giovedì 21 ottobre 2010

l’Unità 21.10.10
Ior, quei conti sospetti usati da «Maria Rossi» e don Bancomat
Il Riesame conferma il sequestro dei 23 milioni depositati al Credito Artigiano. Il Vaticano: sorpresi
Per i pm c’è stata omissione delle norme antiriciclaggio. E si usa un nome falso per le operazioni...
Sotto la lente. 143 milioni di euro movimentati senza causale nell’ultimo anno
Uno dei conti sospetti è intestato al famoso don Evaldo Biasini, soprannominato dai giornali “padre Bancomat” perché in una cassaforte segreta custodiva il “tesoretto” di Diego Anemone.
di Angela Camuso

Un conto Ior aperto in Intesa San Paolo e intestato al famoso don Evaldo Biasini, economo della Congrega del Preziosissimo Sangue, soprannominato dai giornali “padre Bancomat” perché in una cassaforte segreta custodiva il “tesoretto” di Diego Anemone, l’imprenditore al centro dell’inchiesta sugli appalti truccati della Protezione Civile. Più un altro deposito, presso l’Unicredit di via della Conciliazione a Roma, di cui risulta titolare un anziano reverendo e da cui nel 2009 hanno prelevato assegni, provenienti da fondi localizzati a San Marino, un avvocato di Roma che non esercita la professione e viene definito dagli investigatori, piuttosto, un “faccendiere”, e una donna misteriosa. Una donna che è stata presentata ai vertici dell’istituto di credito dallo stesso prelato titolare del conto, con un nome falso, “Maria Rossi”, nonché come la madre dell’intraprendente avvocato, quando in realtà la signora con quest’ultimo non è legata da alcun vincolo di parentela. Sono queste alcune delle operazioni definite “sospette” dagli investigatori del nucleo di polizia valutaria della Guardia di Finanza di Roma, che su delega del procuratore aggiunto Nello Rossi e del pm Rocco Fava stanno monitorando le movimentazioni effettuate sui conti correnti aperti dalla banca della Santa Sede presso le agenzie delle più importanti banche italiane: movimentazioni sulle quali, com’è noto, secondo la procura lo Ior avrebbe omesso di applicare le norme antiriciclaggio previste dalle disposizioni in materia emanate dalla Ue nel 2007, tant’è che per violazione di quella legge sono stati indagati il presidente della banca vaticana, Ettore Gotti Tedeschi ed il direttore generale Paolo Cipriani.
In merito alla stessa inchiesta, proprio ieri è stato reso noto che il tribunale del Riesame ha confermato il sequestro disposto dal gip in via preventiva dei 23 milioni di euro dello Ior depositati su un conto del Credito Artigiano Spa, 20 dei quali destinati all'istituto di credito tedesco J.P. Morgan Frankfurt e i restanti tre milioni alla Banca del Fucino. E dell’esistenza delle operazioni sospette sul conto Unicredit del reverendo e riconducibili al faccendiere e alla sedicente Maria Rossi, nonché di quelle effettuate da “padre Bancomat”, hanno scritto, non a caso, i magistrati Rossi e Fava nella memoria presentata al tribunale del Riesame per motivare l’esigenza del mega-sequestro. «Queste operazioni sospette dimostrano che gli omessi controlli da parte dello Ior non sono affatto una questione pro-forma, come afferma la Santa Sede”, dichiarano in sintesi dalla procura, evidenziando, in particolare, l’entità delle movimentazioni di denaro finite nel mirino degli investigatori. Sul conto del reverendo, ad esempio, l’avvocato-faccendiere risulta avere incassato, in un’unica tranche, assegni per 300mila euro, mentre la sedicente Maria Rossi circa 50mila euro. E se invece il chiacchierato don Biasini ha incassato sul suo conto in Intesa San Paolo somme definite dalla procura poco ingenti, c’è da considerare che presso la medesima agenzia (sempre con sede a Roma, nei pressi della Santa Sede) la stessa banca vaticana, con i suoi conti, risulta aver movimentato, senza specificare causale alcuna, ben 143 milioni di euro nel solo ultimo anno solare. Di queste transazioni, proprio perché la causale è rimasta generica, soltanto una ovvero un prelevamento in contanti di 600mila euro, senza indicazione del beneficiario, indicato soltanto come correntista Ior è per ora finita all’attenzione della Banca d’Italia attraverso il sistema di segnalazione automatico delle operazioni sospette da parte della Uif (Unità Informazioni Finanziarie). Questo probabilmente perché, è il parere degli investigatori, c’è stata una svista da parte di qualche funzionario, il quale, a differenza della prassi, ha indicato il tipo di operazione di cui si trattava. Per questi motivi, l’indagine è destinata ad allargarsi: la Guardia di Finanza si appresta a scandagliare una valanga di giro-conti Ior su Ior senza indicazione degli effettivi beneficiari.
«I responsabili dello Ior ritengono di poter chiarire tutta la questione al più presto nelle sedi competenti», ha affermato il direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi, dopo avere espresso “stupore” per la conferma del sequestro.

