domenica 2 luglio 2017

La Stampa 2.7.17
Palloncini rossi, vecchi vessilli
“Finita l’era del giglio magico”
Ovazione per Bersani. E D’Alema: “Soli alle elezioni, poi dialogo col Pd”
di Francesca Schianchi

«Basta camarille e gigli magici, basta con l’arroganza: non se ne può più. Volare bassi per favore». Parte un boato dalla piazza, sventolano le bandiere targate “Articolo 1 – Mdp”, sul palco un combattivo Pier Luigi Bersani picchia duro contro il segretario dem e strappa applausi a questo popolo di sinistra; dietro al palco, appoggiati a un’impalcatura, Andrea Orlando e Gianni Cuperlo, capifila della minoranza Pd, ascoltano con sguardo fisso: «Che ne dici, Andrea, uno di noi dovrebbe andare sul palco a portare il saluto di Renzi?», scherza Cuperlo. La scenografia con la grande scritta di palloncini rossi e arancioni «Insieme» è prudentemente spostata oltre la metà di piazza Santi Apostoli, quasi sotto le finestre dell’ufficio che fu di Prodi, lì dove mise radici l’Ulivo: in prima fila, Giuliano Pisapia «l’anti-leader», come lo presenta il conduttore Gad Lerner, Bersani, D’Alema, Speranza, la presidente della Camera Boldrini, lo stato maggiore di questa «nuova casa comune del centrosinistra».
Sono venuti elettori di quel campo, a questo appuntamento tanto atteso, graziato da una temperatura piacevole, gente che si spella le mani quando Bersani evoca «un popolo di centrosinistra che se ne sta testardamente a casa sfiduciato». Ci sono pezzi di dirigenza di altri partiti, c’è Bonelli dei Verdi, Ingroia che tentò la strada di Rivoluzione civile, c’è Possibile di Civati, ci sono esperienze civiche (parla dal palco la presidente dell’Arci). C’è Bruno Tabacci e, tramite il suo Centro democratico, ex Dc come Angelo Sanza. Ma c’è soprattutto Mdp, gli scissionisti del Pd che, con il comizio accalorato di Bersani, rubano la scena al mite Pisapia. Quello che «l’anti-leader» dichiara accompagnandolo a citazioni colte e eloquio gentile, lo dice in modo più tranchant l’ex ministro dal palco, e lo ripetono gli altri in platea: mai col Pd di Renzi.
In un angolo della piazza, l’ex dem Davide Zoggia si fa un selfie con «l’altro Vasco» - l’ex presidente dell’Emilia Errani - e lo posta sui social. Il senatore Miguel Gotor riserva una battuta pungente agli assenti Falcone e Montanari: «E’ la sindrome di Moretti: mi si nota di più se vado o se non vado…». Parte uno scroscio di applausi, è Bersani sul palco che sbotta con finto imbarazzo, «Eh, va beh, dai…».
Anti-renziano come sempre, ma oggi più affilato quando dice che serve «una discontinuità radicale con quel che s’è visto in questi anni», ma «non perché non abbiamo fatto il vaccino obbligatorio contro l’antirenzismo, non è che tutto il mondo gira intorno alla Leopolda» (brucia ancora l’accusa prodiana di risentimenti personali): piuttosto perché «il renzismo ha rimasticato estremizzandole parole d’ordine fuori fase, politiche distoniche rispetto alla realtà» e mentre «noi abbiamo un pensiero, vorrei chiedere ai dirigenti del Pd, voi che pensiero avete?», bacchetta quelli che fino a pochi mesi fa erano anche suoi dirigenti. Pochi giorni fa, in una cena di autofinanziamento di Mdp a Milano, ha incontrato alcuni iscritti al Pd: «Muovetevi a lasciare quel partito prima che sia troppo tardi», li ha sferzati.
E’ una piazza di ex compagni del Pci, o addirittura della Fgci, che il tempo (e Renzi) ha talvolta diviso. C’è il governatore dem del Lazio Nicola Zingaretti, in maniche di camicia, che mette in guardia da rotture irreparabili: «Nelle regioni e nei comuni in cui governiamo lo facciamo quasi sempre con una coalizione di centrosinistra, e queste fibrillazioni nazionali non fanno bene». C’è il lettiano Marco Meloni, il prodiano Franco Monaco, una pattuglia di minoranza orlandiana. «Questa piazza non è alternativa al Pd, perché il Pd è nato per unire», sembra più un auspicio che una certezza quella del ministro della giustizia. «Prima pensavo alla minoranza del Pd come a un pompiere, ora più al Genio civile, ha presente quello che ricostruisce i ponti?», sospira Cuperlo.
In fondo alla piazza, stringe le mani a qualche concittadino l’ex governatore campano Antonio Bassolino. Tessera dem, predica che «senza il Pd non si va da nessuna parte, ma il Pd da solo finisce contro un muro». All’iniziativa dei circoli non è andato: «Sa com’è, io ero segretario di sezione a 16 anni, un po’ di tempo fa…».
Bersani incendia la piazza, Pisapia viene ascoltato con tiepida curiosità. Elenca le politiche che vorrebbe, inciampa in un quasi ultimatum («se non riusciremo a costruire qualcosa di innovativo… ne prenderò atto»). Musica di Rino Gaetano. Fine, applausi, palloncini. Un soddisfatto D’Alema lascia la piazza: «Andremo alle elezioni ognuno con la propria piattaforma». Poi, «se avremo grande successo, col Pd discuteremo dopo le elezioni».