martedì 30 maggio 2017

Repubblica 30.5.17
L’uguaglianza delle opportunità si esprime anche nella possibilità di condurre una vita sana. Ma non è sempre così. Se ne discute da giovedì a Trento
Festival dell’Economia
La salute non è uguale per tutti
di Federico Rampini

La salute disuguale, tema del Festival dell’Economia quest’anno, sembra la perfetta definizione del sistema sanitario americano. Tra riforme e contro-riforme, è il peggiore fra tutti i Paesi avanzati. Cara per tutti, ingiusta coi meno abbienti, burocratica e farraginosa: la sanità Usa è la dimostrazione che il privato non è necessariamente più efficiente del pubblico. Anzi, la sedimentazione di rendite oligopolistiche e centri di profitto privati, la moltiplicazione di angherìe amministrative, gli abusi di potere, le vessazioni, rendono il sistema Usa un formidabile deterrente contro le tentazioni di privatizzare i sistemi della Vecchia Europa. E tuttavia nel tema che tratterò il 4 giugno a Trento c’è una sfida aggiuntiva: capire perché tanta classe operaia bianca ha votato per Donald Trump, che prometteva (e sta cercando di realizzare) un sistema ancora più privatizzato, costoso e ingiusto.
«Abbiamo realizzato ciò che nessun politico e nessun partito riuscì a fare per un secolo: 20 milioni di americani che non avevano assistenza sanitaria ora ce l’hanno; sono finite le discriminazioni contro i malati». Nell’ultimo messaggio di Barack Obama alla nazione ci fu questa rivendicazione orgogliosa della sua riforma sanitaria. Poco dopo arrivò il tweet di Donald Trump: “Obamacare è un disastro, assistenza scadente, il costo delle assicurazioni è salito fino al 116% in Arizona”. In un certo senso avevano ragione tutti e due. Lo stesso presidente uscente in un bilancio sulla rivista scientifica New England Journal of Medicine riconosceva i problemi che lui lasciò irrisolti: “La mancanza di alternative sufficienti in alcuni Stati; le tariffe assicurative ancora inaccessibili per certe famiglie; i medicinali troppo cari”. È un elenco attendibile dei tanti difetti della sua riforma. Per gli europei abituati ai sistemi sanitari nazionali, con un minimo di prestazioni pubbliche e universali, il regime americano è incomprensibile. Obamacare non lo ha né rivoluzionato né semplificato. Quella degli Stati Uniti rimane una sanità prevalentemente privata, dalle assicurazioni agli ospedali. Fanno eccezione due sistemi: Medicare fornisce assistenza a carico dello Stato a 50 milioni di anziani sopra i 65 anni di età (ma usando assicurazioni private come erogatrici di prestazioni); Medicaid dà cure mediche pubbliche ai cittadini più poveri.
Cosa cambiò la riforma di Obama? Avere un’assicurazione divenne obbligatorio. Questo ha creato un onere per le piccole imprese che non includevano la polizza sanitaria nel pacchetto retributivo; oppure per i singoli cittadini che siano lavoratori autonomi, liberi professionisti, freelance, precari. Questi ultimi ricevono sussidi pubblici se il loro reddito è basso. Obamacare vietò alle assicurazioni una consuetudine diffusa quanto odiosa: il rifiuto di vendere polizze a chi era già stato ammalato. Infine si è allungata a 26 anni l’età fino alla quale si possono tenere i figli a carico della polizza familiare.
I miglioramenti sono reali, anche se i costi sono in parte scaricati sui cittadini o sulle imprese. Non è cambiato il difetto più grave: i costi fuori controllo. Il vizio d’origine non venne affrontato con l’istituzione del Medicare nel 1966 sotto la presidenza di Lyndon Johnson. Già allora la lobby di Big Pharma era così potente che lo Stato si privò del suo potere maggiore: contrattare i costi dei medicinali con le case farmaceutiche. Lo stesso difetto è rimasto con Obamacare. Non c’è nella legge un’arma contro i comportamenti predatori dell’industria farmaceutica, al punto che gli stessi medicinali made in Usa talvolta costano meno in Europa. Le autorità pubbliche degli Stati Uniti non hanno potere su nessuno degli altri attori privati: né le assicurazioni, né la classe medica né gli ospedali privati. Il sistema si avvita in un’iperinflazione, le tariffe assicurative 2016 in media sono salite del 25 per cento. Gli Stati Uniti in percentuale sul Pil spendono quasi il doppio dei Paesi europei e del Giappone, eppure gli indicatori di salute della popolazione sono peggiori. Unici a non accorgersene sono i dipendenti delle grandi aziende, che hanno buone polizze in busta paga: le pagano senza saperlo, con un prelievo dal salario lordo. La battaglia dei repubblicani per smantellare Obamacare è a metà strada, la contro-riforma è stata votata alla Camera ma non ancora al Senato.
Il Trump-care peggiora tutto, offre ancora più discrezionalità alle compagnie assicurative, toglie il “minimo garantito” delle prestazioni nelle polizze, abolisce quasi tutti i sussidi alle famiglie meno abbienti. Promette un ritorno a una giungla ancora più feroce. Nel Paese più ricco del mondo, oggi si muore più giovani di vent’anni fa, diversi indici della salute sono in regresso, le cure mediche sono un privilegio costoso. Eppure quegli operai bianchi che si sentono come degli “estranei in casa propria”, identificano ogni forma di Welfare pubblico con un trasferimento di risorse agli immigrati. Lo Stato, per loro, aiuta tutte le minoranze fuorché la middle class bianca che scivola verso la povertà.