lunedì 29 maggio 2017

Il Sole Domenica 28.5.17
Critica della ragion fisica
Credere nell’inflazione cosmica?
Moda, fede e fantasia: Roger Penrose mostra con grande maestria i lati deboli di Big Bang e teoria delle stringhe
Vincenzo Barone

Sir Roger Penrose, illustre fisico matematico di Oxford, autore di importantissimi studi in campo cosmologico, è uno dei più acuti pensatori della scienza contemporanea, e il suo ultimo ponderoso saggio si presenta come un’opera di riflessione critica sullo stato e sulle tendenze della fisica fondamentale. Un libro non agevole – va detto subito – ma straordinariamente stimolante (e attento nel distinguere tra dati di fatto e proposte personali).
Il titolo originale, molto più significativo di quello italiano, è l’indice stesso del volume: Fashion, faith and fantasy in the new physics of the universe («Moda, fede e fantasia nella nuova fisica dell’universo»). E inevitabilmente ci si chiede: è davvero possibile che una disciplina rigorosa come la fisica, in cui dovrebbero contare solo il potere esplicativo delle teorie e il confronto delle loro predizioni con l’esperimento, sia terreno di mode, di fedi e di fantasie?
Chi conosca la storia e le pratiche della scienza, in realtà, non si sorprende: mode, fedi e fantasie fanno spesso parte del lavoro del fisico, ma a lungo andare i programmi di ricerca più fecondi e corroborati vincono, quelli sbagliati o improduttivi spariscono, i criteri oggettivi hanno la meglio su quelli soggettivi, le speculazioni lasciano il campo alle ipotesi solide. Affinché ciò si verifichi, però, è necessario che ci sia un costante e fruttuoso dialogo tra teoria ed esperimento, e che il fisico teorico possa lavorare su basi empiriche ricche. Il problema oggi è proprio questo: le teorie fondamentali – quelle che tentano di unificare le forze della natura e di quantizzare la gravità – si applicano ad ambiti dell’esperienza inaccessibili, non solo adesso ma anche in un prevedibile futuro, oppure, come nel caso della cosmologia, devono fare i conti con dati osservativi indiretti e non decisivi. Per di più, lo sfondo di tutte queste teorie, la meccanica quantistica, presenta ancora problemi fondazionali non del tutto risolti. Accade allora che mode, fedi e fantasie siano più persistenti del solito, in una misura che Penrose giudica patologica.
Il libro raccoglie, in forma aggiornata, le lezioni che Penrose tenne nel 2003 all’Università di Princeton, il “santuario” della teoria delle stringhe. È proprio questa teoria, per lo studioso britannico, il maggior esempio di fenomeno di moda nella fisica contemporanea. Il problema delle stringhe, agli occhi di Penrose, non è tanto la loro limitata capacità predittiva, o l’impossibilità di verifiche sperimentali, quanto l’ipotesi delle dimensioni addizionali dello spazio-tempo. L’idea di uno spazio-tempo allargato risale a Theodore Kaluza e Oskar Klein, i quali circa un secolo fa immaginarono di unificare la gravità e l’elettromagnetismo (le due forze note all’epoca) in uno spazio-tempo pentadimensionale, aggiungendo alle solite dimensioni una in più, arrotolata in un cerchio piccolissimo, che non percepiamo. La teoria delle stringhe fa qualcosa di simile – salvo il fatto che le dimensioni in più sono sei e organizzate in spazi matematici piuttosto complicati – ma, come nota Penrose, c’è una differenza sostanziale: mentre la quinta dimensione di Kaluza e Klein serviva solo a far posto alla forza elettromagnetica ed era vincolata da una simmetria, le sei dimensioni extra delle stringhe sono pienamente dinamiche e di conseguenza aprono «un vero e proprio vaso di Pandora di gradi di libertà indesiderati, con scarsissime speranze di tenerli mai sotto controllo».
Senza contare che la compattificazione dimensionale non è predetta dalla teoria, ma semplicemente imposta, mentre, come già osservava Richard Feynman, a decidere che le dieci dimensioni dello spazio-tempo si riducono precisamente a quattro (invece che a due o a cinque) dovrebbero essere le equazioni stesse, e non il nostro desiderio di dar conto di ciò che osserviamo. Ispirandosi ai suoi maestri – in particolare al grande Paul Dirac – Penrose ritiene che la matematica delle quattro dimensioni sia così ricca e peculiare da rendere impensabile che la natura non se ne sia servita direttamente (e la sua teoria dei twistori, un approccio alla gravità quantistica alternativo alle stringhe, in effetti la sfrutta in pieno).
