martedì 13 agosto 2019

il manifesto 13.8.19
Più di 500 migranti abbandonati in mare
Mediterraneo . Bloccati dalla politica dei porti chiusi dell’Italia. Dopo Richard Gere, con la Open Arms anche Banderas e Bardem
di Leo Lancari


Giusto il tempo di lanciare i giubbotti di salvataggio e il gommone si è afflosciato riempiendosi di acqua e scaraventando in mare quanti si trovavano a bordo: 105 migranti, tutti uomini e tra questi anche 29 minori, tra i quali uno di appena 5 anni e uno di 12. Sono il risultato dell’ultimo salvataggio, il quarto in pochi giorni, messo a punto dalla nave Ocean Viking di Sos Mediterranee e Medici senza frontiere a 40 miglia dalle coste libiche. I volontari delle due ong fortunatamente sono riusciti a mettere tutti in salvo ma adesso a bordo della nave, che può ospitare al massimo 200/250 persone, si ritrovano in 356 e per quanto sia attrezzata per le emergenze la situazione rischia di diventare pesante.
Sommando i migranti salvati dalla Ocean Viking a quelli presenti sulla Open Arms, a questo punto salgono a 507 i migranti bloccati in mare dalla politica dei porti chiusi dell’Italia. «Una follia», per la ong spagnola giunta ormai al suo undicesimo giorno ferma in mare. «La stanchezza è tanto, ma non è solo fisica. E’ la consapevolezza della follia di questa situazione, stiamo parlando 160 persone fragili e bisognose di aiuto», spiegano i volontari. Ieri è stato completato il trasferimento a Malta di due donne con gravi problemi di salute e dei loro familiari, il che ha fatto scendere a 151 il numero sei migranti ancora a bordo. «Siamo con loro con il cuore, in bocca a lupo per le loro vite e il loro futuro», ha scritto sui social la ong.
Intanto Matteo Salvini continua con l’atteggiamento di sempre. «Più d 350 migranti a bordo di una nave norvegese di una ong francese e quasi 160 a bordo di una nave spagnola di una ong spagnola: ribadiamo l’assoluto divieto di ingresso di queste due navi straniere nelle acque italiane», ha ripetuto. «Aprano i porti di Francia, Spagna e Norvegia». Ma prosegue anche la mobilitazione degli attori. Dopo Richard Gere e Antonio Banderas, ieri è intervenuto a sostegno di Open Arms Javier Bardem. In un video il premio Oscar chiede al premier spagnolo Pedro Sanchez di intervenire perché i migranti che si trovano a bordo possono essere distribuiti in Europa «perché crediamo che sia necessario che un paese membro dell’Europa debba coordinare questo processo e riteniamo che la Spagna sia il più adatto perché è il Paese di origine della ong», ha spiegato Bardem.
Peccato che, almeno per ora, dall’Unione europea non arrivino segnali di nessun tipo. Pur essendoci stati dei contatti con gli Stati, un portavoce della Commissione europea ha spiegato infatti che non è stato avviato il coordinamento» perché «non c’è stata alcuna richiesta da parte degli Stati».
Che la politica del Viminale serva soprattutto a raccogliere consensi elettorali lo dimostra il fatto che mentre l’attenzione è concentrata sulle navi delle due ong, continuano gli sbarchi di quanti riescono a raggiungere le coste italiane autonomamente o con barchini che vengono lasciati al largo dalle navi dei trafficanti: 89 solo ieri in tre differenti sbarchi avvenuti Sciacca, in provincia di Agrigento, Lampedusa e Crotone.

il manifesto 13.8.19
A Hong Kong si mette male. Cina: «Proteste sono terrorismo»
Hong Kong. I media cinesi mostrano assembramenti di truppe a Shenzhen. Voli annullati nell'ex colonia britannica fino a stamattina per i sit-in organizzati in aeroporto. Week end di scontri: la polizia ha usato gas lacrimogeni contro i manifestanti
di  Simone Pieranni


