domenica 2 luglio 2017

La Stampa 2.7.16
Il sabato infuocato della sinistra tra Renzi e Pisapia
di Federico Geremicca

Se l’obiettivo era rappresentare plasticamente la distanza che li separa e il grumo di risentimenti che rende per ora impossibile immaginare qualsiasi forma di riavvicinamento e perfino di dialogo, bene.
L’operazione è perfettamente riuscita. E così, il «sabato di fuoco» del centrosinistra - Renzi contro il tandem Bersani-Pisapia - mette in piazza i panni sporchi e lascia sul terreno la prima vittima: il centrosinistra, appunto.
Renzi da Milano e i leader di Campo progressista dalla prodianissima Piazza Santi Apostoli di Roma, hanno infatti esposto - e non può esser considerata una sorpresa - programmi, obiettivi e soprattutto sensibilità che più lontane non si potrebbe. Da palchi diversi e distanti, dunque, si sono dettati condizioni reciprocamente inaccettabili.
A oggi - e sfrondando il campo - il senso del contendere potrebbe esser sintetizzato così: Renzi ha chiesto a Campo progressista - e a chi ancora lo contesta dall’interno - «ordine e disciplina», meno polemiche e più lavoro, con l’avvertenza che senza il Pd il centrosinistra non esiste e la sinistra - di conseguenza - si condannerebbe ad una nuova sconfitta; dall’altro palco, Pisapia (ma più ancora Bersani) hanno semplicemente chiesto al Pd di liberarsi di Renzi, del renzismo e di quelle innovazioni - dal Jobs Act alla politica dei bonus - che hanno così pericolosamente avvicinato il Partito democratico alla destra.
Ognuno ha esposto la propria ricetta con lo stile ormai noto: il leader Pd con la cattiveria - e a tratti l’arroganza - dei momenti migliori: basta con le polemiche, e chi non è d’accordo può scendere subito dal treno; Pisapia (ma più ancora Bersani) col tono ieratico e dolente di chi evoca un passato da «età dell’oro» e lamenta il tradimento di ispirazioni e valori senza i quali la sinistra non sarebbe più sinistra.
Distanze assai profonde, perché politiche, culturali e generazionali assieme. E distanze, soprattutto, di fronte alle quali la querelle in scena nel centrodestra circa il profilo dell’alleanza e la leadership della coalizione, appare poco più di una bega di non difficile soluzione. Intendiamoci: nulla che non si sapesse. Ma l’idea di concentrare tutto questo in un solo giorno - quasi secondo un piano studiato a tavolino - conferma la già nota predisposizione al masochismo della sinistra (centrosinistra) italiana.
La strada, dunque, si fa ancora più difficile e in salita in vista delle elezioni politiche prossime venture: più difficile per Renzi, certo, ma anche per i suoi nuovi competitor (definirli potenziali alleati ci sembrerebbe un azzardo). Il più in difficoltà, in verità, ieri è parso proprio Giuliano Pisapia. Chiamato a tentare di federare l’area a sinistra del Pd, ci ha messo poco a capire l’asprezza dello scontro nel quale si è ritrovato.
Infatti, rimettere assieme Renzi, Bersani e D’Alema, ricreare un filo che li unisca, appare oggi la più impossibile delle «mission impossible». Un lavoro da «politico di professione», cosa che Pisapia non è e non intende diventare. Il rischio - considerato il clima - è che insomma possa finirgli male: come è capitato a quel Professore che voleva fare da collante e che ieri pomeriggio, certamente, avrà invece spostato la sua tenda ancora un po’ più in là.