il Fatto 21.10.10
Nei forzieri dello Ior i conti della “cricca”
Nelle carte dell’inchiesta spunta il nome di don Evaldo Biasini, il “Don Bakomat di Anemone
di Rita Di Giovacchino

Dalle carte    dell’accusa sul presunto riciclaggio di denaro allo Ior, spunta il nome di Evaldo Biasini, il famoso “padre bancomat”, presidente dell’ente missionario Congregazione del Preziosissimo Sangue, cui ricorreva il costruttore Diego Anemone quando aveva bisogno urgente di contanti (ed era meglio che non risultassero prelevati dal suo conto in banca). Non ci sono soltanto i 23 mln di euro prelevati dal conto del Credito Artigiano, nell’ottobre scorso (nonostante fosse già stato bloccato dall’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia) a dimostrare il disinvolto “modus operandi” dell’Istituto per le opere di Religione, o Banca vaticana, come viene definito. Per vincere il primo round di fronte al Tribunale del Riesame contro il ricorso, presentato dal presidente dell’istituto Ettore Gotti Tedeschi e dal direttore generale Paolo Cipriani (entrambi indagati per violazione della normativa antiriciclaggio della Ue, divenuta legge nel 2007) è bastata ai pm Nello Rossi e Stefano Rocco Fava una memoria in cui sono descritte in modo dettagliato tre operazioni sospette della “valanga” già accertata. La valutazione è di investigatore.
C’È, ad esempio, un’operazione del novembre del 2009, che fa riferimento ad assegni per 300 mila euro, negoziati su un conto Ior presso la filiale di Unicredit in via della Conciliazione, da tal Maria Rossi indicata dalla banca come la mamma di un anziano reverendo, titolare del conto medesimo. Peccato che la signora, per motivi anagrafici, non potesse essere la madre del prelato. Infatti le indagini hanno poi dimostrato che la donna usava un nome di fantasia e che i fondi provenivano da una una banca di San Marino. Il vero destinatario era un noto faccendiere, utilizzatore finale di ingenti somme che gli pervenivano presso lo stesso istituto.
LA SECONDA operazione riguarda invece un prelievo di 600 mila euro presso una sede di Intesa San Paolo, sempre nei pressi del Vaticano. Una somma non astronomica, comunque sostanziosa, di cui lo Ior non indicava la precisa destinazione fatto salvo un vago riferimento a missioni religiose. Non c’è da stupirsi perché sullo stesso conto, hanno poi scoperto gli investigatori, sono transitati con analoghe modalità nel solo 2009 ben 140 milioni di euro in contanti.
PER TORNARE a Don Evaldo Biasini, personaggio ormai noto dopo lo scandalo che ha travolto la Protezione civile, va ricordato che veniva indicato nell’inchiesta della procura di Perugia sui Grandi Eventi: come custode dei “fondi neri” del costruttore Diego Anemone. Anche se in questa vicenda non sembra coinvolto in operazioni sospette. Ma il fatto che sia stato citato è sospetto. Quasi un segnale ai giudici del Riesame, su cosa può emergere dal monitoraggio a tappeto che la Procura di Roma ha già disposto su tutti gli istituti bancari per rintracciare conti Ior e ricostruire tutti i movimenti finanziari che fanno capo alla Banca vaticana. Molti personaggi coinvolti nello scandalo, a partire da Angelo Balducci, disponevano di un conto presso la Banca vaticana o comunque di un corridoio privilegiato per operazioni finanziarie.
PADRE FEDERICO Lombardi, il portavoce della Santa Sede, ha manifestato grande stupore per la decisione presa dal tribunale del Riesame, che ieri nel respingere il ricorso di Gotti Tedeschi e Cipriani, ha confermato il sequestro cautelativo dei 23 milioni di euro sul conto del Credito Artigiano. “Certamente si tratta di un problema interpretativo informale”, ha spiegato padre Lombardi. Una linea di difesa ribadita anche in una nota ufficiale della Santa Sede. Insomma lo Ior non intende recedere da quanto ha sempre affermato: “Nessuna irregolarità, è soltanto un equivoco, chiariremo tutto”. Ma come abbiamo visto le cose non stanno così. E la decisione del collegio, composto dai giudici Claudio Carini, Giovanna Schipani e Alessandra Boffo, sembra preoccupare il presidente Gotti Tedeschi che al momento si trincera con un secco “no comment”.
Anche se, qualche ora dopo, parlando con i giornalisti, lancia un laconico messaggio: “Mi sento un po' depresso”.


