Il Sole Domenica 28.5.17
Critica della ragion fisica
Credere nell’inflazione cosmica?
Moda, fede e fantasia: Roger Penrose mostra con grande maestria i lati deboli di Big Bang e teoria delle stringhe
Vincenzo Barone
Sir
Roger Penrose, illustre fisico matematico di Oxford, autore di
importantissimi studi in campo cosmologico, è uno dei più acuti
pensatori della scienza contemporanea, e il suo ultimo ponderoso saggio
si presenta come un’opera di riflessione critica sullo stato e sulle
tendenze della fisica fondamentale. Un libro non agevole – va detto
subito – ma straordinariamente stimolante (e attento nel distinguere tra
dati di fatto e proposte personali).
Il titolo originale, molto
più significativo di quello italiano, è l’indice stesso del volume:
Fashion, faith and fantasy in the new physics of the universe («Moda,
fede e fantasia nella nuova fisica dell’universo»). E inevitabilmente ci
si chiede: è davvero possibile che una disciplina rigorosa come la
fisica, in cui dovrebbero contare solo il potere esplicativo delle
teorie e il confronto delle loro predizioni con l’esperimento, sia
terreno di mode, di fedi e di fantasie?
Chi conosca la storia e le
pratiche della scienza, in realtà, non si sorprende: mode, fedi e
fantasie fanno spesso parte del lavoro del fisico, ma a lungo andare i
programmi di ricerca più fecondi e corroborati vincono, quelli sbagliati
o improduttivi spariscono, i criteri oggettivi hanno la meglio su
quelli soggettivi, le speculazioni lasciano il campo alle ipotesi
solide. Affinché ciò si verifichi, però, è necessario che ci sia un
costante e fruttuoso dialogo tra teoria ed esperimento, e che il fisico
teorico possa lavorare su basi empiriche ricche. Il problema oggi è
proprio questo: le teorie fondamentali – quelle che tentano di unificare
le forze della natura e di quantizzare la gravità – si applicano ad
ambiti dell’esperienza inaccessibili, non solo adesso ma anche in un
prevedibile futuro, oppure, come nel caso della cosmologia, devono fare i
conti con dati osservativi indiretti e non decisivi. Per di più, lo
sfondo di tutte queste teorie, la meccanica quantistica, presenta ancora
problemi fondazionali non del tutto risolti. Accade allora che mode,
fedi e fantasie siano più persistenti del solito, in una misura che
Penrose giudica patologica.
Il libro raccoglie, in forma
aggiornata, le lezioni che Penrose tenne nel 2003 all’Università di
Princeton, il “santuario” della teoria delle stringhe. È proprio questa
teoria, per lo studioso britannico, il maggior esempio di fenomeno di
moda nella fisica contemporanea. Il problema delle stringhe, agli occhi
di Penrose, non è tanto la loro limitata capacità predittiva, o
l’impossibilità di verifiche sperimentali, quanto l’ipotesi delle
dimensioni addizionali dello spazio-tempo. L’idea di uno spazio-tempo
allargato risale a Theodore Kaluza e Oskar Klein, i quali circa un
secolo fa immaginarono di unificare la gravità e l’elettromagnetismo (le
due forze note all’epoca) in uno spazio-tempo pentadimensionale,
aggiungendo alle solite dimensioni una in più, arrotolata in un cerchio
piccolissimo, che non percepiamo. La teoria delle stringhe fa qualcosa
di simile – salvo il fatto che le dimensioni in più sono sei e
organizzate in spazi matematici piuttosto complicati – ma, come nota
Penrose, c’è una differenza sostanziale: mentre la quinta dimensione di
Kaluza e Klein serviva solo a far posto alla forza elettromagnetica ed
era vincolata da una simmetria, le sei dimensioni extra delle stringhe
sono pienamente dinamiche e di conseguenza aprono «un vero e proprio
vaso di Pandora di gradi di libertà indesiderati, con scarsissime
speranze di tenerli mai sotto controllo».
Senza contare che la
compattificazione dimensionale non è predetta dalla teoria, ma
semplicemente imposta, mentre, come già osservava Richard Feynman, a
decidere che le dieci dimensioni dello spazio-tempo si riducono
precisamente a quattro (invece che a due o a cinque) dovrebbero essere
le equazioni stesse, e non il nostro desiderio di dar conto di ciò che
osserviamo. Ispirandosi ai suoi maestri – in particolare al grande Paul
Dirac – Penrose ritiene che la matematica delle quattro dimensioni sia
così ricca e peculiare da rendere impensabile che la natura non se ne
sia servita direttamente (e la sua teoria dei twistori, un approccio
alla gravità quantistica alternativo alle stringhe, in effetti la
sfrutta in pieno).
