Repubblica 9.12.16
Così Donald scatena Twitter contro un sindacalista
di Vittorio Zucconi
NELL’UNIVERSO
 elettoralmente vittorioso e mentalmente sospetto del suo ego insieme 
ipertrofico e infantile, il futuro presidente della massima potenza 
nucleare bombarda di tweet un sindacalista metalmeccanico che osa dargli
 del bugiardo e scatena contro di lui gli squadristi dell’ultra destra. 
In un duello allucinato e inedito fra un capo dello Stato e un operaio, 
fra Donald Trump e Chuck Jones, segretario della sezione del sindacato 
metalmeccanici di Indianapolis, riaffiorano tutti i dubbi sulla 
“stabilità mentale” del presidente eletto sollevati durante la campagna 
elettorale e sul sottobosco di violenza ultrà che la sua vittoria, i 
suoi scherani come l’assistente Steve Bannon e il suo comportamento 
legittimano e sdoganano.
Jones, operaio e sindacalista da 
trent’anni, aveva commesso il reato di “lesa vanità” contestando il 
numero di posti che Trump si era vantato di avere salvato nella fabbrica
 di condizionatori Carrier in Indiana, bloccando le delocalizzazione in 
Messico, grande promessa elettorale del Repubblicano. «Trump ha mentito 
con il sedere», aveva scritto il rude meccanico, obbiettando che 
comunque 500 posti di lavoro sarebbero andati perduti su 1.800 e che la 
Carrier sarebbe rimasta in parte soltanto grazie a sovvenzioni e regalie
 pagate dai contribuenti e che un altro stabilimento della stessa 
azienda sarebbe emigrato oltre frontiera.
«Se Jones e il sindacato
 fossero migliori, le fabbriche non scapperebbero! Passa più tempo a 
lavorare e meno a chiacchierare! Riduci il costo dell’iscrizione al 
sindacato!», l’aveva fulminato a raffiche di esclamativi l’inquieto 
“prence” dei tweet alle 1.41 e poi alle 2.56 del mattino dalla propria 
torre dorata dove smanetta compulsivamente sull’iPhone e l’irriverente 
operaio si è visto subito dopo investito da minacce di morte lanciate 
dagli squadristi di tweet moralmente autorizzati dal loro campione. 
Classici del terrorismo bullista come «Sappiamo dove vivi», «Abbiamo 
identificato la tua auto», «Conosciamo i tuoi figli», «Verremo a 
prenderti» che il sindacalista ha accolto con nervosa filosofia dopo una
 notte, involontariamente, in bianco, ricordando che proprio il vice di 
Trump, Mike Pence, lo aveva incontrato e sostenuto in campagna 
elettorale. Ma il messaggio è arrivato: chi oserà dubitare del Sire 
dalla coda e dalla chioma di paglia dovrà d’ora in poi vedersela con le 
mute dei suoi ringhianti cani da guardia, svitati e spesso armati, che i
 consiglieri aizzano e rappresentano. Non sempre limitandosi ad 
abbaiare.