venerdì 9 dicembre 2016

Corriere 9.12.16
Quella sinistra del no, no, no
Ancora non è chiaro se per davvero, come sembrava dal suo discorso nella notte della sconfitta, Renzi sappia perdere. Ma è almeno altrettanto dubbio che la sinistra del No, vista la sua accoglienza della ragionevole proposta di ricucitura di Pisapia, sappia vincere
di Michele Serra

GOVERNARE è obbligatorio? Certo che non lo è. Ma in fin dei conti neppure partecipare alla competizione politica lo è: con tutto quel faticoso e spesso mortificante sbattersi per obiettivi mai uguali a quelli immaginati. Spesso appena l’ombra del sogno che si insegue. La politica è un mestieraccio, ti tocca avere a che fare con chi mai e poi mai frequenteresti, nella tua vita di privato cittadino. La Polis è di tutti: non si sa mai chi puoi incontrarci. E dunque, oggi come venti, trenta e cinquanta anni fa, la vera domanda che la sinistra del “mai con Renzi” (variante dell’eterno “meglio soli che male accompagnati” che è l’anima del settarismo di ogni epoca) dovrebbe porsi è se non valga la pena, infine, destinare la tenacia e la passione che le sono proprie alle tante altre nobili e utili attività sociali a disposizione.
Dal volontariato all’associazionismo alla promozione culturale e artistica alla filantropia eccetera. Si cambiano le cose anche così. Lo fanno, con risultati spesso ammirevoli, anche ragazzi semplici e vecchie contesse, casalinghe non disperate e pensionati ancora vigorosissimi. Signori e popolo, che di politica politicante non vogliono sentir parlare, non è affar loro e anzi le alchimie di partito, le tattiche e le strategie, le mosse e le contromosse confliggono con il loro daffare, che è pragmatico, mica chiacchiere.
Dico questo dopo avere letto parecchie delle reazioni a freddo, che si sommano a quelle a caldo, alla sortita di Giuliano Pisapia, che si propone come tessitore dello sdrucito eppure loquacissimo universo “alla sinistra di Renzi”. Ma commettendo l’errore — imperdonabile per molti — di considerare Renzi il segretario del Pd; colui che ha vinto le primarie; colui che ha raccolto, attorno al Sì, la maggioranza schiacciante degli elettori dem; ovvero il leader politico di un partito che conta milioni di elettori, senza i quali nessuna ipotesi di governo di centrosinistra è plausibile. Ma no, non è questo il Renzi che si para dinnanzi alla sinistra occhiutissima, navigatissima che lo descrive come i baccelloni di Don Siegel ( L’invasione degli ultracorpi), un corpo alieno subdolamente introdotto nel corpo sano dell’ex Grande Partito per risucchiarne l’anima e cancellarne l’identità, un agente del Capitale, dei poteri forti, della massoneria. Non solo, dunque, i blogger trentenni a corto di letteratura, postpolitici e postfattuali, ma anche solidi quadri di partito cresciuti nel materialismo dialettico sono in grado di cedere a quel grande comfort che è il complottismo: quello che non capisco è il Male, solo così riesco a spiegarmelo. E dunque, se è il Male ciò che la storia mi propone, non mi rimane che combatterlo. Meglio l’eternità virtuosa dell’opposizione che il breve sporco momento nel quale ci si incarna nel fango del compromesso politico.
Pisapia non è renziano. Ma Pisapia è stato sindaco di Milano — un buon sindaco — grazie a un piccolo prodigio di anti-settarismo, di politique d’abord, di calcolata generosità. Ossimoro, quest’ultimo, inspiegabile al di fuori della politica, che può essere generosa solo in quanto sa essere calcolatrice, ovvero capace di cambiare le cose a partire da come le cose stanno, non da come le cose dovrebbero essere (e non sono mai). Di utile, per adesso, la sua uscita ha avuto soprattutto questo: ha dimostrato, probabilmen-te non volendolo, che il No referenda-rio, a sinistra, prescindeva largamente dal motivo del contendere: quel passaggio elettorale serviva effettivamente come una sentenza senza appello contro il governo Renzi. Tanto è vero che il Sì di Pisapia gli viene rinfacciato come una colpa che lo rende improponibile come potenziale leader di una sinistra non renziana; perché la sinistra o è contro Renzi oppure non sussiste.
La cosa che Pisapia sicuramente ha capito, e i suoi critici molto di meno, è che proprio la vocazione minoritaria di questa sinistra del “no no no” è una delle cause fondanti del renzismo e della sua ossessione maggioritaria. Il renzismo ipercinetico nasce soprattutto come rimedio (sbrigativo, come si è visto, e infine perdente) alla mortificante stasi che lo ha preceduto, a un culto della complessità spinto fino all’inconcludenza, all’ammuffimento e alla depressione della sinistra negli anni di Berlusconi. Molti di coloro che spregiano Renzi, gli slogan di facciata della Leopolda, la fretta di cambiare purchessia, dimenticano o ignorano lo strettissimo nesso tra Renzi e le debolezze che lo hanno generato. Altro che “corpo estraneo”. E ora, al solo pensiero di fare seriamente i conti con questo fenomeno ingombrante e imprevisto, in parte tardivo remake del blairismo, in parte inedito vitalismo progressista disposto a tutto (perfino a varare, con una decina di anni di ritardo, una legge sulle unioni civili) pur di non morire di noia, voltano la faccia dall’altra parte.