l’Unità 21.10.10
Bersani: «Sul Lodo Alfano le barricate, poi il referendum»
di Maria Zegarelli

Il segretario del Pd va al Quirinale «Ci atterremo a quello che indica la Costituzione»
La straetgia a breve. «Fare le barricate vuol dire opporci con tutte le nostre forze in Aula»
Anche Di Pietro d’accordo sul ricorso al popolo. I percorsi per arrivare alla mobilitazione

Bersani sul Lodo Alfano: «Ostruzionismo in parlamento e poi il referendum. Legge inaccettabile». In un incontro con Napolitano assicura: «Seguiremo la via maestra indicata nella Costituzione».

Il Lodo Alfano retroattivo «è una legge inaccettabile e fare le barricate vuol dire che noi ci opporremo con tutte le forze che abbiamo in Parlamento e poi andremo al referendum perché noi non siamo disposti a risolvere i problemi di Silvio Berlusconi». Pier Lugi Bersani ieri ha annunciato che il partito democratico sosterrà il referendum sullo scudo per il premier se dal parlamento la legge costituzionale non uscirà con il quorum previsto dalla Costituzione, spiegando anche quel termine «barricate» che aveva suscitato qualche perplessità. Ostruzionismo in Parlamento, unica possibilità per l’opposizione di mettere i bastoni fra le ruote a quella che è evidentemente una delle priorità del governo e del Presidente del Consiglio.
L’INCONTRO AL COLLE
Bersani ne ha parlato anche con il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, durante un incontro al Colle avvenuto poco prima di pranzo e andato avanti per circa mezz’ora. Un colloquio a due, voluto dal segretario Pd, dunque non soltanto uno dei normali incontri che il Capo dello Stato ha abitualmente con leader politici o i rappresentanti delle istituzioni, quanto piuttosto la volontà del Pd di illustrare a Napolitano la propria «strategia d'autunno». Si è parlato ampiamente dell’agenda politica dei democratici per il paese dei democratici, in vista della sessione di Bilancio, a partire anche dalle proposte su Fisco e lavoro deliberate nell’ultima Assemblea nazionale a Varese. Napolitano ha raccomandato «la necessaria attenzione per rilanciare i temi del lavoro», ma è stato inevitabile soffermarsi anche sulla giustizia e il Lodo Alfano: il segretario ha ribadito il suo impegno ad attenersi «alla via maestra indicata nell’articolo 138 della Costituzione», laddove si prevede la possibilità di ricorrere al referendum e dunque ad una mobilitazione dei partiti fuori dal Parlamento. Il percorso tracciato dalla Carta costituzionale è chiaro: «le leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali». E dentro questo solco intende muoversi il Pd: «Fare le barricate vuol dire dare battaglia in Parlamento, fare ostruzionismo ma essere pronti subito dopo a mobilitarci per il referendum», ha ripetuto ai suoi il segretario aggiungendo che il Pd «è pronto a spostare questa battaglia nella società civile perché questa è una legge che riguarda una sola persona e non il Presidente del Consiglio in generale». Parlando a SkyTg 24 ha aggiunto che se «non fosse retroattiva non se ne vedrebbe il significato e la retroattività disvela l’intenzione, che non è quella di imbarcarsi in una astrattissima norma costituzionale: vogliono risolvere il problema di Berlusconi e noi non siamo disposti a fare leggi costituzionali per risolvere i suoi problemi».
L’IDV E L’UDC
Anche Antonio Di Pietro l’altro giorno ha evocato il referendum e ha cercato di chiamare in causa il Colle. È possibile che Bersani, ieri, annunciando di sostenere il referendum abbia voluto togliere la carta in mano all’Idv e in questo modo tutelare il Capo dello Stato. Il Quirinale, d’altro canto, sia la scorsa estate, sia l’altro ieri, con una nota ufficiale ha ribadito di essere del tutto estraneo all'elaborazione di leggi e soluzioni di scudi giudiziari per le alte cariche.Bersani mette anche nel conto che su questo fronte le posizioni dell’Udc sono altre: Casini ha annunciato l’astensione in parlamento e difficilmente sosterrà la consultazione popolare. Sull’altro fronte anche Fini qualche problema ce l’ha: la base di Fli non ha gradito il voto al Lodo Alfano.