Dopo ormai dieci settimane di proteste a Hong Kong, da ieri c’è una domanda che aleggia nella tensione generale dell’ex colonia britannica: la Cina sopporterà ancora le manifestazioni senza compiere nessun atto concreto? Fino a ieri l’ipotesi di un intervento militare sembrava completamente fuori discussione: le due conferenze stampa tenute dall’ufficio politico di Pechino a Hong Kong avevano lanciato avvertimenti, avevano bollato le proteste come «rivoluzione colorata» aizzata dagli Stati uniti, e si erano limitate a sottolineare le violenze dei ragazzi e delle ragazze per strada contro la polizia locale, cui la dirigenza cinese aveva espresso sostegno.
Da oggi, invece, pur apparendo ancora un azzardo, l’ipotesi militare acquisisce un peso diverso nelle valutazioni: ieri Pechino ha invece accusato apertamente i manifestanti di Hong Kong di «terrorismo» a causa della loro «violenza», con la quale secondo la Cina hanno affrontato la polizia locale. Ma non solo perché nella giornata di ieri i media cinesi, prima l’ultra nazionalista Global Times e poi l’organo ufficiale del partito comunista, il Quotidiano del popolo, hanno mostrato un video di truppe dell’esercito cinese radunate a Shenzhen, la città confinante con Hong Kong e dalla quale si può raggiungere la città in tempi brevissimi.
SECONDO I DUE MEDIA CINESI si tratterebbe «apparentemente di esercitazioni», ma la vicinanza geografica e la tensione palpabile non lasciano troppo spazio all’ottimismo.
Resta da chiedersi se la Cina davvero possa permettersi un eventuale colpo di mano militare, dopo anni di faticosa costruzione di una reputazione internazionale capace di accreditarla come potenza responsabile.
Tutto quanto raccontato nelle occasioni internazionali rispetto alla propria «ascesa pacifica» potrebbe essere smentito con una semplice decisione.
La Cina – nel caso di un intervento militare – potrebbe giustificarlo con la scusa che Hong Kong è «un affare interno» come più volte ripetuto.
PROPRIO COME FA con il Xinjiang, la regione nord occidentale a maggioranza musulmana. Se ancora qualcuno nutre dei dubbi riguardo l’esistenza di veri e propri campi di rieducazione – che la Cina definisce «vocazionali» – nessuno può mettere in discussione la clamorosa campagna securitaria e repressiva che si è abbattuta sulla minoranza uigura. Eppure, ben pochi a livello internazionale hanno protestato contro il comportamento cinese. Per quanto riguarda Hong Kong, però, c’è anche un altro elemento: bisogna prendere atto che politicamente un compromesso politico al momento è impossibile.
Kerry Brown, grande conoscitore della Cina, su The Spectator ha scritto un commento nel quale ritiene che la mancanza di uniformità tra le anime dei manifestanti possa costituire un vantaggio per Pechino. Ma questa frammentazione, unita alla mancanza di un programma politico unificante da contrapporre innanzitutto al governo cittadino, potrebbe risultare anche un’eventualità capace di mettere in difficoltà il governo centrale cinese: Pechino infatti, posto che voglia trattare, al momento non ha alcuna proposta su cui si può davvero arrivare una mediazione.
I CITTADINI DI HONG KONG che protestano, soprattutto giovani di tutte le fasce sociali, non vogliono vivere in una città sotto il dominio cinese. Aspirazione legittima ma purtroppo per loro inattuale: nel 2047 come stabilito tra Cina e Gran Bretagna, Hong Kong passerà definitivamente sotto l’egida politica di Pechino, che a sua volta sceglierà come amministrare la città. L’obiettivo politico dei dimostranti, dunque, dovrebbe poter trovare un possibile compromesso alla luce di questo passaggio. Difficile sapere quale.
UN POSSIBILITÀ potrebbe essere quella di spingere sulla richiesta di suffragio universale, così come garantito – pur all’interno di passaggi graduali – dall’articolo 68 della Basic Law, la Costituzione (sottoscritta da Pechino) potrebbe essere un primo passo.
Intanto, in questi giorni, il sit in all’aeroporto ha ottenuto grande solidarietà nonostante i disagi, da parte di tante persone che hanno portato ai manifestanti cibo e acqua. Oggi il sit in, che ha bloccato tutti i voli, continuerà nonostante non sia stato autorizzato: i manifestanti tra le altre rivendicazioni chiedono anche un’inchiesta seria e trasparente sulle violenze compiute dalla polizia che nei giorni scorsi – dopo la figuraccia internazionale per l’«aiuto» avuto da criminali delle triadi lanciati in giro a picchiare ragazze e ragazzi inermi all’interno di una stazione della metro – ha fatto largo uso di gas lacrimogeni e di infiltrati, come denunciato in rete e sui canali di Telegram.

La Stampa 13.8.19
La governatrice di Hong Kong ai manifestanti: “Non portate la città nell’abisso”
Decima settimana di scontri in piazza. Carrie Lam in lacrime davanti ai giornalisti. Nuova manifestazione in aeroporto


HONG KONG. La violenza durante le proteste a Hong Kong spingerà la città «lungo un percorso di non ritorno», ha avvertito martedì la governatrice della città, Carrie Lam -immergerà la società in una situazione molto preoccupante e pericolosa» queste le sue parole durante una conferenza stampa nella quale è anche scoppiata a piangere: «La situazione a Hong Kong nella scorsa settimana mi ha fatto preoccupare molto, è pericolosa». Ai manifestanti che stanno protestando da 10 settimane ha chiesto di «evitare labisso».

Aeroporto occupato
Intanto, centinaia di manifestanti a favore della democrazia hanno organizzato una nuova manifestazione all'aeroporto di Hong Kong, il giorno dopo una massiccia protesta che ha provocato la paralisi dello scalo internazionale. Solo un pugno di manifestanti era rimasto durante la notte e i voli sono ripresi, pur fra ritardi e cancellazioni. Poi altre centinaia di contestatori sono arrivate per una nuova manifestazione.

https://spogli.blogspot.com/2019/08/il-manifesto-13.html