giovedì 8 dicembre 2016

Repubblica 8.12.16
“Ho un sogno portare al Prado Guernica”
Intervista all’architetto Norman Foster che amplierà il museo madrileno, dove potrebbe essere trasferita l’opera di Picasso
di Jesús Ruiz Mantilla

Norman Foster fa da tempo progetti sul Museo del Prado, e questa volta ha avuto successo. Il progetto presentato dall’architetto britannico (Manchester, 1935) insieme al madrileno Carlos Rubio sarà finalmente realizzato nel Salón de Reinos, accanto al Casón del Buen Retiro, dopo aver vinto il concorso a cui partecipavano, tra gli altri, Eduardo Souto de Moura o Rem Koolhaas, per citare due premi Pritzker come Foster.
Rimangono alcune decisioni importanti da prendere prima di iniziare i lavori di ampliamento, che costeranno circa 30 milioni di euro, secondo fonti del governo. Tra le opzioni proposte dai due architetti, ci sono due facciate: una aperta con vetrate e un’altra più chiusa. «È una decisione che dobbiamo prendere con i responsabili del Prado», dice Foster da New York. Non è la questione più controversa, ma è quella che affronteranno per prima. Invece, l’eterno dilemma del dove esporre il Guernica di Picasso non lo riguarda, ma ammette: «Nell’elaborare questo progetto, abbiamo esplorato la possibilità di collocarlo nel Salón de Reinos».
Aveva già lavorato al progetto di ampliamento poi realizzato da Rafael Moneo, alla fine degli anni Novanta. Il suo desiderio di poter intervenire sul Prado finalmente si realizza. Il progetto di allora era molto diverso da quello attuale?
«Abbiamo cambiato l’approccio, ma mantenuto i principi. Il Prado fu costruito con una filosofia di vicinanza al cittadino e, come complesso storico, vorremmo tornare a quelle radici. Credo che intendessero creare un’empatia tra gli abitanti e i suoi spazi. Deve essere profondamente collegato alla città e agli edifici che lo circondano, senza rinunciare a quello che deve essere una pinacoteca moderna ».
Perché questo interesse per il Prado? Ricorda la prima volta che lo ha visitato?
«La prima volta, veramente, no. Deve essere stato circa 40 anni fa. Il Salón de Reinos lo vidi 20 anni fa, quando era ancora il Museo dell’Esercito. Fin dal primo momento, mi sembrarono entrambi straordinari, degni di quella tradizione capace di resistere alla prova del tempo».
Rimangono, tuttavia, delle questioni importanti da risolvere. Innanzitutto, le due opzioni sulla facciata. Quale preferisce, quella a vetri e più aperta o quella coperta?
«È una cosa che dobbiamo decidere nei prossimi incontri con la direzione del museo, a partire da gennaio. A mio parere, sono entrambe interessanti. Una è più contenuta e l’altra abbraccia di più la città, ma dobbiamo ancora discuterne con i responsabili del Prado».
Anche con Miguel Zugaza?
Subito dopo l’assegnazione del progetto, ha annunciato che avrebbe lasciato la direzione del museo. Sarà ancora il vostro interlocutore nel prendere quelle decisioni?
«È un altro aspetto che deve essere risolto all’interno del Prado. Pertanto, è una domanda che deve fare a loro».
Un’altra decisione, o meglio, un’altra polemica ricorrente, è la collocazione di Guernica.
Avete pensato alla possibilità che un giorno sia ospitato nel Salón de Reinos?
«Ci abbiamo pensato più come a un sogno che a una possibilità. Ma una delle caratteristiche fondamentali che abbiamo preso in considerazione è quella di creare uno spazio in cui gli antichi maestri si possano confrontare con i contemporanei».
E tra i contemporanei in particolare con Picasso e quel quadro che lui avrebbe voluto che restasse al Prado?
«Il Guernica è un’opera talmente straordinaria che stupisce, ovunque la si esponga. È incredibile. Ebbi il privilegio di vederlo per la prima volta nella mia vita a New York. Poi l’ho visto a Madrid e non ho cambiato la mia opinione sulla sua importanza, ovunque si trovi. Ma le confesso che abbiamo esplorato la possibilità che possa andare al Salón de Reinos».
Che tipo di città ritiene sia Madrid come grande capitale nel contesto globale?
«Una delle grandi, non c’è dubbio. Ha aspetti imbattibili: la sua sostenibilità, i suoi ottimi ristoranti e il suo clima. È una città di altissimo rango. È cambiata molto negli ultimi tempi, ma si è liberata da interferenze poco desiderabili che hanno colpito altre città simili. Direi che, nonostante i mutamenti, rimane in gran parte intatta. Offre un’elevata qualità della vita e attirerà un gran numero di nuovi visitatori in futuro».
Che cosa pensa dell’idea del Miglio dell’arte, coniata per unire il Prado al Reina Sofía e al Thyssen? Pensa che sia ancora valida o già obsoleta?
«Al di là di questa idea, penso che quello che si deve far prevalere in questa zona è la prossimità. Madrid ha una varietà affascinante di quartieri diversi tra loro. L’ideale è che rimangano collegati in modo naturale, che si possa camminare, perché ne vale la pena. La città deve investire su se stessa e tendere a rimuovere barriere come il traffico o, almeno, studiare dei cambiamenti per ridurlo. Oggi, i vantaggi delle città pedonali sono sempre più apprezzati».
Sembra che sia in buoni rapporti con la sindaca, Manuela Carmena. È stato consultato da lei su decisioni importanti riguardo al progetto di città che desidera?
«Abbiamo parlato delle grandi qualità offerte da Madrid, ma non del suo destino».
Qualità che apprezza tanto da aver deciso di aprire la sua fondazione nel quartiere di Chamberí. Può dirci qualcosa su questo progetto?
«Ci stiamo lavorando sodo. È ancora in fase di elaborazione, ma già nei prossimi mesi potrà diventare più concreto».