domenica 13 maggio 2018

il manifesto 13.5.18
Jerusalem day senza Trump, ma è il trionfo di Netanyahu
Gerusalemme. Oggi migliaia di israeliani sfileranno in corteo per affermare il controllo su tutta Gerusalemme alla vigilia delle celebrazioni per il trasferimento dell'ambasciata Usa nella città santa. Scioperi e raduni dei palestinesi. Le proteste più imponenti sono previste a Gaza domani e martedì
di Michele Giorgio


GERUSALEMME Celebrazioni così sontuose forse Israele non le aveva organizzate ‎neppure dopo aver occupato nel 1967 la zona Est, araba, di ‎Gerusalemme e preso il controllo di tutta la città. L’euforia è alle ‎stelle tra gli israeliani per il trasferimento dell’ambasciata ‎statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme. Tra i palestinesi invece ‎crescono rabbia e frustrazione per un passo che viola le risoluzioni ‎internazionali proprio come il riconoscimen0to di Gerusalemme ‎come capitale di Israele fatto da Donald Trump il 6 dicembre. Il ‎‎”Giorno di Gerusalemme” – che cade oggi secondo il calendario ‎ebraico – è la vigilia perfetta, spiegano gli ultranazionalisti, del 14 ‎maggio del 70esimo anniversario della proclamazione dello Stato di ‎Israele. E domani l’inviato Usa in Medio oriente Jared Kushner, la ‎moglie Ivanka Trump, l’ambasciatore finanziatore del movimento dei ‎coloni David Friedman e centinaia di rappresentanti ‎dell’Amministrazione, del Congresso e di altre istituzioni e ‎organizzazioni americane, parteciperanno alla cerimonia di apertura ‎dell’ambasciata statunitense ad Arnona, alla periferia meridionale di ‎Gerusalemme. Assieme a loro ci saranno il premier Benyamin ‎Netanyahu, il capo dello stato Reuven Rivlin, ministri, parlamentari e ‎personalità politiche per celebrare quella che in Israele ritengono una ‎‎”vittoria” di eccezionale importanza.‎
 A breve distanza i palestinesi, molti dei quali giungeranno dalla ‎Galilea, tenteranno di far sentire la loro protesta. Tenteranno perché il ‎dispiegamento delle forze di polizia sarà enorme in tutta ‎Gerusalemme. ‎«Abbiamo deciso di tenere la manifestazione nello ‎stesso luogo e nello stesso momento delle celebrazioni israeliane – ‎spiega Mohammed Barakeh, dell’Alto Comitato di Direzione della ‎minoranza araba in Israele – intendiamo alzare la voce contro la ‎politica statunitense di sostegno all’occupazione israeliana e agli ‎insediamenti coloniali che punta ad uccidere ogni possibilità di creare ‎uno Stato palestinese indipendente e sovrano sui confini del 1967 ‎con Gerusalemme come sua capitale‎». Raduni si annunciano per ‎domani anche in Cisgiordania, in particolare a Ramallah. Le ‎manifestazioni più imponenti si prevedono a Gaza dove domani e ‎martedì 15 maggio, nel 70esimo anniversario della Nakba, decine di ‎migliaia di palestinesi – si dice oltre 100mila – arriveranno nella ‎fascia orientale di Gaza a poche centinaia di metri di distanza dalle ‎barriere di demarcazione con Israele. L’esercito israeliano sta facendo ‎affluire rinforzi di uomini e mezzi corazzati lungo le linee con Gaza ‎ed è forte il timore che i tiratori scelti, ripetendo quanto avvenuto ‎nelle ultime settimane durante la “Grande Marcia del Ritorno”, ‎aprano di nuovo il fuoco sui dimostranti che si avvicineranno o ‎proveranno a superare le recinzioni. E il bilancio di sangue di oltre ‎‎50 morti e di migliaia di feriti registrato sino ad oggi potrebbe ‎lievitare a cifre drammatiche. Ieri Israele ha bombardato il nord di ‎Gaza – un presunto tunnel sotterraneo – poche ore dopo la chiusura ‎del valico commerciale di Kerem Shalom danneggiato dai palestinesi ‎durante le ultime proteste.
Marce contro il trasferimento ‎dell’ambasciata Usa a Gerusalemme si prevedono anche in vari Paesi ‎arabi ed islamici. Gli Usa sono consapevoli che la loro mossa a ‎Gerusalemme aggrava le tensioni in Medio Oriente e per questo, ‎riferiva ieri la Cnn, stanno inviando contigenti di marines a ‎protezione delle sedi diplomatiche in diversi Paesi della regione.‎
L’Unione europea riafferma la sua opposizione al trasferimento ‎delle ambasciate a Gerusalemme ma all’appuntamento di domani non ‎pare arrivare con una posizione condivida da tutti i Paesi membri. ‎Secondo le indiscrezioni la repubblica Ceca, l’Ungheria e la Romania ‎‎– alleate di Israele – hanno impedito l’adozione di un documento ‎comune che riaffermava lo status di Gerusalemme come città ‎internazionale. ‎
Sui poster apparsi in questi giorni nelle strade della Gerusalemme ‎ebraica (ovest) domina un’esortazione: “Trump rendi grande Israele”. ‎E il presidente americano non si tira indietro ma sta rendendo ‎‎”grande” soprattutto Netanyahu . Il primo ministro israeliano sta ‎vivendo – grazie alla sua linea del pugno di ferro contro Iran, Siria e ‎Palestinesi appoggiata dalla Casa Bianca – un momento di popolarità ‎senza precedenti. I sondaggi danno il suo partito, il Likud, in forte ‎crescita e il 69% degli israeliani approva con entusiasmo la sua ‎politica. Delle tre inchieste giudiziarie che lo vedono coinvolto per ‎truffa e corruzione non parla e scrive più nessuno da settimane.‎