venerdì 11 maggio 2018

La Stampa 11.5.18
Rifugi, riservisti e sirene anti-aeree
Lo Stato ebraico pronto alla guerra
L’esercito ordina ai sindaci di aprire i bunker Rafforzati i sistemi di difesa al confine
di Rolla Scolari


In Israele il segnale che la costante tensione regionale è andata oltre il livello di guardia è l’ordine dell’esercito ai sindaci di aprire i rifugi antimissile. Le sirene nel Nord, alcune collegate alla voce registrata che avverte i residenti – Tzeva Adom, in ebraico colore rosso, allarme rosso – sono partite poco dopo la mezzanotte di giovedì. Gli abitanti di alcune comunità sono restati nei rifugi fino alle due del mattino. Postazioni militari iraniane in Siria hanno lanciato venti missili contro una base israeliana. Alcuni sono stati intercettati, altri sono caduti in territorio siriano.
In seguito all’annuncio, martedì, del presidente americano Donald Trump sull’uscita degli Stati Uniti dall’accordo internazionale sul nucleare iraniano, Israele è entrato in allerta. Sono ormai mesi che l’establishment militare teme, con il rafforzarsi dell’Iran nella vicina Siria, un possibile attacco. I vertici militari hanno chiesto ai riservisti di tenersi pronti e rafforzato il dispiegamento di batterie del sistema di difesa anti-missilistico Iron Dome nella regione settentrionale del Golan.
Benché i raid israeliani sulla Siria, in risposta al lancio di razzi iraniani, siano stati i più aggressivi in decenni, la leadership politica d’Israele punta a mantenere in casa il business as usual. Il Paese d’altronde è abituato a passare nel giro di poche ore dalla quotidianità all’emergenza bellica. Scuole, uffici, negozi al Nord sono rimasti aperti ieri, nonostante l’attacco notturno e l’allerta ovunque. Gli abitanti delle zone più a rischio – quelli lungo i confini con il Sud del Libano, roccaforte delle milizie sciite di Hezbollah, e con la Siria in guerra, e le comunità rurali del Sud, attorno a Gaza – conoscono le procedure in caso d’attacco. I siti Internet e i social network di esercito e municipalità forniscono i tempi d’impatto dei missili. A seconda della posizione geografica di città e villaggi – Israele da Nord a Sud è lungo appena 470 chilometri, poco più della distanza tra Torino e Venezia – per trovare rifugio si ha a disposizione da pochi minuti a pochi secondi. Assieme alle sirene, un sistema di sms gestito dallo Stato attraverso le compagnie telefoniche avverte i cittadini in tempo reale di minacce imminenti.
Oltre ai rifugi anti-bomba, sarebbe obbligatorio avere in casa una stanza con muri e porte rinforzate, senza finestre. Contando questi «bunker» familiari, Israele avrebbe circa un milione di rifugi, molti dei quali, come documentato da un servizio fotografico del «Guardian» qualche anno fa, convertiti nella quotidianità in palestre domestiche, sale musicali o di danza.
L’infrastruttura di difesa civile è stata potenziata dopo la guerra del 2006 contro Hezbollah, che in 34 giorni di conflitto ha lanciato centinaia di razzi Katiuscia sul Nord. Da allora, l’ospedale Ichilov di Tel Aviv ha costruito quattro piani sotterranei, normalmente usati come parcheggio, che possono ospitare mille letti, e dispongono di forniture d’ossigeno, acqua potabile, elettricità, di generatori capaci di operare una settimana. Il Rambam Medical Center di Haifa, al Nord, è più grande: in meno di 48 ore può trasferire quasi 2.000 pazienti nel suo sottosuolo. E il parcheggio sotterraneo del teatro Habima di Tel Aviv, in caso di attacco chimico, biologico o missilistico può essere convertito in un rifugio pubblico per migliaia di cittadini.