giovedì 8 dicembre 2016

Repubblica 8.12.16
Nichi Vendola.
Il leader di Sel respinge il progetto dell’ex sindaco di Milano: “È subalterno alle alchimie di palazzo, non vede le lacerazioni sociali”
“Nessuna alleanza è possibile se prima non si rompe con Matteo”
intervista di Sebastiano Messina

Se il riformismo significa far fare all’élite di sinistra le cose di destra, l’esito è per forza catastrofico
Il proporzionale è lo strumento per ricostruire una saldatura tra cittadini e rappresentanti
In politica governare non è l’unica cosa che conta. Il Pci segnò la storia di questo Paese senza mai governare

ROMA. «Non mi convince affatto» dice Nichi Vendola del progetto di un Campo Progressista lanciato da Giuliano Pisapia nella sua intervista a Repubblica.
Perché non le piace, questa proposta? Non crede che possa essere la strada per ricostituire un centrosinistra?
«Perché è una proposta campata in aria. Ed è anche subalterna agli schemi e alle alchimie di palazzo. Non a caso manca completamente, nelle parole di Pisapia, un’analisi di cosa sia stato il renzismo, nei mille giorni di Matteo Renzi a Palazzo Chigi».
Pisapia ha lanciato un’idea, non ha scritto un manifesto politico… «Ma se noi non partiamo dall’incredibile lacerazione sociale che è stata indotta dalle politiche di austerity, ma anche dalle cosiddette riforme, dal riformismo di destra che ha contraddistinto il governo Renzi…».
Quindi anche lei è tra quelli che accusano Renzi di aver provocato una mutazione genetica del Pd?
«Io penso che oggi c’è Renzi, e che c’è da fare il bilancio del renzismo. A cominciare dalla sconfitta clamorosa sconfitta del renzismo alla prima importante prova delle urne».
La seconda: perché alle europee Renzi fu tutt’altro che sconfitto, e superò il 40 per cento… «Quello era il renzismo della narrazione giovanilistica, della rottamazione e delle promesse. Poi sono arrivati i giorni cupi della precarizzazione del mercato del lavoro, del colpo al cuore della scuola pubblica e dell’espropriazione del potere di contrattazione dei territori. Se il riformismo significa far fare all’élite di sinistra le cose di destra, l’esito è catastrofico».
È questo che ha fatto Renzi, secondo lei? È per questo che ha perso il referendum?
«Se in Emilia Romagna la gente va a votare in una percentuale del 37 per cento alle regionali e del 70 per cento al referendum costituzionale, ci sarà materia per riflettere sullo scollamento tra rappresentanza politica e interessi sociali reali. La prima volta che il popolo ha avuto l’occasione di dire la propria…».
In Emilia ha vinto il Sì.
«Il Sì ha vinto in Emilia, in Toscana e in pochi altri posti».
Il referendum è finito. Ora all’orizzonte ci sono le elezioni politiche. Perché lei scarta così seccamente la proposta di un Campo Progressista?
«Non sono il solo a pensarla così. Giuliano è riuscito a unificare la sinistra contro la sua proposta. Perché non è fondata».
Non è fondata l’idea di un’alleanza leale tra la sinistra e il Pd?
«Ma lui dice “costruiamo la sinistra del renzismo”, e lo fa nel momento in cui il renzismo, per usare una celebre formula, esaurisce la sua spinta propulsiva. Lo dico con rispetto, perché Giuliano Pisapia è un uomo che merita ogni stima e ogni affetto, ma tutto il suo ragionamento è, come direbbe Totò, a prescindere. A prescindere da che cos’è il Pd, a prescindere da che cos’è Renzi, a prescindere da che cos’è il Paese».
Resta il nodo delle alleanze alle elezioni. A proposito, secondo lei bisogna andare al voto al più presto o concludere la legislatura fino alla sua scadenza naturale, nel 2018?
«Io penso che bisogna accompagnare Matteo Renzi fuori da Palazzo Chigi, e insediare un governo di scopo che faccia la riforma elettorale per entrambe le Camere e poi porti subito l’Italia al voto».
Tornando al proporzionale?
«Ecco, se non giochiamo con le ricette della farmacopea istituzionale e ragioniamo sulla crisi della democrazia, forse il proporzionale è lo strumento per ricostruire una saldatura tra cittadini e rappresentanza politica».
E se invece non fosse così, e restasse il premio di maggioranza, per voi si porrebbe il problema delle alleanze. Come lo risolvereste?
«Ma scusi, provi a confrontare i mille giorni di Renzi a Palazzo Chigi con il programma elettorale di Italia Bene Comune, l’alleanza che ha consentito al Pd di avere la maggioranza dei seggi alla Camera. Renzi ha realizzato il programma di Berlusconi, non il programma di Vendola e Bersani. Come possiamo allearci con uno che ha sdoganato il trasformismo convinto che le élite di governo della sinistra moderata debbano semplicemente applicare i programmi della destra economica, magari temperandone un po’ gli effetti sociali?».
Ma questa analisi quale strategia produce? Mai e poi mai con Renzi, va bene. E invece?
«Ogni giorno ha la sua pena, e qualche volta le sue glorie. Senza una rottura col renzismo è difficile immaginare un’alleanza con il Pd. Oggi è stata sconfitta l’idea che l’unica cosa che conta nella politica sia governare. Vale la pena di ricordare che il Partito comunista italiano è riuscito a segnare la storia di questo Paese senza andare mai al governo. Rimanendo all’opposizione».