mercoledì 12 luglio 2017

Repubblica 12.7.17
La grande estinzione
È la sesta per la Terra la prima provocata dall’attività dell’uomo
Biologi di Stanford: è annientamento
L’ultima volta 65 milioni di anni fa quando scomparvero i dinosauri
di Elena Dusi

ROMA. La rana arboricola Ecnomiohyla – grandi occhi neri, corpo marrone, un’abilità senza pari nell’arrampicarsi sugli alberi e poi planare giù – se n’è andata alla fine dell’anno scorso. L’ultimo esemplare è morto allo zoo di Atlanta e nessuno si è preoccupato nemmeno di dare la notizia. Accade un paio di volte all’anno, che una specie scompaia: a un ritmo cento volte superiore rispetto a un secolo fa, e quasi sempre in silenzio. Se fossimo capaci di contare uno a uno gli animali non domestici attorno a noi, non arriveremmo nemmeno alla metà degli esemplari dell’inizio del ‘900, stima uno studio su
Pnas.
Nell’indifferenza generale, avvertono gli autori, tre biologi delle università di Stanford e del Messico, siamo entrati nella sesta estinzione di massa: un «annientamento biologico», scrivono gli scienziati, che non riguarda solo gli animali, ma mette in pericolo anche «le fondamenta della civiltà umana».
L’espressione “sesta estinzione di massa” non è nuova e il dibattito sulla sua appropriatezza va avanti da alcuni anni, un po’ come quello per il termine antropocene. Questa volta però Gerardo Ceballos dell’Universidad Nacional Autónoma de México, coordinatore dello studio di Pnas, invita a guardare i numeri e la realtà in tutta la loro crudezza. «La portata di questa estinzione è sottostimata» e l’umanità «pagherà a caro prezzo la decimazione dell’unico puzzle di vita dell’universo».
Tra i vertebrati, uno su tre è in declino sia in termini di esemplari che di estensione e qualità dell’habitat. Tutte le 177 specie di mammiferi studiate direttamente hanno perso almeno il 30% della loro area geografica. Due su cinque hanno perso l’80%. Lo spettro dell’estinzione minaccia il 41% delle specie di anfibi e il 26% di quelle di mammiferi. In 25 anni il numero di leoni si è ridotto del 43%. Oggi ne restano 35mila, concentrati in piccole oasi laddove il loro habitat comprendeva quasi tutta l’Africa, l’Europa del sud, il medio oriente e parte dell’India. Nell’Asia del sud e del sud-est tutti i grandi mammiferi analizzati direttamente hanno perso almeno l’80% dell’habitat. In generale il depauperamento della biodiversità è più alto fra i tropici. I rinoceronti, la maggior parte dei felini e i grandi primati si sono ugualmente ridotti a vivere nel 20% (quando non addirittura meno) dell’habitat di un secolo fa. Le giraffe sono passate da 115mila a 97mila in meno di 30 anni. I pangolini sono stati decimati dal contrabbando.
Per perdere 200 specie abbiamo impiegato un secolo. Normalmente (in tempi non legati alle estinzioni di massa) sarebbero serviti 10mila anni. «Considerando la durata della vita umana - scrivono i ricercatori - si fa fatica ad apprezzare la gravità di quanto accade». Spesso poi, lamentano i biologi, nel lanciare gli allarmi ci si concentra sulle specie già a rischio estinzione (solo 5mila gli orango del Borneo e di Sumatra rimasti), senza rendersi conto che animali oggi molto diffusi come le rondini perdono ogni anno milioni di esemplari, avvicinandosi al baratro un passo dopo l’altro. Presto, avvertono gli autori, le nuove specie a rischio saranno loro: «I margini di tempo entro i quali agire per fermare la sesta estinzione di massa sono molto stretti. Due o tre decenni al massimo».
Nelle estinzioni di massa del passato la vita ha impiegato alcune decine di milioni di anni a crollare per poi riprendersi. Ma mai prima d’ora le specie animali erano state decimate da un unico grande predatore, capace da solo di consumare la stragrande maggioranza delle risorse del pianeta. Distruzione dell’habitat, sfruttamento eccessivo della natura, inquinamento, invasione di specie aliene, malattie e ultimamente anche cambiamento climatico sono le cause principali della «perdita massiccia di vita» descritta nello studio. Una perdita che non riguarda ormai solo le specie notoriamente più bistrattate, ma che «ha raggiunto il livello di epidemia, attraversando tutte le regioni del mondo e tutte le linee filogenetiche, partendo dalle specie più rare, senza risparmiare quelle comuni».