crederci di più, per credere anche in noi stessi, per
ricordarci tra le altre cose che siamo belli, solo un po’ buffi, anche
se tendiamo a dimenticarlo.
Tanti fraintendono la mia idea di
“musica libera” e pensano che significhi “fai un po’ quello che ti va,
esprimiti come vuoi”. Non è così. Io chiamo la musica detta –
impropriamente – classica, “libera” perché è scevra dagli ego, dai
pregiudizi, dalle manipolazioni e per osmosi libera tutti coloro che
partecipano, perché ogni nota, pur contenendo tutto ciò che dicevo
prima, non appartiene più a chi l’ha scritta, ma a tutti e diventa Ezio o
Maria o Claudio quando la interpretano Ezio, Maria o Claudio, ma anche
quando la ascoltiamo, quando tutti diventiamo quella musica, vibriamo
nella stessa nota. E le note in qualche modo si legano a tutte le altre
note del passato. La musica libera è una catena infinita di vita che
attraversa secoli e confini ed è una delle ragioni per cui dopo
centinaia di anni continuiamo ad avere bisogno di ascoltare Monteverdi,
Bach, Beethoven, Mozart o Brahms. Non perché la musica sia solo bella ma
perché le apparteniamo.
Quel vibrare all’unisono in due o in
migliaia provoca fenomeni fisici e benefici neurologici. Ha poteri
curativi. I nostri neuroni ritrovano un equilibrio e le cellule
funzionano nei migliore dei modi. La musica ci rende belli, rende
bellino persino me. Ci rende tutti belli nel momento in cui tocchiamo
uno strumento o impugniamo la bacchetta – non posso confermare quando
prendiamo la matita per scriverla perché non ho elementi, ma se tanto mi
dà tanto… Leviga i difetti, ci illumina. Fa sparire persino le ruote
della sedia su cui mi muovo. Fateci caso, osservate le foto dei
musicisti mentre suonano. O guardatevi quando cantate a casa. La musica
libera è basata sul trascendere, noi non esistiamo ed esistiamo. Le
apparteniamo quanto ci appartiene.
Ed è per questo che fare musica
è una responsabilità che va oltre il dovere di restituire a chi ascolta
il tempo che ci regala. È una responsabilità che passa in ogni nota, in
quell’eredità eterna che dobbiamo trasmettere e anche per questo credo
che tutto il sapere che ci lega ad essa debba essere condiviso. Non per
fare i fighetti, ma per condividere l’aiuto che ci ha dato nel
comprenderla. Raccontare la musica a chi non la conosce rende liberi
perché insegna ad ascoltare anziché a subire.
E che sia negli
asili, nei conservatori o nelle scuole, negli ospedali o nelle carceri,
nelle sale da concerto, in tv o con le cuffie, bisogna divulgarla, cioè
renderla di tutti con ogni mezzo possibile. In ogni momento in cui viene
suonata e ascoltata c’è il segreto della sua libertà, e della sua
capacità di starci vicino da centinaia e centinaia di anni: perché alla
fine una musica per essere davvero libera entra nella pancia, passa per
il cuore e fa muovere la testa. E quando queste tre cose si muovono
insieme diventiamo davvero liberi. Scrivere musica è un atto d’amore.
Chi scrive la musica lo fa per lasciarla a qualcun altro. Un atto di
generosità, quello di dedicarsi all’altro ma che come in ogni amore vero
non ci annienta. E l’amore è l’unico gesto di coraggio che esista.