giovedì 17 maggio 2018

Corriere della Sera 17.5.18
Lo Stato, i partiti
l’illusione di sondare la base
di Sabino Cassese


La trattativa negoziale per la formazione del governo procede tra alti e bassi, e con molte oscillazioni. Era cominciata bene, perché le due parti contraenti avevano rapidamente dismesso le vesti della Piazza, per entrare nel Palazzo. Ora i due migliori perdenti, in assenza di un mandato pieno a uno di loro (la somma di due perdenti non fa necessariamente un vincitore), incontrano le prevedibili difficoltà. Ma mostrano anche di non avere ben chiare tutte le implicazioni della democrazia.
Hanno annunciato di voler sottoporre a consultazione popolare l’alleanza («se c’è un accordo, andrà approvato dalle piazze», secondo il segretario della Lega). È comprensibile: muovono da parti opposte ed hanno elettorati molto diversi. Ma questa consultazione avverrebbe anche con procedure dissimili. La Lega con «gazebo», quindi ascoltando l’opinione di tutti. Il M5S attraverso consultazione «on line» sulla piattaforma Rousseau, tra gli iscritti o gli iscritti «certificati» (quindi tra 500 mila o 120 mila persone, secondo le stime correnti). Ma, da un lato, ci si può chiedere se i pochi 5 Stelle consultati rappresentino l’orientamento degli 11 milioni di italiani che hanno votato a favore del Movimento. Dall’altro, non sono stati annunciati «quorum» di votanti e di favorevoli, e quindi dovremo accontentarci del significato che i vertici delle due forze politiche vorranno dare alla consultazione.
Oltre alla procedura, non è chiaro quali domande verranno poste e quali effetti si vorrà dare alla consultazione. È, ad esempio, possibile sottoporre a consultazione — come è stato dichiarato — la «riformulazione dei trattati europei», che dipende da complesse procedure che riguardano 27 Paesi? Basterebbe un consenso così pronunciato per legittimare le decisioni dei vertici? Infine, questi ultimi farebbero marcia indietro in caso di dissenso, andando poi al Quirinale per annunciare che loro volevano, mentre la loro base non vuole?
Questo va e vieni tra popolo e Parlamento è pieno di equivoci: è frutto di una concezione almeno rudimentale della democrazia e corre il rischio di minare la premessa dell’azione dei delegati alla trattativa, essi stessi scelti dal voto popolare.
Un secondo segno di debolezza sta nel ricorrente riferimento spregiativo ai «non eletti». Ad esempio, il rifiuto delle «inaccettabili interferenze dei non eletti euroburocrati». A parte il fatto che gran parte dei leader europei che si sono espressi sulle vicende italiane hanno alle loro spalle decine di elezioni politiche nazionali nei loro Paesi e una elezione al Parlamento europeo, chi sdegnosamente rifiuta di ascoltare i «non eletti» ignora che i moderni governi democratici non debbono avere soltanto la fiducia del proprio elettorato, ma anche quella dei risparmiatori (che sono in larga misura anche elettori), come ha spiegato molto bene Federico Fubini sul Corriere della Sera di ieri.
Terzo: il «leader» della Lega ha dichiarato il 14 maggio scorso che «se ci rendessimo conto che non siamo in grado di fare quello per cui gli italiani ci hanno votato, non cominciamo neppure». Questa fedeltà al mandato del proprio elettorato è fondata su una premessa, quella di un sistema maggioritario, dove c’è continuità tra maggioranza dell’elettorato-maggioranza parlamentare-governo. Invece, in un sistema parlamentare con formula elettorale prevalentemente pro-porzionale (sulla base di una legge votata dalla Lega), in presenza di quattro forze politiche, nessuna delle quali maggioritaria, è necessaria una intesa di governo, e questa richiede che le parti contraenti ascoltino anche gli elettorati degli altri.
Infine, le due forze politiche impegnate nel tentativo di dare un governo al Paese non hanno ben chiara la distinzione tra Stato e partiti. Un segno della confusione è il «Comitato di conciliazione» previsto dal «Contratto per il governo del cambiamento» reso pubblico il 15 maggio, che prendo come esempio, anche se si tratta di un documento sul quale si sta ancora lavorando. Questo prevede un organo misto partiti-governo-Parlamento, denominato «Comitato di conciliazione», che delibera a maggioranza di due terzi quando «nel corso dell’azione di governo emergano diversità». Un organo di questo tipo (ben diverso da quello, esclusivamente partitico, proposto nella relazione del 20 aprile, voluta dal M5S, sulle convergenze tra i programmi delle forze politiche) assorbirebbe funzioni che la Costituzione assegna al governo e richiederebbe al presidente del Consiglio dei ministri e ai due ministri che vi partecipano di addossarsi gravi responsabilità fuori delle sedi ufficiali.
Lega e M5S hanno intrapreso un difficile percorso per rendere utile il voto del 4 marzo e dare un governo al Paese. Questa strada passa attraverso le regole della democrazia, che non è fatta soltanto di elezioni, ma anche di molti altri elementi (vincoli internazionali, contropoteri, «checks and balances», rispetto dei precedenti, dialogo tra élite e membri della comunità nazionale, sottoposizione al controllo di giudici «non eletti»). Sarebbe utile che le due forze politiche se ne rendessero conto prima di fare proposte incendiarie, e nello stesso tempo impossibili da realizzare .