sabato 27 maggio 2017

La Stampa 27.5.17
Nel suo feudo Bersani va da solo
E il candidato Pd ripudia Renzi
A Piacenza il favorito è Rizzi, appoggiato dai dem: “Il sostegno di Matteo? Inutile”
Niente alleanza con Mdp. E il centrodestra diviso sogna la rimonta al ballottaggio
di Francesca Schianchi

«Potrei essere il Macron di Piacenza...», ride sotto i baffi Massimo Trespidi allungando lo sguardo fin laggiù, al Palazzo Farnese, dal settimo piano di un hotel dove sta per presentare il suo sondaggio choc: al ballottaggio avrebbe più probabilità di finirci lui, l’ex presidente della Provincia di centrodestra che ora si presenta giocoforza «libero dai partiti», rispetto alla candidata che la coalizione di quell’area, compatta da Forza Italia alla Lega a Fratelli d’Italia, gli ha preferito dopo qualche convulsione e una rilevazione della fidata sondaggista Alessandra Ghisleri a certificarne l’appeal. Cioè l’avvocatessa Patrizia Barbieri, che a cento metri da lì inaugura il suo infopoint allargando le braccia con un sospiro: «L’unico vero sondaggio si fa l’11 giugno al voto: quella di Trespidi è una mossa disperata. Il centrodestra non è con lui, è qui». Unito per cercare di strappare la città al centrosinistra dopo quindici anni di governo incontrastato.
Benvenuti a Piacenza, centomila abitanti, tasso di disoccupazione al 7,5 per cento, numero di immigrati residenti più che doppio della media nazionale con il 18 per cento, la seconda città d’Italia dopo Prato per numero di bimbi di origine straniera nelle scuole dell’obbligo. Qui, nella città di Pier Luigi Bersani, dopo la stagione di governo del compianto economista Giacomo Vaciago, ci fu una parentesi berlusconiana: poi, nel 2002, l’era Reggi, inteso come Roberto, sindaco con vittorie schiaccianti per due mandati, prima lettiano e poi renziano del primo minuto, oggi direttore dell’agenzia del demanio, ma ancora voce autorevole del Pd cittadino. Paolo Dosi, il sindaco uscente, era una sua creatura: quando per problemi di salute ha annunciato di non volersi ricandidare, tra i dem cittadini si sono aperte faide e rese dei conti. Bruciati due candidati possibili per i veti incrociati, la scelta è caduta sull’indipendente Paolo Rizzi, 54 anni, professore di politica economica dell’Università Cattolica cittadina, istituzione che molti in città considerano il vero potere forte locale. Consigliere comunale vent’anni fa, poi fuori dalle stanze dell’amministrazione, oggi prova a rientrarci, ma ai suoi patti: «Dobbiamo lasciare perdere le menate della politica», manda a dire ai partiti che lo sostengono, cioè il Pd. «Ho avuto garanzie di indipendenza», giura nel suo piccolo comitato elettorale, circondato dai gadget di campagna, berretti arancioni con la R del suo cognome e aeroplanini. E infatti dal Pd non si fa molto sponsorizzare: l’unico big a cui ha chiesto (e ottenuto) una visita di sostegno è il ministro dell’Interno Marco Minniti. «Renzi no, non verrà, anche perché non ci sono utili presenze particolari», si lascia andare. Secondo tutti in città è lui il favorito, «ma io non lo so, perché il voto è imperscrutabile e noi sondaggi non ne facciamo», assicura. A insidiarlo da sinistra la candidata sostenuta da Bersani, Sandra Ponzini, e il più temibile Luigi Rabuffi, ex assessore comunale.
All’inseguimento del gruppo di testa - Rizzi, Barbieri, Trespidi - c’è il M5S, che qui non ha mai brillato quanto in altre realtà dell’Emilia. Venti per cento alle politiche ma dieci alle amministrative e alle Regionali scorse, ci riprovano con un 46enne, Andrea Pugni, impegnato però ancora oggi, a due settimane dal voto, a contrastare il fuoco amico dei Meetup amici di Beppe Grillo che erano contrari alla sua candidatura: è di qualche giorno fa un comunicato che lo accusa di «ipocrisia politica» e - peccato mortale - di usare «i metodi classici della politica tradizionale». Dal suo ufficio di direttore di banca, lui alza le spalle e va avanti, «non me ne frega niente di queste beghe, io ho solo seguito le regole del Movimento», minimizza, mentre spera in una visita acchiappavoti di Luigi Di Maio ai primi di giugno.
Non arriverà al ballottaggio ma ha guadagnato divertite pagine di giornale - e molti lo danno oltre il 3 per cento necessario per entrare in consiglio comunale - il settimo candidato, Stefano Torre. Cappello a cilindro e fascia tricolore, declama con convinzione un programma a base di invasione delle vicine Cremona e Parma, viagra gratis per tutti e Cristiano Ronaldo nella squadra locale. «Mi sono rotto le scatole dei politici che promettono e non mantengono la parola», ha spiegato a corredo delle sue promesse mirabolanti e provocatorie. In pochissimi giorni ha trovato le firme per candidarsi, segno di un interesse in città: se vincesse lui il primo provvedimento sarebbe niente male, «un decreto per non morire e vivere tutti felici e contenti».