l’Unità 21.10.10
Ilaria Cucchi denuncia
«Veniamo trattati come fossimo imputati»
Ad un anno dalla morte di Stefano: «Al processo pm e difesa sono ostili con noi. Oggi sento che questa giustizia non è per tutti»
intervista di Tullia Fabiani

Ècome se fossimo noi gli imputati. Io e i miei genitori, i colpevoli. L’atmosfera che abbiamo percepito in Aula è ostile, come se accusa e difesa fossero coalizzate contro di noi. Forse ci si dimentica che io e i miei genitori stiamo lì perché è morto mio fratello. O forse siamo quelli che stanno dando fastidio solo perché chiediamo, senza tregua, che venga riconosciuta la verità». Ilaria Cucchi è molto amareggiata: due giorni fa è stata scortata dai carabinieri fuori dal tribunale. Era in corso l’udienza del processo che vede imputate 13 persone tra agenti di polizia penitenziaria e medici dell’ospedale romano Sandro Pertini, dove suo fratello Stefano è morto un anno fa, il 22 ottobre, dopo una settimana di agonia. «Mi hanno detto che dovevo uscire dal tribunale per motivi di ordine pubblico e mai avrei immaginato di creare un simile problema. Mi sento umiliata e molto triste, anche perché dover sentire certe cose...» Quali cose?
«Ho sentito dire da uno dei legali della difesa: “Adesso oltre il libro faranno anche il film”. Ecco, questo è l’atteggiamento nei nostri confronti, come se nel raccontare quanto accaduto a mio fratello avessimo chissà quale secondo fine. Come posso sentirmi di fronte a certe affermazioni? È una grande mortificazione; ripeto, la sensazione è di essere gli imputati».
E dipende dal fatto che va in tv, rilascia interviste, scrive libri su quanto accaduto? «Si, anche. Penso che certi atteggiamenti, come l’allontanamento dal tribunale, dipendano dai miei interventi. Evidentemente non vorrebbero tutta questa attenzione mediatica».
Chi non la vorrebbe?
«I soggetti coinvolti: accusa e difesa. Però se i pm si sentono sotto pressione possono sempre farsi sostituire».
La procura ha chiesto comunque che dalla prossima udienza siano ammessi in aula stampa e tv. «Sì. Ci sarà un’udienza martedì 26 e vedremo cosa decide il gup. Per me non c’è alcun problema, anzi. È importante che i giornalisti possano seguire ciò che avviene in aula, vedere come procede l’udienza e qual è il rapporto tra le parti. Che ci sia o meno la stampa la mia impressione sull’atmosfera che respiriamo quando siamo lì non cambia». Ce l’ha con loro perché è stata respinta la vostra richiesta di una super perizia su Stefano?
«No, non è questo. So bene che ci sono motivazioni precise e che è stata rigettata non perché infondata, ma perché, come ha spiegato il nostro avvocato, è inammissibile in questa fase processuale. La questione è un’altra: l’episodio dell’altro giorno, venire allontanati dal tribunale, vietare a mia madre di andare sul piazzale per fumare una sigaretta e dare così tanto fastidio al pm da costringerlo a lamentarsene davanti al giudice. E poi subire ad esempio dichiarazioni da parte del pm che dice ai miei avvocati “Non santifichiamo questa famiglia”. Che significa? Che non siamo dei santi e allora non possiamo chiedere giustizia per la morte di mio fratello? È assurdo. Ed è la dimostrazione che la battaglia che stiamo portando avanti è una battaglia ímpari».
Perché ímpari?
«Oggi sento che questa giustizia non è per tutti. Sento una forte ostilità e un’ostinazione nel voler continuare a negare la realtà. Ma come si fa a continuare a parlare di lesioni lievi quando queste “lesioni lievi” hanno causato la morte di Stefano?.
La verità ci è dovuta e io la pretendo». Domani, 22 ottobre, sarà un anno dalla morte di suo fratello. Come passerete questa giornata e cosa vi aspettate dopo?
«Per i giorni che verranno vorrei solo che si mettesse finalmente fine all’ipocrisia. E che cominci un’altra storia. È stato un anno tremendo, ci siamo trovati a combattere una battaglia al di sopra delle nostre capacità e delle nostre forze, con la disperazione di non avere risposte. Abbiamo passato giornate drammatiche e solo oggi, dopo un anno, sembra che stiamo cominciando a realizzare l’assenza di Stefano. Domani ci sarà una messa nella nostra parrocchia, alle 15.30 a Santa Giulia Billiart, al Casilino. Poi seguirà un incontro, uno spettacolo teatrale, e la presentazione del libro “Vorrei dirti che non eri solo”. Perché al di là delle allusioni e delle mortificazioni per me anche un libro è un mezzo buono per denunciare l’uccisione di mio fratello e per continuare a chiedere ancora, un anno dopo, verità e giustizia».