«Vai avanti e la fede ti verrà», consigliava nel Settecento Jean d’Alembert a un giovane studente che gli aveva confessato le proprie perplessità riguardo ai fondamenti ancora incerti del calcolo infinitesimale. Nella fisica d’oggi, la fede, secondo Penrose, è quella riposta nel formalismo della meccanica quantistica, teoria di enorme efficacia predittiva e ricchissima di conferme, ma fondata su postulati che il fisico matematico inglese giudica ancora non definitivi. I problemi interpretativi e concettuali della meccanica quantistica emergono quando si cerca di mettere in relazione il livello classico e il livello quantistico della descrizione fisica del mondo (come nell’esperimento concettuale del gatto di Schrödinger), e sono legati al fatto che la teoria prevede due dinamiche molto diverse tra loro: l’evoluzione temporale delle funzioni d’onda, retta da una legge deterministica (l’equazione di Schrödinger), e la dinamica della misura quantistica, in cui la funzione d’onda iniziale del sistema collassa istantaneamente e indeterministicamente in un’altra funzione d’onda.
Penrose crede che la meccanica quantistica così come la conosciamo oggi sia un’approssimazione di una teoria più profonda, non lineare, in cui la gravità svolgerebbe un ruolo determinante, come responsabile del collasso della funzione d’onda. È un’idea suggestiva, ma sostenuta solo da considerazioni generiche e per di più molto difficile da sottoporre a controllo: è probabile che alla fine i rompicapo quantistici troveranno soluzione senza dover invocare nuove leggi di natura.
Infine, le fantasie. Non stupisce che queste si annidino in cosmologia: è sempre stato così e non potrebbe essere diversamente. La fantasia per eccellenza è, a giudizio di Penrose, l’inflazione, quella brevissima fase di espansione esponenziale del cosmo che, secondo la teoria cosmologica standard, sarebbe avvenuta una frazione di secondo dopo il Big Bang e avrebbe dilatato di venticinque ordini di grandezza l’universo, rendendolo omogeneo e piatto. Ci sono diversi modelli al riguardo, e i dettagli del meccanismo non sono del tutto chiari, ma i dati riguardanti la radiazione cosmica di fondo sembrerebbero avvalorare tale scenario.
Non tutti, però, ne sono convinti. La critica di Penrose all’inflazione si basa soprattutto su un’analisi dell’entropia dell’universo dal Big Bang a oggi, alla luce della seconda legge della termodinamica. Più drastica è la posizione di un altro insigne cosmologo, Paul Steinhardt (tra gli iniziatori della teoria inflazionaria), che, in un recente articolo su «Scientific American» (tradotto su «Le Scienze», n. 584, aprile 2017), oltre a evidenziare i difetti empirici dei modelli di inflazione, ha sottolineato il loro sempre più debole status epistemologico, dovuto a un’eccessiva flessibilità, che li rende poco esplicativi e tendenzialmente inconfutabili. Quanto alle controproposte, Penrose e Steinhardt sono del parere che le attuali osservazioni possano essere interpretate in maniera più soddisfacente nell’ambito di una teoria del rimbalzo, che preveda una successione ciclica di collassi ed esplosioni dell’universo.
Sosteneva Albert Einstein che il fisico non deve lasciare ad altri la considerazione critica dei fondamenti teorici, perché è lui «che sa meglio e sente più nettamente dov’è che la scarpa fa male». Penrose sembra aver fatto propria questa osservazione e si impegna a mostrarci dove secondo lui la scarpa fa male. Le sue riflessioni cadono in un momento in cui la fisica fondamentale attraversa una fase di stallo, in attesa di qualche nuova idea risolutiva o magari di una piccola crepa nell’edificio attuale che faccia intravedere che cosa c’è oltre. Non molti colleghi condividono le diagnosi e soprattutto le terapie dello scienziato inglese, ma vale più che mai in questo caso l’insegnamento di John Stuart Mill: «Le nostre convinzioni più giustificate non riposano su altra salvaguardia che un invito permanente a tutto il mondo a dimostrarle infondate».
Roger Penrose, Numeri, teoremi & minotauri. Perché la nuova scienza non è affatto scientifica , trad. di C. Capararo, D. Didero, S. Galli, Rizzoli, Milano, pagg.672, € 28