mercoledì 31 maggio 2017

internazionale 26.5.17   
Le opinioni
L’unica speranza è la sinistra
di Bhaskar Sunkara

Si può far parte di un movimento politico sovversivo senza neanche saperlo? Nei mesi scorsi ho scoperto che sono un esponente dell’alt-left, la sinistra alternativa. Opinionisti come James Wolcott di Vanity Fair hanno cercato di individuare i principali protagonisti di questo movimento: alcuni utenti di Twitter a caso, il giornalista Glenn Greenwald, l’attrice Susan Sarandon, la deputata delle Hawaii Tulsi Gabbard e il ilosofo Cornel West. Non è una cattiva compagnia, sinceramente. Secondo Wolcott noi della sinistra alternativa abbiamo in comune un debole per la Russia, una sorta di retorica “trumpiana” che si scaglia contro il liberalismo culturale e una sorprendente opposizione all’“apparato nazional-securitario rappresentato da Cia, Fbi e Nsa” di cui si fida così tanto. Gli opinionisti del New York Magazine sono un po’ più coerenti nella loro definizione di altleft. Per loro i portabandiera della sinistra alternativa sono Bernie Sanders, Jeremy Corbyn e Jean-Luc Mélenchon. Questa etichetta non ha senso. Negli Stati Uniti non c’è un partito laburista né tantomeno uno socialista. Esiste il Partito democratico e i democratici tradizionali non sono mai stati particolarmente interessati a fare parte della sinistra. Gli esuberanti reazionari da tastiera si sono schierati contro i conservatori di Washington e i tradizionalisti, definendosi alt-right. Prima di loro però esisteva una destra tradizionale. Noi, invece, rispetto a chi saremmo l’alternativa? L’etichetta di alt-left è solo un insulto, un modo di associare i più coerenti nemici dell’oppressione e dello sfruttamento a chi vuole distruggere quel poco che ci resta dei diritti civili e sociali. Ma definisce comunque uno stile preciso, una volontà di esprimersi contro il potere costituito, di rompere con la politica tradizionale in modo molto più netto di come ha fatto Donald Trump. In tempi di crescente autoritarismo, è normale che gli intellettuali di centrosinistra diffidino di alcune forme di populismo critico verso l’establishment: il crollo di un ordine ingiusto non significa per forza che sarà sostituito da qualcosa di meglio. Ma gli esponenti della cosiddetta sinistra alternativa non sono certo dei vendicativi troll di internet. Bernie Sanders, Jeremy Corbyn e Jean-Luc Mélenchon hanno un ampio consenso, costruito su programmi socialdemocratici a favore della tutela dei lavoratori, degli ammortizzatori sociali e di un’inclusività maggiore nelle decisioni che riguardano la vita delle persone comuni. Non si tratta di estremismo né di demagogia. È una politica che può convincere decine di milioni di cittadini che sono ormai disillusi e rischiano di cedere alle tentazioni della destra populista. Non è una politica cieca di fronte alla questione dell’identità: ci sono validi motivi per cui le minoranze in difficoltà sostengono l’aumento degli investimenti federali per il welfare e l’istruzione pubblica. Per conquistare gli elettori servono un’organizzazione e un ampio raggio d’azione, ma è un equivoco del centrosinistra pensare che i neri non s’interessino a quei lussi “da bianchi” come il lavoro, la copertura sanitaria e la casa. Piacere a tutti non è una cosa di cui dovremmo vergognarci, è l’obiettivo del nostro impegno politico. Nei paesi industrializzati i lavoratori sono stati messi da parte da decenni di globalizzazione orchestrata dalle grandi aziende. I loro stipendi non sono cresciuti e il loro lavoro è diventato sempre più precario. I socialisti propongono un rimedio chiaro a questo problema: una politica che non rifiuta la diversità e il progresso, ma che fa in modo che nessuno resti indietro. Le persone sono arrabbiate e la sinistra non può permettersi di non parlare a questa rabbia. Dobbiamo farlo tenendo a mente più di un secolo di lotta di classe usata per ottenere delle concessioni da élite che sarebbero felici di rottamare ampie fasce di popolazione. Eppure per alcuni opinionisti, che continuano a vivere la loro vita agiata nonostante la sofferenza di milioni di persone, noi saremmo uguali a quelli che vogliono incanalare il malcontento verso il razzismo e la xenofobia. È evidente che la sinistra moderata è a corto d’idee. Lungi dal proporre una soluzione, Wolcott non accenna neanche ai motivi che potrebbero aver spinto le persone a non andare a votare lo scorso novembre o (fatto meno probabile) a votare Donald Trump. Si limita a condannare le cattive abitudini dell’alt–left, la sua incapacità di riconoscere la grandezza di Meryl Streep o di capire che la Russia di Putin è il “vero impero del male”. Sono lamentele di una classe privilegiata, di una politica che non ha niente di concreto da offrire ai cittadini. Il vecchio sistema sta tramontando e il nuovo non nascerà dai discorsi pronunciati ai Golden globe. Anche se è inadeguata e ha contorni ancora vaghi, quella che riviste come il New York Magazine e Vanity Fair definiscono come la sinistra alternativa è semplicemente la sinistra. È evidente che siamo noi l’unica speranza della modernità e della democrazia.  BHASKAR SUNKARA è il direttore della rivista statunitense di sinistra Jacobin. Collabora con In These Times e The Nation. Questo articolo è uscito sul Guardian.