l’Unità 21.10.10
Psicopatologia della famiglia
risponde Luigi Cancrini

Non credo che questo sia l’epilogo della triste storia di Sarah, storia dove c’è tanta ignoranza, disagiatezza e soprattutto troppo poco rispetto per la vita e per le donne, addirittura alla famiglia. Io sono ignorante e non so se esiste una patologia per questi comportamenti, so solo che procurare dolore in questo modo è abominevole. Rudi Toselli
RISPOSTA    Nella seconda metà degli anni ’50 i professionisti della salute mentale cominciarono a verificare il modo in cui la follia dell’individuo fa corpo con quella della loro famiglia. Nel caso delle schizofrenie, in cui lo smarrimento del paziente designato va collegato alla storia, dotata di senso, di una sofferenza almeno trigenerazionale e in quello dei disturbi gravi della personalità dove l’infelicità determinata dai comportamenti assurdi della persona si rispecchia in quello che questa ha vissuto nel corso della sua infanzia. Famiglie dolorosamente raccolte intorno a segreti o a miti famigliari molto più forti della volontà e delle aspirazioni individuali sono all’ordine del giorno nei centri di terapia famigliare e certo di un lavoro terapeutico con la famiglia ci sarebbe stato bisogno in casa Misseri tanti anni fa per prevenire i drammi che di una sofferenza antica sono oggi, probabilmente, il risultato. Così è per il cancro, malattia curabile all’inizio e mostro inarrestabile più tardi e così è per i bambini infelici che devono essere curati oggi per prevenire lo sviluppo degli orchi e dei mostri di domani.


il Fatto 21.10.10
Uomo a punti: pro e contro

Touadi scrive a Colombo: “Le idee del Pd sono nel solco dei laburisti europei”. Il nostro editorialista risponde: “L’ipotesi di una valutazione per gli stranieri è una svolta brusca che non mi trova d’accordo”