«Vai avanti e la fede ti verrà», consigliava
nel Settecento Jean d’Alembert a un giovane studente che gli aveva
confessato le proprie perplessità riguardo ai fondamenti ancora incerti
del calcolo infinitesimale. Nella fisica d’oggi, la fede, secondo
Penrose, è quella riposta nel formalismo della meccanica quantistica,
teoria di enorme efficacia predittiva e ricchissima di conferme, ma
fondata su postulati che il fisico matematico inglese giudica ancora non
definitivi. I problemi interpretativi e concettuali della meccanica
quantistica emergono quando si cerca di mettere in relazione il livello
classico e il livello quantistico della descrizione fisica del mondo
(come nell’esperimento concettuale del gatto di Schrödinger), e sono
legati al fatto che la teoria prevede due dinamiche molto diverse tra
loro: l’evoluzione temporale delle funzioni d’onda, retta da una legge
deterministica (l’equazione di Schrödinger), e la dinamica della misura
quantistica, in cui la funzione d’onda iniziale del sistema collassa
istantaneamente e indeterministicamente in un’altra funzione d’onda.
Penrose
crede che la meccanica quantistica così come la conosciamo oggi sia
un’approssimazione di una teoria più profonda, non lineare, in cui la
gravità svolgerebbe un ruolo determinante, come responsabile del
collasso della funzione d’onda. È un’idea suggestiva, ma sostenuta solo
da considerazioni generiche e per di più molto difficile da sottoporre a
controllo: è probabile che alla fine i rompicapo quantistici troveranno
soluzione senza dover invocare nuove leggi di natura.
Infine, le
fantasie. Non stupisce che queste si annidino in cosmologia: è sempre
stato così e non potrebbe essere diversamente. La fantasia per
eccellenza è, a giudizio di Penrose, l’inflazione, quella brevissima
fase di espansione esponenziale del cosmo che, secondo la teoria
cosmologica standard, sarebbe avvenuta una frazione di secondo dopo il
Big Bang e avrebbe dilatato di venticinque ordini di grandezza
l’universo, rendendolo omogeneo e piatto. Ci sono diversi modelli al
riguardo, e i dettagli del meccanismo non sono del tutto chiari, ma i
dati riguardanti la radiazione cosmica di fondo sembrerebbero avvalorare
tale scenario.
Non tutti, però, ne sono convinti. La critica di
Penrose all’inflazione si basa soprattutto su un’analisi dell’entropia
dell’universo dal Big Bang a oggi, alla luce della seconda legge della
termodinamica. Più drastica è la posizione di un altro insigne
cosmologo, Paul Steinhardt (tra gli iniziatori della teoria
inflazionaria), che, in un recente articolo su «Scientific American»
(tradotto su «Le Scienze», n. 584, aprile 2017), oltre a evidenziare i
difetti empirici dei modelli di inflazione, ha sottolineato il loro
sempre più debole status epistemologico, dovuto a un’eccessiva
flessibilità, che li rende poco esplicativi e tendenzialmente
inconfutabili. Quanto alle controproposte, Penrose e Steinhardt sono del
parere che le attuali osservazioni possano essere interpretate in
maniera più soddisfacente nell’ambito di una teoria del rimbalzo, che
preveda una successione ciclica di collassi ed esplosioni dell’universo.
Sosteneva
Albert Einstein che il fisico non deve lasciare ad altri la
considerazione critica dei fondamenti teorici, perché è lui «che sa
meglio e sente più nettamente dov’è che la scarpa fa male». Penrose
sembra aver fatto propria questa osservazione e si impegna a mostrarci
dove secondo lui la scarpa fa male. Le sue riflessioni cadono in un
momento in cui la fisica fondamentale attraversa una fase di stallo, in
attesa di qualche nuova idea risolutiva o magari di una piccola crepa
nell’edificio attuale che faccia intravedere che cosa c’è oltre. Non
molti colleghi condividono le diagnosi e soprattutto le terapie dello
scienziato inglese, ma vale più che mai in questo caso l’insegnamento di
John Stuart Mill: «Le nostre convinzioni più giustificate non riposano
su altra salvaguardia che un invito permanente a tutto il mondo a
dimostrarle infondate».
Roger Penrose, Numeri, teoremi &
minotauri. Perché la nuova scienza non è affatto scientifica , trad. di
C. Capararo, D. Didero, S. Galli, Rizzoli, Milano, pagg.672, € 28