lunedì 14 maggio 2018

internazionale 11.5.18
Intrappolati
di Giovanni De Mauro


Le riflessioni di Jay Rosen sulla campagna di Donald Trump per screditare la stampa, di cui si parlava qui la settimana scorsa, erano accompagnate da una lista di rischi, alcuni dei quali talmente concreti da essersi già verificati. C’è il rischio che una parte importante dell’elettorato, cioè chi sostiene il presidente statunitense, resti isolato nella sua bolla informativa, in cui Trump è la principale fonte d’informazioni su se stesso. C’è il rischio che i giornalisti facciano bene il loro lavoro ma che questo non serva a niente, perché i sostenitori di Trump lo rifiutano, gli avversari sono già convinti, e quelli incerti non gli prestano troppa attenzione. E c’è anche il rischio che i giornalisti non riescano a raggiungere i loro lettori semplicemente perché le piattaforme create dall’industria tecnologica hanno preso il sopravvento nell’orientare il dibattito pubblico. Ovviamente c’è il rischio che i giornalisti perdano il contatto con il resto del paese. E c’è il rischio che restino intrappolati in quel fenomeno che Rosen chiama view from nowhere: il tentativo di affermare la propria autorevolezza attraverso una falsa neutralità che consiste nel mettere a confronto versioni opposte di una storia come se fossero sullo stesso piano, anche se una delle due è evidentemente falsa. C’è il rischio che una serie di tecniche giornalistiche consolidate diventino armi spuntate: il cosiddetto fact checking, per esempio, non ha mai impedito a Trump di ripetere affermazioni completamente inventate. Martin Baron, il direttore del Washington Post, ripete spesso: “Non siamo in guerra, siamo al lavoro”. È vero, dice Rosen, ma c’è il rischio che i giornalisti non riescano a fare la distinzione tra opporsi a Trump, cioè fargli la guerra, che sarebbe sbagliato, e opporsi a un certo modo di far politica che sta pericolosamente erodendo il loro ruolo nel sistema democratico.