sabato 12 maggio 2018

Corriere 12.5.18
Polemiche Il filosofo denuncia: nelle scelte dell’editoria le logiche commerciali prevalgono sui criteri scientifici
Carlo Sini : una cultura dispersa è l’anticamera del conformismo
di Cristina Taglietti


TORINO Niente come una fiera, e il Salone del Libro in particolare, con il suo corollario di voci e rumori, a volte di musiche assordanti, sembra incarnare meglio lo spirito del nostro tempo votato, dice il filosofo Carlo Sini, alla dispersione. Eppure, nella vetrina dei saperi, dove lo spazio delle riflessione sembra compromesso, gli incontri filosofici hanno un pubblico tenace e neppure tanto piccolo. Molti visitatori, ieri, sono rimasti fuori dalla lectio magistralis di Sini, ma anche dall’incontro in cui Danco Singer, del Festival della Comunicazione di Camogli, ha messo a confronto lo storico Alessandro Barbero e il filosofo Maurizio Ferraris, su un tema, Visioni, che guarda avanti verso il futuro e indietro verso il passato incrociando i saperi.
Il pubblico che segue gli incontri filosofici ha caratteristiche molto peculiari. Si va alla fiera come a lezione, con il quaderno degli appunti e i testi dei filosofi, non soltanto quelli dei relatori: La scienza della logica di Hegel, le opere di Platone, l’immancabile Derrida sono alcuni dei titoli visti tra le mani. E alla fine molti chiedono, più che il firmacopie, un supplemento di spiegazione, l’approfondimento su un’opera citata o su un concetto espresso, come se fossero studenti desiderosi di ben figurare.
Ieri l’editore Mimesis ha dedicato, con Massimo Donà, Giuliano Compagno e Gianni Vattimo, un omaggio a Mario Perniola, scomparso lo scorso gennaio, figlio elettivo di due padri, Luigi Pareyson e Guy Debord, e alla sua capacità di guardare al contemporaneo con uno sguardo obliquo, libero da condizionamenti. Oggi arriveranno Umberto Galimberti (in dialogo con Enzo Bianchi e poi con Nadia Fusini), Giulio Giorello (a riempire con nozioni di filosofia per ragazzi il format chiamato L’ora buca, assieme a Giancarlo De Cataldo che, invece, farà lezione di diritto), mentre Simone Weil (1909-1943) «parlerà» attraverso le lettere, pubblicate da Adelphi, con il fratello matematico André.
Sini, che conosce bene il Salone, vede tutto ciò come uno degli effetti tutto sommato positivi della dispersione. «Queste manifestazioni la rappresentano bene. Siamo colmati da una molteplicità di voci. Questo è il posto canonico, il luogo della totale dispersione. Da uno stand all’altro la cultura è esplosa: c’è tutto, dalle arti marziali ai francobolli cinesi. Ma sarebbe sciocco dire che è un male. Io propongo una lettura positiva. È la vita stessa, la ricchezza è nella molteplicità».
È quella che nel libro Del viver bene (edito da Jaca Book che sta pubblicando le Opere di Sini, 6 volumi in 11 tomi) definisce «la democrazia delle occasioni». «Se non dà un accesso il più possibile diffuso al maggior numero di persone è una finzione, è pura retorica». Ma, è il pensiero del filosofo, più esplode la molteplicità, più si mette in movimento qualcosa di paradossale che ha come risultato l’omogeneità: «Tutto è differenziato, niente è differente. Il conformismo è l’altra faccia della dispersione. Tutto si adegua alla produzione di merci che, intendiamoci, non sono il diavolo. Ma questo modello è stato così potente che ha assimilato a sé anche il modello culturale. La desertificazione delle culture nazionali ne è una delle conseguenze».
Così, se nella formazione domina il modello anglofono, tecnico-scientifico, al difetto omogeneizzante non sfugge neppure l’editoria. «C’è un’unica editoria — dice Sini — si copiano tutti tra loro, gli autori sono sempre gli stessi che fanno il giro, nessuno osa niente. Non c’è coraggio, non c’è scoperta, si propone un prodotto uniforme, ripetitivo. D’altronde i direttori scientifici sono diventati direttori commerciali, attenti al marketing».
Un discorso che Sini fa pensando anche alla produzione filosofica. «Prima andava di moda Deleuze, adesso è il momento degli anglosassoni. Per venire pubblicati devono aver sfondato un certo livello di riconoscibilità, magari per ragioni biografiche. Lo stesso Sartre è diventato famoso con L’essere e il nulla, poi è stato dimenticato».
La riflessione sulla dispersione, e sulla moltiplicazione delle verità, delle competenze, dei saperi, è al centro della riflessione del filosofo che, anche nella sua lectio, nata in risposta a una delle domande lanciate dal Salone (Chi voglio essere?), ne ha illustrato gli effetti negativi. «Oggi domina l’interdisciplinarità, mentre dovremmo parlare di transdisciplinarità. Il progetto che ci incalza è quello di tentare una riunificazione dei saperi che non sia contraria alla specializzazione, ma che la riconduca a un nucleo condiviso. Un tempo non è che Kant non capisse Newton. Oggi è così: tra filosofi e scienziati non ci intendiamo perché non abbiamo più un sapere comune».