giovedì 10 maggio 2018

Il Sole 10.5.18
E se fosse finita l’idea stessa di Occidente?
di Adriana Cerretelli


Le date a volte giocano brutti tiri. Quasi certamente per caso, l’America di Trump ha scelto proprio la vigilia del 9 maggio, giorno della Festa dell’Europa e 68mo anniversario della Dichiarazione di Schuman che le diede i natali, per decidere il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo nucleare con l’Iran.
E così ha dato, in un colpo solo, uno schiaffo all’Europa che per difendere bontà e valore strategico di quell’accordo ha fatto le barricate e addirittura inviato a Washington i suoi due pesi massimi, il francese Emmanuel Macron e la tedesca Angela Merkel nel vano tentativo di una mediazione in extremis. Ne ha esposto nei fatti e di fronte al mondo intero l’irrilevanza politica insieme all’insostenibile leggerezza della sua esistenza. Ha messo a nudo, infine, la crisi dei rapporti euro-americani, il crollo delle affinità elettive e della coesione transatlantica, in breve la fine dell’Occidente almeno nel formato e nei modi del dopoguerra. Certo anche 15 anni fa, ai tempi della guerra in Iraq, lo strappo tra i due alleati era stato drammatico e gravido di conseguenze.
Questa volta però è diverso, la lacerazione più profonda perché gli equilibri di potenza nel mondo nel frattempo sono cambiati e stanno cambiando: gli Stati Uniti con la dottrina dell’America First ne hanno tratto una possibile lezione, come la Cina di Xi con la sua ambizione di supremazia planetaria.
L’Europa no, apparentemente incapace di agire e reagire, ibernata nel sacrario della sua storia malgrado la sua realtà di oggi provveda quasi quotidianamente a rinnegarlo senza rimpianti.
Ed è questa discrasia crescente tra essere, non essere e comunque voler essere sempre meno a ridurla all’impotenza oggi condannandola al vassallaggio domani.
A 16 mesi dal suo ingresso alla Casa Bianca di tutto si può accusare Donald Trump fuorchè di non aver detto subito e con chiarezza quali fossero le sue intenzioni e programmi. I suoi obiettivi di riequilibrio dell’ordine mondiale eroso anche da un multilateralismo caotico e sgovernato costato agli Stati Uniti un prezzo troppo alto. Insostenibile in termini economici, commerciali, militari e strategici. Di qui l’America First e gli espliciti altolà a Cina e alleati europei, parassitari dentro la Nato ma grandi concorrenti economici fuori.
Forse perché espressione di una società vecchia e abitudinaria, seduta sui propri comodi e rendite di posizione, forse perché priva di leader solidi e lungimiranti, l’Europa non è riuscita a guardare oltre folklore e tweet anche sgangherati della sua nuova presidenza Usa, per cogliere il nuovo spirito dei tempi americani. Ha continuato a considerarla con sufficienza, un fenomeno da baraccone da tenere a bada fidando nel provvidenziale supporto delle istituzioni Usa.
Non ha imparato niente nemmeno dalla Cina di Xi che, nell’occhio di un ciclone ben più violento, bersaglio di una guerra commerciale e strategica ancora più pesante e a più largo raggio, di veri e propri diktat economici, ha reagito e reagisce con il pragmatismo dei forti: minaccia ritorsioni come l’Europa ma intanto media con la Corea del Nord per regalare a Trump un successo diplomatico che poi sarà certamente passato all’incasso su altri tavoli negoziali.
Con la scarsa flessibilità e le divisioni che la contraddistinguono, l’Europa si limita invece a difendere l’intesa con l’Iran, con l’eccezione della Francia di Macron non tenta di mediare per migliorarla. Si gioca Teheran contro Washington ma così rompe i ponti invece di costruirli, in fondo perché è troppo debole politicamente per provarci. Ma la scelta dell’aperto antagonismo con gli Stati Uniti, quando contemporaneamente tenta di scongiurare i dazi Usa su acciaio e alluminio e si guarda bene dall’aumentare al 2% del Pil le spese militari in sede Nato, potrebbe costarle caro.
Trump è un gambler. La sua partita coreana sembra avviata a chiudersi in bellezza. Quella iraniana resta gravida di rischi. Se dovesse sfuggire di mano e finisse per incendiare il Medio Oriente, la prima a pagarne le conseguenze sarebbe l’Europa, già circondata da troppe aree di instabilità ai suoi confini.
Più passa il tempo, più vecchi e nuovi colossi mondiali crescono e più l’Europa a metà si dimostra inadeguata e anche patetica nelle sue velleità di potenza globale. Fino a che sarà popolata da paesi e società arroccati sul mito della nazione-first non riuscirà a fermare il suo lento declino. Ci vorrebbe il coraggio di abbattere davvero quegli steccati, di ricostruire l’Unione sotto le bandiere dell’”Europa first”. Solo così diventerebbe un interlocutore credibile e ascoltato da Trump e dal mondo interno. Purtroppo oggi non è questa l’aria che tira.