sabato 27 maggio 2017

Il Fatto quotidiano, 23.5.2017
Salone del Libro: per Laterza il successo legato all'affetto scattato in tutta Italia
Intervista a Giuseppe Laterza

Di Stefano Caselli
Torino
"Torino ha beneficiato dell'effetto Juventus". Giuseppe Laterza, presidente della storica casa editrice barese e romana, usa una metafora calcistica per commentare il successo del Salone del Libro. Ma il fatto che i bianconeri abbiano conquistato il sesto scudetto consecutivo nel giorno di maggior affluenza al Lingotto non c'entra. Laterza, che significa? Che il tema "derby " è stato quello di queste giornate. Torino è stata un successo perché l'affetto per questo Salone è scattato in tutta Italia, non solo sotto la Mole. A Milano non se ne sono resi conto. Non basta essere la città sede della maggior parte dell'editoria per pretendere di azzerare una storia trentennale. Quella che era una posizione di forza – e che tale rimane – ha innescato l'effetto contrario, il tifo contro: l'effetto Juventus, la più forte e tifata ma anche la più detestata. Il campionato però non è che all'inizio... Torino esiste da 30 anni, ha avuto alti e bassi, negli ultimi anni più bassi che alti. Quest'anno ha realizzato una delle migliori edizioni di sempre grazie anche a un ottimo direttore come Nicola Lagioia. Credo che quello di Torino debba rimanere il grande Salone unico italiano. Ciò non toglie che ci possa essere spazio per forme nuove di promozione alla lettura. Penso ad esempio un Salone dell'innovazione editoriale, che tra internet, ebook e streaming sta cambiando davvero la fruizione dei libri. Invitare i migliori pensatori ed editori del mondo e chieder loro: "Che fate? Cosa sperimentate?". Sarebbe perfetto per Milano. Un certo grado di competizione tra città può essere una ricchezza, a patto che ci sia un coordinamento comune, non necessariamente una gestione unica. È necessaria un'intesa, un coordinamento. È quello che l'Aie, l'Associazione editori, non ha fatto? C'è stata una fuga in avanti, frutto di una mentalità sbagliata. Che a Milano è diffusa e speculare a quella romana: a Roma tutto è politica, a Milano la politica è sempre un male. L'Aie avrebbe dovuto trattare una presenza con il Salone, magari dopo averne denunciato le carenze, ma prima di prendere accordi con la Fiera di Milano. I torinesi sarebbero stati disponibili a dare all'Aie un ruolo molto più rilevante. Ma il problema fondamentale è un altro. Quale? La promozione della lettura. In questi anni l'Aie si è comportata come se fosse una sua esclusiva, ma così non è. Serve un'associazione tra editori e librai, magari sul modello tedesco. In Italia ci sono tre grandi aziende (Mondadori, Feltrinelli e Giunti) che sono contemporaneamente editori e librai con quote di mercato molto rilevanti. Non si può far finta che i nostri interessi non siano intrecciati. E non basta: gli operatori privati devono collaborare con quelli pubblici, con la scuola e il sistema delle biblioteche. Una collaborazione paritaria. Nel 2004 riuscii a convincere grandi e piccoli editori, da Mondadori a Voland, ad autotassarci per costituire in maniera paritaria con librai e bibliotecari un Forum del libro per la promozione della lettura. Ma il presidente dell'Aie Motta affossò il progetto. E Gianni Ferrari di Mondadori, che fino a quel momento lo aveva appoggiato, con un repentino voltafaccia lo abbandonò. Quello fu l'inizio di una politica sbagliata. Torino invece è stato un successo perché ha coinvolto nella progettazione e nella realizzazione librerie, biblioteche e scuole. "Tempo di Libri"è stata davvero un flop? Assolutamente no. Milano non è andata male, ma solo se non la si vede come alternativa al Salone di Torino. Se fosse stata percepita come un evento "in aggiunta" non sparleremmo di flop: 50 mila presenze per una prima edizione non sono affatto male, si è aperto un fronte nuovo che ha finito per rafforzare anche Torino. Dunque, che fare? Spero che avremo il buon senso di eleggere, il 28 giugno, un nuovo presidente che esca da una visione imperiale e rilanci una politica di alleanze. Anche perché gli eventi culturali sembrano una delle poche cose in salute… È vero, ma non è sufficiente. Basta dare un'occhiata alla classifica europea dei consumi culturali: il nostro Paese è sempre agli ultimi tre posti con Grecia, Portogallo e talvolta Spagna. Guarda caso le stesse posizioni di altre due classifiche: quelle degli investimenti in ricerca e istruzione e quelle di disoccupazione giovanile e potere d'acquisto. Ecco, dobbiamo imparare a leggere bene queste classifiche. In Svezia o in Olanda vanno più a teatro e al cinema perché sono più ricchi. Ma se sono più ricchi è anche grazie al fatto che vanno più a teatro e al cinema. © RIPRODUZIONE RISERVATA