lunedì 15 gennaio 2018

Corriere 15.1.1
La Cina colma il vuoto lasciato dagli Stati Uniti
di Ian Bremmer


Lo scorso ottobre, il presidente cinese Xi Jinping ha pronunciato il discorso più importante della storia recente, dal giorno in cui Michail Gorbaciov si presentò alle telecamere per sciogliere ufficialmente l’Unione Sovietica. In occasione del 19° congresso del Partito comunista cinese, Xi Jinping ha detto chiaramente che la Cina è pronta ad assumere il ruolo che le spetta nella leadership mondiale. Le conseguenze di questo passo si misurano su scala globale.
Mentre si appresta a dare inizio al suo secondo mandato quinquennale, Xi Jinping ha consolidato in patria quel potere che gli consente di ridefinire gli scenari esterni della Cina e imporre le sue nuove regole. La tempistica è perfetta: la Cina si fa avanti nel momento stesso in cui un presidente americano, assediato e contestato politicamente sul fronte interno, ha smantellato impegni e obblighi verso alleati e alleanze storiche. Gli Stati Uniti hanno lasciato un vuoto e la Cina si appresta a colmarlo.
Per decenni, i leader occidentali hanno immaginato che la nuova classe media cinese avrebbe costretto il governo ad adottare misure più liberali. E invece oggi sono le democrazie occidentali a sentirsi sotto assedio, mentre sale la rabbia dei cittadini per il pesante tributo che la globalizzazione ha imposto ai loro standard di vita e all’occupazione. Sono le democrazie oggi a reclamare cambiamenti e i governi si trovano nell’impossibilità di soddisfare tali richieste. I principi democratici stessi si vedono minacciati dal venir meno della fiducia dei cittadini sia nei partiti politici tradizionali che nell’affidabilità delle informazioni pubbliche e nell’inviolabilità del processo elettorale.
Al contrario, i governanti cinesi hanno saputo assicurare un miglioramento progressivo delle condizioni di vita del Paese e instillare un senso crescente dell’importanza della Cina nel mondo. Vecchi problemi come repressione, censura, corruzione e inquinamento restano inalterati, mentre i progressi tangibili in molte aree della vita in Cina hanno ispirato alla cittadinanza un senso di fiducia nei loro leader, quella fiducia che americani ed europei non provano ormai più.
Che cosa significa tutto questo per il mondo? La Cina oggi è in grado di stabilire regole internazionali in un clima di minor resistenza rispetto al passato, e questo è importante in tre settori fondamentali.
Primo, nel commercio e negli investimenti, la Cina è oggi l’unico Paese al mondo che sembra essersi dotato di una strategia globale. Grazie al suo vasto progetto infrastrutturale della Nuova Via della Seta e alla sua propensione a investire — senza riserve politiche — nei Paesi in via di sviluppo in tutti i continenti, la Cina punta sempre più in alto, mentre l’Europa si concentra sui problemi europei e la politica americana scaglia il suo anatema sugli scambi commerciali internazionali. I governi di molti Paesi in Asia, America Latina, Africa e Medio Oriente sono oggi molto più favorevoli a imitare e ad allinearsi con l’approccio cinese alla politica estera, di stampo esplicitamente commerciale.
Secondo, è in corso una guerra globale per il predominio tecnologico. In particolare, Stati Uniti e Cina guidano la carica agli investimenti nello sviluppo dell’intelligenza artificiale. Negli Stati Uniti, la leadership in questo campo viene dal settore privato, in Cina invece dallo Stato, che gestisce le principali aziende e istituzioni del Paese per servire i propri interessi. Come per le strategie di commercio e investimenti, altri governi — specie quelli più timorosi di suscitare malcontento sociale al loro interno — trovano interessante questo modello di sviluppo. L’influenza economica della Cina servirà a subordinare i settori tecnologici dei Paesi più piccoli alle aziende cinesi e agli standard tecnici che esse vorranno imporre.
Infine, non dimentichiamo la questione dei valori. L’attrazione della Cina non è di natura ideologica. L’unico valore politico esportato da Pechino è il principio della non interferenza negli affari delle altre nazioni. E proprio questo appare un bonus per quei governi avvezzi alle richieste occidentali di riforme politiche ed economiche in cambio di aiuti finanziari. Con l’arrivo della politica estera di Trump, basata sul concetto di «America first», e con le molteplici istanze che oggi distraggono l’attenzione dei leader europei, la Cina non incontra ostacoli proprio grazie al suo approccio al commercio e alla diplomazia, scevro da qualunque prerequisito ideologico.
Tuttavia, anche l’attrattiva internazionale della Cina ha i suoi limiti. Passeranno decenni prima che la Cina sia in grado di esercitare il potere militare globale degli Stati Uniti. La Cina resta pur sempre una potenza regionale e la forbice della spesa militare continua ad allargarsi a favore degli Stati Uniti. I Paesi confinanti già avvertono qualche disagio davanti alle crescenti capacità di Pechino di fare pressione sui loro confini. È anche vero che la potenza militare convenzionale è meno importante oggi ai fini dell’influenza internazionale rispetto al passato, sia per le minacce alla sicurezza nazionale in un mondo globalizzato create dalla potenziale militarizzazione dell’influenza economica, sia per l’ancora incerto equilibrio di potere nel cyberspazio.
Nel 2018 e oltre, il mondo degli affari globale dovrà adattarsi a nuove regole, standard e pratiche portate avanti dalla Cina, non solo all’interno di questo Paese, ma anche in tutti gli altri Paesi in cui le aziende cinesi fanno sentire sempre più massicciamente la loro presenza e dove il governo cinese sta rafforzando e allargando la sua influenza. È probabile inoltre che Giappone, India, Australia e Corea del Sud collaborino più spesso tra di loro per arginare la potenza regionale della Cina, con il rischio di nuove frizioni e persino conflitti. A seconda di come andranno i rapporti tra Stati Uniti e Cina, il governo Trump potrebbe attivarsi maggiormente in quell’area. Infine, è possibile che le grandi ambizioni di Xi Jinping lo espongano alle rivalità interne del partito, specie se la Cina dovesse subire insuccessi imbarazzanti in patria o all’estero.
Una cosa è certa, il mondo avrà gli occhi puntati sull’anno appena iniziato per mettere a confronto il modello cinese con quelli occidentali. Per gli americani e gli europei, il sistema cinese presenta scarse attrattive, ma per molti altri Paesi è un modello che incarna una possibile alternativa. E con Xi Jinping disposto a offrire proprio quell’alternativa, sarà questo il maggior rischio geopolitico che il mondo dovrà affrontare nel 2018.
Traduzione di Rita Baldassarre