Caro direttore, in un’Assemblea che si chiama programmatica, non deve stupire che un partito, il Pd, che aspira a governare questo paese possa mettere in campo idee, proposte e percorsi concreti per affrontare i problemi della nazione. Certo con valori e principi “non negoziabili” (democrazia, diritti umani, solidarietà) ma con soluzioni praticabili, che declinano efficacemente i valori e i principi. Colpisce davvero la furia di Furio che si è riversata sulla proposta con – en passant – una gratuita cattiveria su Veltroni in Africa. Si ha la netta impressione che non si voglia leggere le proposte e criticarle sul merito, ma solo in riferimento a chi le porta avanti. Che c’entra l’odioso permesso di soggiorno a punti di matrice leghista con il documento che parla a monte dei criteri per l’ingresso? Si tratta di politiche praticate da governi laburisti tutt’altro che razzisti o xenofobi. Livi Bacci vi ha dedicato molti studi e, recentemente, un corposo articolo su Europa che consiglio di leggere. Anche Antonio Golino, esperto demografo non iscritto alla Lega Nord, in una pubblicazione curata dalla Fondazione ItalianiEuropei sulle “nuove politiche per l’Immigrazione” cita questa opzione come uno degli strumenti di regolazione dei flussi. Non riguarda ovviamente la grande schiera dei richiedenti asilo e dei rifugiati ai quali il nostro paese ha chiuso le porte con la politica dei respingimenti. Si tratta invece di passare dalle attuali quote quantitative, con un’opacità riscontrata da parte dei consolati che decidono chi sì e chi no a un sistema che dia ai consolati criteri obiettivi e trasparenti in base ai quali ammettere una pratica o respingerla. Certamente i criteri devono, possono essere discussi, ampliati e costantemente monitorati e aggiornati. Ma il sistema ha il vantaggio di ruotare intorno al progetto migratorio della persona approfondendo il suo profilo personale, professionale, le sue relazioni preesistenti in Italia, senza abbandonare il candidato all’immigrazione all’arbitrio burocratico, o alla corruzione. Le cose che scrive Furio Colombo sulla trappola dell’imitazione del linguaggio e dei metodi della destra sono giuste. Ma nella barca che affonda, sotto il peso della crisi economica e sociale, noi dobbiamo dare risposta alle due fragilità: quella dei cittadini stranieri e quella degli italiani per assicurare a tutti certezza dei diritti e speranza. Proprio per questo il documento parla di diritti, di cittadinanza in cinque anni, di diritto di voto amministrativo. Ma questa parte non ha fatto notizia...
Jean Leonard Touadi

CARO Jean Leonard Touadi ho letto con attenzione la tua lettera, di cui ti ringrazio, ma in essa non trovo alcun riferimento al mio articolo (Il Fatto, domenica 17 ottobre) tranne che al titolo. Come sai il titolo è l'unica cosa che sfugge del tutto al controllo di chi scrive su un giornale. Credo perciò di poterti dire, con amicizia e con un po' di stupore:
1) Nel mio articolo ho fatto riferimento preciso, con brani virgolettati, a testi di Enrico Letta e Walter Veltroni ricevuti dalle rispettive segreterie; e di Andrea Sarubbi, tratto dal suo blog. Sono testi chiari. Propongono senza equivoci la valutazione a punti degli immigrati sia come criterio di accettazione, sia come “accompagnamento” definito “realistico” e “pragmatico” dell'immigrato verso la cittadinanza. È una svolta brusca per il Pd e di questo ho discusso nel mio articolo e ho detto stupore e dissenso.
2) In luogo di una risposta trovo lo spostamento del discorso a un immaginario dialogo fra personale consolare italiano all'estero e “candidati” che vengono a presentare i loro titoli da misurare con punteggio. Ciò non avverrà mai sia per le condizioni deplorevoli dei consolati italiani privi di mezzi e di persone; sia per il terrore di coloro che fuggono nel deserto, in mare o legati sotto un tir, o semi-soffocati in un container per fuggire dal loro paese e dal loro governo. Perché fingere un mondo ordinato che non esiste e applicare il metodo di valutazione a punti a chi è a malapena sopravvissuto nel tentativo di vivere e di lavorare in Italia?
3) I diritti umani e civili a punti (ovvero il ricevere o perdere punti mentre vivi, lavori, produci, versi contributi in un paese ospite) non esistono. Dal sistema giuridico romano in avanti un diritto o
c'è tutto e subito e per sempre, o non c'è (salvo che per gli schiavi). Io credo che tocchi a noi riconoscere l'integrità assoluta dei diritti dei nuovi venuti contro l'incivile pretesa di un esame arbitrario e senza fine imposto da Lega e destra.
4) Noto che usi l'espressione “la furia di Furio”. Lo fanno sempre nei giornali del potere berlusconiano. Serve per screditare la riflessione, la critica e il suo autore. È esattamente il titolo che mi ha dedicato Panorama (20 settembre) per avere denunciato la copertina diffamatoria dello stesso settimanale contro i tre operai di Melfi, con foto in prima pagina e l'accusa di boicottaggio dell'impresa (9 settembre). Ti prego, non farlo. Sono sicuro che noi viviamo, sia pure attraversando tempi difficili, con rapporti, parole e sentimenti diversi. Con amicizia,
Furio Colombo