giovedì 6 luglio 2017

La Stampa 6.7.17
“Il sovraffollamento non c’entra. Sono i magistrati a non fidarsi”
Il penalista: “È un problema, ma nessuno paga”

«Il braccialetto elettronico sarebbe utile ma in Italia c’è una certa resistenza alla sua applicazione», sostiene l’avvocato penalista Pietro Vincentini. «Per questo mi fa piacere che si crei un certo interesse mediatico sull’argomento».
La resistenza di cui parla da dove nasce?
«Partiamo da un presupposto: i braccialetti elettronici sono pochi. Ma c’è soprattutto un atteggiamento di sfiducia da parte della magistratura nei confronti di quello che viene considerato un orpello inutile, specialmente qui a Roma. E non è solo questo il motivo».
C’è dell’altro?
«Capita spesso, quando il braccialetto elettronico è disponibile, che nascano difficoltà nella sua applicazione alla caviglia della persona. Mi spiego: il più delle volte le forze dell’ordine rispondono che non sono in possesso degli strumenti operativi. Dove e perché la procedura si areni, però, non lo comunicano».
Cosa può fare il giudice per vedere applicata la sua sentenza?
«Può trovare un’alternativa. Di solito si ricorre alla detenzione domiciliare».
Eppure sarebbe utile...
«Il braccialetto è semplicemente uno strumento di monitoraggio. Può essere un deterrente oltre a uno strumento di garanzia. Alleggerisce l’attività di controllo della polizia giudiziaria e limita un dispendio di energie che possono essere profuse altrove. Serve, quindi, nonostante casi di persone che dopo averlo manomesso sono fuggite, senza che le forze dell’ordine se ne siano accorte».
C’è chi sostiene che servirebbe anche a svuotare le carceri italiane, da sempre sovraffollate. È così?
«Lo svuotamento delle carceri c’entra poco. Il problema dei troppi detenuti dipende più dalla riluttanza da parte dei giudici di ricorrere alle misure alternative al carcere. D’altra parte, mi è anche capitato di assistere una persona a cui era stata concessa la detenzione domiciliare con il braccialetto, ma per un lungo periodo, alcuni mesi, la persona non aveva potuto beneficiarne perché i braccialetti erano finiti, ed era stato costretto a rimanere in carcere».
Alla fine il risultato è comunque un diritto negato al detenuto. Qualcuno paga mai per questo?
«In Italia non ho mai sentito di nessuno che pagasse per i problemi del sistema giustizia. Non in questo senso, almeno. Va sottolineato però che qui la responsabilità non è certo del magistrato. Semmai del ministero».